Lucia sta finendo di truccarsi o di pettinarsi, davanti allo specchio, dove si compie quel rito quotidiano. Ma lei, non c'è dubbio, è lontana da lì. Infatti, dopo aver finito, con la calma e la cura dovute, di pettinare i capelli, che porta - come usano certe signore veramente ricche e certe nobili - in una foggia antiquata, con delle onde che scendono quasi a coprirle l'occhio, per una raffinatezza un po' puerile e manieristica, e un po' puttanesca - getta con dolore il pettine sul tavolo, tra gli oggettini preziosi della toilette.
Si alza piena di quel dolore. Poi sospira, e quasi con un'ironia (assurda in quel volto di eroina popolare) che le distende, illuso- riamente, i lineamenti, s'infila il cappotto, o una pelliccia, ed esce.
L'aspetta, sulla strada, davanti alla casa, la sua macchina; vi sale, con quella sua calma mista alla frenesia, la mette in moto, parte.
Anche lei si perde giù lungo la silenziosa strada per dove si è perduto l'ospite; anche lei è inghiottita da quella quinta desolata e proterva di case di gente ricca, per cui è un dovere il non dar segno di esistere.
Resta, solo, lo scenario: indice di una irrealtà, che, in concreto, ha la forma di un quartiere di morti, le cui pietre, il cui cemento, le cui piante sono uno spettacolo, immobile nel sole, che angoscia e offende con la sua sola presenza.
Il mondo attraverso cui l'automobile di una signora può passare, quando le mete non siano più quelle previste e fissate da una abitudine che non si può trasgredire, ma siano quelle che il peccato designa, affidandosi al caso sono, malgrado il rovesciamento della situazione, le più prosaiche, tristi e quotidiane.
Lucia dunque esplora, inaridita e disperata, la città alla ricerca di qualcosa che indubbiamente alla fine riuscirà a trovare, ma che per molto tempo, magari per tutta la giornata, sembra un miracolo impossibile.
Essa è in colpa (gira a cercare l'accadere di un miracolo, mentre tutti sono intenti alle incantevoli miserie di ogni giorno): ma questa sua colpa è frutto di un diritto che essa crede di avere.
Perciò quasi proterva (per quanto glielo consente la dolcezza del suo viso di ragazza lombarda educata alla pietà, al rispetto e a una innocente ipocrisia), reprime ogni ansia, ogni vergogna, ogni voce di saggezza: dedicandosi alla sua ricerca con l'ostinazione di uno scienziato o di una bestia affamata, che si contorce in silenzio.
Qual è questo luogo della città? Della grande città industriale, in cui il dovere e il lavoro sono come un clima che impedisce il fiorire dei miracoli? Si trova nella periferia verso la Bassa o verso la Svizzera? Verso Cremona o verso Venezia? Dalle parti di quale quartiere industriale con le sue fabbriche, silenziose come chiese o scuole, durante le ore del lavoro?
Poiché si tratta del momento in cui il miracolo accade, il luogo è semideserto, tranquillo, con pochi passanti, e un sole radente di buon augurio, benché così debole. La pensilina si alza vuota sul marcia- piede, e sotto questa pensilina è il ragazzo con gli occhi chiari. Egli aspetta il suo tram, senza ansia, con dignità; e la solitudine anziché spingerlo ad atteggiamenti di pigrizia o di strafottenza, lo chiude piuttosto in una specie di grazia più compatta e gentile.
È alto, con lo zigomo commoventemente pronunciato, i goffi e folti capelli di ragazzo semplice, che non se li pettina, la pelle scura, e il corpo alto, che tuttavia, per le proporzioni giuste, non lo sembra, conferendo alla sua giovinezza un aria quadrata e virile (non d'atleta, ma piuttosto di contadino).
Lucia si ferma con la macchina poco oltre la pensilina: ma una improvvisa timidezza però la immobilizza, tanto che non ha coraggio nemmeno di voltarsi indietro, verso di lui; estrae piano piano la sigaretta, con gli occhi puntati nel vuoto, e mormora fra sé i pensieri amari che la sconvolgono e le danno quella disperata calma, e quasi quasi la decisione di rinunciare...
Rimane ferma - curva - con la sigaretta spenta tra le labbra - con un sorriso agghiacciato e amaro. Meccanicamente, rimette in moto la macchina, senza però partire.
Come (quasi per caso!) volta la testa verso il marciapiede, vede il ragazzo lì, vicino, addosso a lei. Forse è uno studente - non è certamente un operaio. Forse addirittura uno studente universitario; di quelli di famiglia povera, che vengono dalla provincia. Altrimenti come avrebbe avuto il coraggio di farsi avanti - con una donna come lei, così bella, così scostante, così protetta dal suo evidente privilegio sociale - e addirittura sorriderle con timida e intelligente complicità?
Lucia così non ha bisogno di chiedergli del fuoco - quella maledetta richiesta che non le veniva alle labbra: basta soltanto che appena appena gli sorrida, facendo un gesto, timido, che indica la sua sigaretta spenta, e la conseguente naturale necessita...
Ma il ragazzo - con quel suo sorriso, che ora ha un aria decisa- mente umoristica, clic non lascia più dubbi sulla sua estrazione sociale e la sua cultura almeno di studente universitario - allarga le braccia, con buffa e simpatica desolazione, lasciando intendere che lui non fuma.
Ma poi ha un gesto di vera audacia (le audacie dei timidi sani - timidi solo, magari, per l'umiltà della loro vita) e correndo con una corsa ingenua, di cane festoso, raggiunge un passante, gli chiede i fiammiferi, torna, fa accendere la sigaretta a Lucia, riporta la sua scatoletta al passante e ritorna di nuovo... Sì, dev'essere proprio così: uno studente che viene da una famiglia piccolo borghese o operaia di provincia, di cui porta ancora addosso, ineliminabile, ma con grazia, l'umiltà e la rozzezza, insomma i segni della povertà.
Lucia, non sa neanche lei come e perché, e con che gesto di cameratismo complice e di spregiudicatezza assolutamente inconsa- pevole, si allunga e apre lo sportello: il ragazzo vi si infila, rapido, felice, accettando l'avventura come una cosa giusta, assoluta e com- piutamente capace di dare felicità.
La casa dove il ragazzo abita, è una di quelle che riescono a trovare, appunto, gli studenti che vengono a studiare all'università dalla provincia. È una casa né vecchia né nuova, ma certo molto triste, perduta in mezzo a un mucchietto di case né vecchie né nuove, che stanno però tra un gruppo quadrato, di case nuovissime, scintillanti di vetri e metalli - recente e trionfante opera del neoca- pitalismo - e un altro gruppetto - divino - di vecchie case dell'otto- cento, se non più antiche, con le stupende proporzioni delle loro muraglie grigie, dei loro cornicioni, dei loro porticati, delle loro vecchie stalle, belle come chiese. Tutto questo quartiere è quasi in campagna - oltre un cavalcavia che resta sospeso lontano, come un'apparizione biancastra sulla nebbiolina grigia - e quasi già tra le grandi, infinite file di pioppi, che cominciano subito oltre un canale dalle vecchie spallette di pietra.
La macchina rimane in una fila di altre macchine, lungo il marciapiede slabbrato delle tristi case né vecchie né nuove; e Lucia con il ragazzo entrano in uno di quegli infelici portoncini.
Le scale sono semibuie: non si possono non guardare, e non si può non sentire un acuto dolore nel guardarle.
Il ragazzo sale impaziente: non c'è dubbio che se fosse dipeso da lui, avrebbe fatto quattro scalini alla volta, e in un attimo sarebbe stato in cima a quelle rampe dolorose, sprofondate verso l'alto, in un odore di cavoli e stracci bagnati.
Arrivano davanti alla porticina dell'appartamento, se Dio vuole.
Nella stanza c'è un lettino (accuratamente rifatto), ed è lì che senza guardarsi attorno, i due vanno a distendersi, quasi a cadere, cominciando a cercare di dar fondo all'ansia inesauribile. Restano lì a lungo - finché egli si alza di scatto, quasi come spaventandosi per qualche ragione imprevista (tanto che Lucia si spaventa realmente), e si toglie la giacca; poi si china a baciarla; ma si rialza subito, ancora di scatto, per togliersi la camicia (lavoro più complicato, che richiede quindi qualche sorriso intimidito); si china a baciarla di nuovo; poi si rialza, stavolta per togliersi con furia la canottiera e per sbottonarsi i calzoni. Così si ridistende su lei e ricomincia a baciarla. Ma subito e ancora di colpo, si abbatte, come addormentato, su di lei, nascon- dendo il viso tra la sua spalla e la sua guancia.
Lucia rispetta quella sua prima, e prematura, stanchezza (dovuta certamente a tutta quella gioventù che egli si ritrova addosso, come un dono da buttar via), e approfitta per guardarlo, e per guardarsi intorno.
Di lui, non vede che un po' di capelli spettinati e un'orecchia ardente; ma lo sguardo che esplora la stanza, scopre tutto quello che c'è, nella sua triste evidenza: la miseria, la giudiziosità, la tristezza, il buon senso.
Per terra, ci sono gli indumenti del ragazzo, appena gettati: come le tracce di qualcuno che sia appena passato e subito scomparso lontano.
Ma no, invece, egli è ancora lì, presente: ricomincia a muoversi, ad accarezzarla, a dare quei suoi baci prepotenti, ma troppo freschi, troppo innocenti: quasi che egli non volesse soddisfare che un suo appetito, poco noto a lui stesso; oppure come se inseguisse, follemente, e senza saperlo, delle regole dettate da una abitudine che gli è preesistente, e di cui egli è uno schiavo semplice, fedele e felice.
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Teorema
Ficción General2^ parte: Teorema - Pier Paolo Pasolini {Libro NON mio, NON ne detengo i diritti}