Il ladro di Incubi

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Non smetto mai di sorprendermi di come il tempo atmosferico si adegui a certe situazioni. Noto spesso, e sempre con sorpresa, come il cielo senta la felicità, la paura o la tristezza e si comporti di conseguenza. Il cielo di Morioh, poi, è il più empatico che io abbia mai visto. Io, Rohan Kishibe, che mi perdo in questi sentimentalismi? Beh, ogni tanto me lo concedo.
Stavo seduto al Cafe Deux Magots con i miei concittadini, nonché saltuari compagni di avventure ed il cielo sembrava ascoltare e reagire alle nostre riflessioni sui fatti tremendi che il mese di febbraio si era portato appresso. Nonostante quella mattina il cielo avesse splenduto pigramente, ora era sparito, nascosto da una coltre di preoccupate nubi grigie, proprio come il colore di cui si era tinto la città da ormai una settimana.
Discutevo, perplesso e preoccupato anche io come il cielo e tutti i miei compagni, di una strana e grave catena di eventi cominciata da una settimana a Morioh.
‒ Ricapitolando. ‒ Intonò grave Josuke giungendo assieme le mani. ‒ Lunedì scorso, il 3 febbraio, quindi sei giorni fa, è cominciata una catena di suicidi a Morioh. Solo a Morioh e in nessun'altra città. Da allora sono morte undici persone. ‒
‒ Dodici. ‒ S'intromise Koichi con voce triste. ‒ Un'altra ragazza ha ingerito un'intera scatola di sonniferi ed è morta stanotte. Era una compagna di classe di Yukako. ‒
‒ L'ho sentito anch'io stamattina. ‒ Sospirai.
Josuke deglutì. ‒ Dodici persone. Non sembra esserci niente di simile tra loro, niente che li possa collegare in qualche modo. Né età, interessi, occupazione, status sociale. Le vittime, ad oggi 9 febbraio, sono tre studenti, due uomini d'affari, un netturbino, due pensionati, una ricca madre di famiglia, una giovanissima barista, un poliziotto e la compagna di classe di Yukako. Sono suicidi assolutamente sconnessi tra loro... ‒
‒ Tranne per le cause. ‒ Continuai io, ansioso di arrivare al dunque. ‒ Tutte le vittime si sono suicidate per esasperazione. Le persone a loro vicine, famiglie o amici, hanno testimoniato che tutti loro, nei giorni antecedenti la morte, hanno mostrato gli stessi sintomi. Ansia crescente, paranoia, allucinazioni, paura immotivata e conseguente stress, irritabilità ed insonnia totale che li hanno portati all'esaurimento. Per la disperazione alcuni si sono gettati dalla finestra, altri hanno preso così tanti farmaci da morire di overdose, altri si sono gettati sotto treni o sono stati investiti mentre scappavano da chissà cosa. ‒
‒ È proprio questo chissà cosa che mi fa pensare ad un attacco Stand. ‒ Disse Josuke con espressione assorta. ‒ Non c'era niente intorno a loro agli occhi dei familiari o degli amici. Niente che possa giustificare questa loro improvvisa paranoia, questo panico. Da un giorno all'altro hanno cominciato a non dormire più, ad essere privati della pace. La sorella di una studentessa morta quattro giorni fa mi ha detto in lacrime che sua sorella le aveva detto "I mostri mi hanno seguita dagli incubi. Da allora non mi lasciano più andare." È terrificante. ‒
‒ Al telegiornale hanno parlato di allucinazioni causate dalla droga. Un nuovo tipo di droga arrivata fin qui dall'America, o qualcosa di simile. ‒ Disse Okuyasu. ‒ Ma non mi convince per niente. Non ci capisco molto, ma la droga a Morioh? È assurdo. ‒
Sospirai. Okuyasu era quello che sopportavo meno. Possibile che non capisse quando era giusto dire qualcosa e quando invece lo si poteva omettere?
‒ Escludo assolutamente questa opzione. Non si tratta né di droga, né di una qualche malattia mentale. ‒ Dissi.
‒ Ne abbiamo vissute abbastanza per riconoscere uno Stand all'attacco. ‒ Concluse Koichi estremamente serio. Finalmente qualcuno che parlava la mia lingua. ‒ Ma le indagini non bastano a darci nemmeno un briciolo di pista da seguire. Non c'è stato nessun cambiamento nelle routine quotidiane di queste persone. Se hanno incontrato qualcuno che li ha attaccati non potremo mai saperlo. ‒
Incrociai le braccia. ‒ Dovremmo individuare una vittima prima che si suicidi, così che io la possa leggere con Heaven's Door. Sicuramente le sue pagine ci direbbero chi è il colpevole. Ma le vittime sono così paranoiche e spaventate che, se escono di casa, è solo per ammazzarsi. Sarà difficile trovarne una in tempo. ‒
Josuke inspirò. ‒ Dovremo stare attenti e vedere chi si assenta da scuola. Gli studenti che si sono suicidati sono stati assenti per due o tre giorni prima di morire, quindi dovremmo avere abbastanza tempo per agire, una volta individuata la vittima. ‒
Annuii col capo. ‒ Mi sembra l'unico modo possibile. Cercate di scoprire l'indirizzo di eventuali assenti, così andremo a fargli visita. ‒
I ragazzi annuirono determinati ed io alzai la testa al cielo. Le nubi erano ancora più grigie di prima e tirava un venticello insistente, probabilmente avrebbe piovuto.
‒ Tra poco pioverà, devo andare. Domani tenete gli occhi aperti e contattatemi se notate qualcosa. Farò lo stesso anche io. ‒
E così ci salutammo. Mi incamminai verso casa, perplesso e pensieroso come non mai. La pace dopo la grande minaccia di Morioh del '99 era durata un anno appena; già era arrivato un nuovo nemico. Cominciai a sentirmi sempre più a disagio. Non c'è cosa che odio più di aspettare, soprattutto in situazioni critiche; l'idea di andare a casa ad aspettare una telefonata dai ragazzi mentre il nostro nuovo nemico era a piede libero mi rendeva incredibilmente nervoso. Era un avvenimento interessante, certo, e si sa quanto io ami queste cose, soprattutto per l'ispirazione che mi portano; eppure il fatto che stessero morendo persone che non c'entravano nulla mi irritava. Preferivo trovarmi io stesso in pericolo, piuttosto che guardare persone innocenti cadere come pedine di domino. Inoltre non avevamo la certezza che la prossima vittima sarebbe stata uno studente: potevano volerci giorni, settimane, e questo significava aspettare che venissero mietute altre vittime senza che noi potessimo intervenire. Mi sentivo totalmente impotente nonostante i miei poteri, e ciò mi frustrava. Decisi di prendere una strada alternativa, leggermente più lunga della solita, per fare quattro passi in più. Rischiavo di prendere la pioggia, ma non mi interessava; speravo che passeggiare mi avrebbe calmato un po'. Gli alberi che delineavano il viale erano scossi dal vento e provocavano un flebile fruscio, l'unico rumore oltre a quello dei miei passi. Camminai per un paio di minuti, totalmente assorto nei pensieri, quando m'imbattei in un volantino attaccato ad un palo che non avevo mai visto prima. L'intestazione recitava:

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