Sembra incredibile che la notte possa essere così senza vita e così piena dell'inanimata volontà di esserlo.
Eppure, chissà come, in fondo all'abisso della nebbia attaccata alla terra - al di là dei vapori che vagano sui tetti e sulle cime dei pioppi - al di là della bassa nuvolaglia lacerata, e infine, al di là delle nuvole sconfinatamente alte, garanzia forse di sereno per il giorno dopo - si intravede uno spicchio di luna, sottile come una fettina di melone o di zucca: una luna che tramonta, andandosene inosservata e sconfitta.
Un po' di quella luce lunare, atrocemente malinconica, entra nella stanza, dove Lucia è distesa con gli occhi aperti, sul lettino disfatto.
Dormendo, nell'incoscienza del suo sonno pieno di diritti, di un'innocenza quasi offensiva, il ragazzo ha occupato col suo corpo tutto il lettino: respingendone così Lucia all'estremità, dove certa- mente, se anche ne avesse voglia, non potrebbe riprendere sonno. Risvegliarsi è per lei trovarsi immersa in uno stato di intenso stupore: e di dolore, almeno tanto immedicabile quanto la luce agonizzante di quella luna che annuncia il giorno.
Gli oggetti della stanza risaltano vividi, e, a uno a uno, sono fonte di pietà e di vergogna: il tavolino con la tela incerata sotto la finestra; le due o tre seggiole; la mensoletta alla parete coi libri di sva- go (tutti probabilmente comprati di seconda mano); il piccolo tavolo coi grossi, severi libri di studio e le dispense; l'armadio che certa- mente contiene il puro necessario per vestirsi (cose tenute certamente con una cura il cui pensiero trafigge di pena); la carta da parati da due lire sulle pareti; le riproduzioni di due o tre quadri d'autore, incorni- ciati con una lista di cartoncino; e, sopra il letto, naturalmente, una Madonna, bianca e azzurra, di ceramica, come di solito si vedono nelle cucine.
Lucia si alza, come un fantasma: senza aver preso (lo si vede bene) alcuna decisione. Forse per puro amore, o forse solo per andare alla finestra, a osservare la fonte di quella atroce luce che illumina la stanza.
Resta invece ferma, accanto al letto, e guarda... gli indumenti del ragazzo, sparsi per terra.
Sono rimasti così come egli li aveva gettati la sera prima (ma quante ore sono passate?), spogliandosi in furia, come fanno i ragazzi così poco critici nei riguardi dei loro goffi diritti. E ora sono come le spoglie di un animale, che abbia lasciato lì le sue tracce, i segni del suo passaggio sulla terra, e se ne sia andato per sempre.
La vivezza degli indumenti, così poveri e prosaici, è in contrasto, assurdo, con la lontananza raggiunta dal loro possessore, nei suoi sogni: i calzoni scomposti, coi bottoni sul grembo slacciati, aperti sul pavimento in tutta la loro ingenuità inconsapevole; le mutandine, forse non del tutto immacolate, coi tristi segni della vita; la canottiera, che, invece, appare splendida, colpita dalla luce stavolta serena della luna; le scarpe rovesciate, drammaticamente, in tutta quella pace, il bel maglione di lana grossa, d'un colore non vivace eppure misteriosamente giovanile... I calzetti, invece, il ragazzo non se li è tolti: sono ancora infilati ai piedi del suo corpo nudo.
Egli dorme sul fianco - come i feti - con le braccia allungate e strette (tra le cosce contro il grembo).
Lucia lo guarda, come un superstite: la sua innocenza, così cieca, le fa pena; il respiro troppo regolare e un po' sporco del sonno, la bellezza del suo viso resa sordida e monca dal sudore e dal pallore, e, forse, un certo indistinto odore che emana da tutto lui (forse da quei calzetti non tolti dai piedi), le danno disgusto, è chiaro, un disgusto aumentato dall'inoffensività e dall'incoscienza di chi, così stupida- mente vinto dalle necessità del corpo, lo suscita. È un disgusto che è quasi un odio, per lui; una vera e propria voglia di colpirlo, di offenderlo con vera indignazione e con disprezzo, perché capisca una buona volta, come un uomo non debba mai andarsene col sonno, non debba cedere, non debba morire!
Ma Lucia non può vincere neanche una certa tenerezza, l'ultimo e definitivo sentimento che proverà andandosene di nascosto: sta già rivestendosi, si è già infilata la gonna, che si avvicina a lui, acca- rezzando ancora una volta quel corpo nudo, i cui muscoli si sono sciolti, sono diventati molli, carne ignara. E scende, dal petto largo e dolce come una piazza, giù per lo stomaco diviso dai suoi due muscoli simmetrici, come nelle statue, per la pancia ancora senza un filo di grasso, ma già fin troppo virile, con un'ombra sottile di peli che gli sale fino all'ombelico - fino a toccare il pene, puro d'ogni cosa che non sia la miseria della carne.
Poi Lucia finisce di vestirsi, piano piano, ripresa dalla morsa di un dolore senza nome, e certamente senza rimedio.
Prende le sue cose ed esce dalla stanza, neanche tanto furtivamente e in silenzio.
Resta indietro il quartiere del ragazzo; le luci dell'illuminazione pubblica (una lampadina davanti alla porta di ognuna delle tristi palazzine) si spengono. Appare il giorno, rognoso, senza luna, e con la nuvolaglia bianca uguale dappertutto.
Lungo il canale dalla spalletta di pietra, seguito da un lungo ciglio d'erba, ecco la strada che va verso il centro.
C'è già la gente rassegnata, che va al lavoro; chi a piedi, verso la fermata del tram; chi con la motocicletta, o la triste, antica lambretta; passano già seccanti e fitte le automobili, le feroci seicento delle sei del mattino.
Ma ecco là, dall'altra parte della strada, contro un ponticello che attraversa il canale, due figure con quell'aria speciale, che le distingue da tutto, come il privilegio naturale di un'altra razza: la gioventù.
Lucia li 'intravede appena, mentre un'altra macchina la incrocia. Essi alzano la mano, sicuri e prepotenti, chiedendo senza alcuna gentilezza il favore di un passaggio.
Lucia fa altri tre quattrocento metri, poi rallenta, e decidendo disperatamente di fare una pericolosa curva, tra le minacce dei conducenti delle utilitarie che sopravvengono in frotta, ritorna indietro. I due non se ne stupiscono affatto: fanno il loro gesto interrogativo e disimpegnato dell'autostop, e come Lucia rallenta e si ferma - essi corrono e, scambiate le poche parole appena necessarie, salgono.
Il ragazzo seduto accanto a lei, ha gli occhi celesti. Sta con le gambe larghe, eretto, come certe statue delle vecchie chiese contadine, come i re omerici: ma non è probabilmente che la soddisfazione di essere seduto sul sedile di una macchina dalla grossa cilindrata.
Quello di dietro ha un'aria volpina e distaccata: forse perché tra i due egli è il secondo, o l'inferiore (per età o chissà che altro): e allora guarda gli avvenimenti il cui ordine riguarda l'altro, l'amico: non lui, che ne è semplice osservatore, e si lascia andare, un po' ironico, alla sua contemplazione simpatizzante.
Ma l'altro, per ora, è preso da una strana, irremovibile distra- zione: è raccolto a guardare la strada, a seguire la corsa. Si sbottona quasi meccanicamente il cappottino, guardando avanti, corretto e assorto: emergono le sue grosse cosce innocenti, fasciate dalla tela troppo leggera dei calzoni estivi (malgrado l'ora e il freddo quasi invernali).
Lucia, altrettanto distratta, toglie la mano destra dal volante, se la passa sui capelli scomposti (per un attimo si copre anche il viso: e la sua indifferenza irata e cerea, per quell'attimo, si scompone in una smorfia di dolore o di terrore); poi lascia cadere la mano, come per stanchezza, per noia mattutina, anziché sul volante, sul bordo del sedile, abbandonandola lì, alla sua inerzia.
Il ragazzo, che ha sempre guardato avanti - e quindi come ha fatto ad accorgersene? - le avvicina piano piano la sua - forte, di operaio, o di delinquente - e dopo avergliela un istante sfiorata col mignolo, gliela afferra; con uno strattone la porta vicina alla sua coscia coperta dalla tela quasi trasparente; e poi, con un secondo strattone, sul grembo.
La macchina corre per l'asfalto lucido, di una strada che si perde chissà dove.
Ad ogni modo, a destra e a sinistra ci sono le marcite, con intorno le cornici di pioppi: il loro verde è triste e vecchio; la pianura è piatta, senza un'ondulazione; le cattedrali di pioppi traspaiono una sull'altra finendo però presto contro barriere di nebbia stagnante.
A destra c'è una carreggiata con due solchi antichi dei carri e in mezzo la spina dorsale d'erba fradicia - che si spinge per le marcite.
Lucia, quasi meccanicamente, svolta e corre per quella stradina lungo una fila gigantesca e tremolante di pioppi, dove appare, miracolosamente, un vecchio pagliaio abbandonato poco oltre un fosso pieno d'acqua. Ci si arriva per un ponte fatto di due assi marce.
Lucia e il ragazzo scendono dalla macchina, attraversano il ponticello, giungono oltre le muraglie rosse e grigie del pagliaio, tra l'erba grondante di guazza o di pioggia caduta durante la notte.
Il ragazzo la spinge contro il muro, e senza nemmeno prima abbracciarla o baciarla, comincia a slacciarsi la cinta dei calzoni.
Hanno ben presto finito di far l'amore; pochi minuti sono bastati al ragazzo, che si è appena alzato dal letto - pieno del sonno giovanile che l'ha riempito di un seme a cui bastava un nulla per sciogliersi. Riallacciandosi la cinta, egli se ne va, con appena uno sguardo intimi- dito (ma di una timidezza senza imbarazzo) verso Lucia.
Scompare dietro l'angolo, e Lucia indugia a riassettarsi: mentre la smorfia di dolore, o meglio di terrore, le torna a deformare il dolce viso sciupato.
Ma ecco, che dall'angolo del muretto, appare l'altro ragazzo, col suo cappottino leggero e troppo elegantino, col bavero rialzato, e, sotto, dei vecchi blue-jeans. Solo in quel momento Lucia si rende conto del tacito patto, e del fatto che la sua volontà vi partecipava. Il nuovo ragazzo non ha gli occhi azzurri, e non è bello come gli altri, è un ragazzo comune e un po' sgradevole. Lucia si stacca dal muro e fa per andarsene, rivoltandosi contro la violenza e il silenzio di quel patto non formulato: presa ancora dall'idea, vera, che quel ragazzo non le interessa e non le piace. Ma egli la trattiene, con una mano contro la parete - già così sicuro di averla vinta, che non perde la sua infantile dolcezza, e l'aria, scoperta, di chi, in fondo, chiede qualcosa per favore: il peso della sua mano sulla spalla, e il gesto dell'altra mano gia istintivamente sul grembo di giovane padre maturo...
Lucia lascia i due ragazzi nella piazzetta di un paese circondato da fabbriche e pioppi. Essi scendono, e la salutano. Poi vanno animosi, a passo svelto, verso i fatti della loro mattina, in quel luogo che la loro vita ben conosce. Lucia mette in moto e riparte, verso la campagna.
È subito in mezzo alle marcite e ai pioppeti. La mattina si va rasserenando, e il verde brilla mesto e festoso.
Compare un fiume, incassato, tra due cupi argini, verdi di un verde abissale, levigato come l'ottone. Poi un boschetto di pioppi, fitto e con le file regolari infinitamente lunghe, che si perdono là dove trionfa mestamente il sole.
Poi compaiono delle basse valli, che allargano l'orizzonte quasi fino al Po, e nel centro, fra sperduti riquadri di pioppi, delle marcite così scolorite da sembrare quasi bianche, misteriose come risaie orientali.
Le strade puntano tutte verso quelle visioni. E si seguono l'una all'altra, come in un rado labirinto. Voltare a destra è come voltare a sinistra: puntare verso le montagne che albeggiano in una specie di sogno, è come puntare verso la depressione del Po, che compare reale, è vero, addirittura realistica - ma profondamente estranea, come un mondo contadino di epoche lontane e dimenticate.
Così Lucia incapace di ritrovare la strada che la porta a casa, gira per quel labirinto elegiaco, tanto disgustosamente triste malgrado lo splendore del verde. Alle volte gira e torna indietro, nel bel mezzo di una stretta strada d'asfalto, che, davanti o alle spalle, è perfettamente identica; altre volte, dopo avere puntato, a un bivio, verso destra, cambia d'improvviso idea e corre verso sinistra. A perdersi tra le file dei pioppeti, ciechi del loro antico, mai risolto mistero silvestre.
Il disorientamento di Lucia dipinto nella sua faccia, che è come diventata di vetro, nasconde una sola ferrea volontà. Ma quale? Forse non è che un irrigidimento, un rifiuto. Un « no » detto a una verità, sia pur infima, scarsa e disperata.
Imbocca una strada come le altre (forse già percorsa), poi, a un bivio, va, stavolta decisamente, verso destra (ha di qua e di là, gli anfiteatri di pioppeti, resi accidentati dal letto, sudicio per i rifiuti delle fabbriche, di un fiume, forse del Lambro), arriva all'altezza di una carreggiata, con la sua solita costa verde nel mezzo. Qui si ferma, presa, e incantata come da una apparizione, che non la stupisce, non la rallegra, ma semplicemente l'assorbe, immergendola in una rapida serie di calcoli, precisi e ispirati.
Il risultato di questa meditazione, è che Lucia scende dalla macchina e va, a piedi, verso la visione che l'ha fermata nella sua corsa piena di insensate giravolte.
Si tratta di una cappella sola nel centro di una distesa di marcite e pioppeti: una cappella bianchiccia, giallina, piccola, elegante - uscita certamente dalla testa ancora barocca di un artista provinciale, vissuto in pieno neoclassicismo; assurda, dunque, e perfetta, con i suoi composti svolazzi settecenteschi, molto più simili a blasoni nobiliari che a un qualsiasi segno di fede.
Essa è posata, assolutamente sola e isolata, in mezzo alla campagna.
La porticina, scassata, benché rifatta recentemente dai vecchi fedeli dell'ottocento, è aperta: e scricchiolando si apre, alla timida spinta di Lucia.
L'interno è tutto dell'ottocento; triste, per la verità, stupido e bigotto. Ma i banchi in fila, scassati e in disuso come la porta - e un unico, piccolissimo confessionale cascante - appunto perché lasciati in quel totale abbandono, non mancano della malinconia dell'antica, terribile religione, al di là dei cui confini sono passati i miseri fratelli - e si sono perduti con la luce dei loro soli.
Sulla piccola abside, sopra l'altare vuoto e polveroso, è dipinta una crocifissione: certamente dovuta a un povero artista romantico - rozzo e manierato ripetitore di macchine rinascimentali ormai buone solo per il popolo: così che il Cristo appeso alla croce, ha l'aria di un giovane spirituale un poco idiota e ambiguo - ma tuttavia abbastanza virile, con due occhi azzurri pieni di quella che dovrebbe essere la Divina Pietà.
Non entreremo nella coscienza di Lucia. Essa, dopo essersi fatta il segno della croce, è rimasta immobile presso la porta: non c'è altra espressione in lei che quella dovuta al liquido nerume dei suoi occhi, fissi e perduti.
É verso quel Cristo che essa è attratta, lasciando il suo magro corpo, li, vicino alla porta, come una spoglia ritornata alla sua vecchia vita.
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Teorema
Narrativa generale2^ parte: Teorema - Pier Paolo Pasolini {Libro NON mio, NON ne detengo i diritti}