Vento

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Sin da piccola Lilibeu amava il vento.
Del vento le piaceva il dolce muoversi delle fronde degli alberi, dell'odore che dai fiori si sprigionava e si diffondeva per l'aria, dello spronare l'intensità delle onde del mare, del calore del sole che illuminava le terre. Il vento intensificava tutto questo: viaggiava in tutto il pianeta, a volte con una maggiore potenza ed a volte con minore intensità.
Per sentire tutto questo sulla sua pelle, spesso si sedeva da sola e, chiudendo gli occhi, cercava di individuare gli odori e le sensazioni che il vento le trasmetteva di volta in volta. Spesso era al vento che rivelava i suoi segreti più nascosti, proprio perché le piaceva il modo in cui il vento scacciava i suoi pensieri negativi e, allo stesso tempo, diffondeva la gioia che c'era nell'aria.
Amava il modo in cui il vento aveva la capacità di soffiare dove voleva, su qualunque cosa, verso chiunque: il suo linguaggio era universale, e non aveva né nazionalità né colori. Il vento non faceva discriminazioni, ed era questo il lato che le piaceva di più.


Non appena imparò a volare, le piaceva librarsi nel cielo e lasciarsi guidare dalla direzione che il vento le indicava. Come un cavallo libero nella prateria anche lei non si stancava mai di spostarsi nell'aria, da un punto all'altro del suo pianeta natale: era la sua linfa vitale, qualcosa che aveva dentro fin dalla sua nascita. Non le importava se era di forte intensità o solo una leggera brezza: a lei non dava fastidio.
Le piaceva essere accarezzata e seguita dal vento, e ben presto imparò a fare di tutto ciò la base del suo potere.


Eppure, nonostante avesse promesso a se stessa che avrebbe volato per tutta la vita... nel corso del Torneo del Potere si era dimenticata di farlo.
La paura di morire aveva preso il sopravvento e, per la prima volta, la giovane guerriera aveva rimosso ciò che per lei era diventato essenziale. Non aveva tenuto conto della grande velocità e impetuosità di quegli eventi burrascosi, che in quei minuti erano stati più forti di una forte tempesta.


«Sono un fallimento...»


Più che al suo Team, lo ripeteva a se stessa. L'Hakaishin aveva ragione: come aveva fatto a dimenticarsi all'improvviso di avere due ali e, con quelle, obliterare anche l'azione stessa del volare? Era come se avesse chiesto ai mortali di dimenticarsi dell'uso delle gambe per camminare: era una necessaria funzione, senza la quale sarebbe stato arduo - anche se non impossibile - sopravvivere.
Però, grazie all'aiuto del sommo Kaiōshin, a poco a poco era riuscita a recuperare subito il sorriso e la fiducia in se stessa. Come il berillio era, sì, fragile ma, allo stesso tempo, forte e leggera come il vento che l'aveva sempre guidata.
Aveva promesso a se stessa che, una volta tornata a casa, avrebbe fatto di tutto per non cadere più in quell'errore fatale. Anche se non ci sarebbe stato del vento, come era successo in quel Torneo, lei avrebbe continuato ad avvertire la sua presenza, perché sapeva che era lì.
Pronto ad attenderla per un nuovo giro di danza.

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