Capitolo XXIX - Il segreto di Argamek

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L'assemblea è sciolta, ma i candelabri d'oro continuano a fiammeggiare nella Sala Riunioni di Umek, intorno al tavolo rotondo.

Calidan li guarda, ne conta cinque e ferma gli occhi sulle fiammelle dei cerini che sussultano, si muovono frenetiche, impazienti, crepitano nell'aria distesa. Gli pare quasi che il fuoco non abbia tempo da perdere e voglia sempre estinguersi sul nascere, come avesse faccende da sbrigare in un altro posto. Però la gente non lo prende ad esempio, perché essa vuole durare finché il sirion e il sangue gli scorrono dentro, le persone non vogliono mai tornare a Melain, nella terra. Se così non fosse, pensa Calidan, Argamek avrebbe anche fatto a meno di quella riunione riguardante il suo successore. Ma il regno non andrebbe bene se tutti i Barbari fossero come il fuoco delle candele. Calidan, come il sovrano ha fatto intendere, sarà il prosecutore di una nazione pacifica e prospera, il fuoco, per così dire, del candelabro che si spegne per ultimo.

Ma non è stata una sorpresa. È stata una sorpresa per qualcuno dei consiglieri meno vicini al re, ma non per Calidan che sta a guardare i fuocherelli.

L'annuncio ufficiale del successore è un momento di eccitazione, di grande apprensione nei confronti del prescelto, e tuttavia al prescelto, quando la seduta è finita, mancano le parole, le forze, i sentimenti anche solo per ringraziare o esprimersi in pubblico.

E allora Calidan pensa alla morte di Argamek. Sono amici, non intimi, ma si conoscono bene, perché le amicizie con grandi differenze di età non sono mai strette, di maliziosa complicità. Però la sua perdita sarà triste, lo sente nell'anima, gli dispiacerà ma non gli dispiacerebbe governare insieme a lui per qualche tempo. Forse si dovrebbe cambiare la legge, cioè programmare un apprendistato per il successore prima della scomparsa del re precedente. Così Calidan ha già deciso quale sarà la sua prima legge, ed è contento di averla pensata sul momento, su due piedi.

Evidentemente, fare il re di Umek non dev'essere tanto arduo. Non ci sono guerre né rivolte, carestie o siccità, ed è facile amministrare la pace. Argamek non ha lasciato problemi insoluti, però Argamek sbuca dal portone e striscia i piedi all'entrata della sala, si ferma sull'uscio, lo guarda sorridendo mesto, come quando, con apprensione, si dà un annuncio triste per certi versi e buono per altri.

«Calidan» biascica, senza più la voce d'un tempo.

I suoi occhi azzurri sono bagnati, non rilucono nella penombra che viene dal corridoio.

«Sire» ricambia il futuro successore, con un sorriso sincero ma perso tra nubi di pensieri.

«Concedimi un poco del tuo tempo, Calidan» dice il re, e mette dietro alla schiena le mani.

Calidan è seduto sulla sua poltrona di consigliere al tavolo di marmo bianco, e ha cinquant'anni. Argamek è alla porta e incede nel corridoio con lentezza, sicuro d'esser seguito.

«Sono dietro di voi» lo avvisa Calidan, mentre si mette in piedi per andargli appresso.

«Per poco, Calidan, manca poco» bisbiglia il sovrano, ma nel castello quelle parole rimbombano.

Il consigliere lascia la stanza ovale con i candelabri lussuosi messi in cerchio. Nel corridoio ampissimo, con le ombre avvinghiate ai ricami d'oro sulla volta, ai diamanti, ai rubini sanguigni, si ergono, ai lati, le statue dei re di Umek, bianche come il latte, enormi come divinità.

Quella di Argamek è in progettazione, e il corridoio è così lungo da ospitare almeno il doppio delle sculture già presenti. Insomma c'è spazio sufficiente a rappresentare i sovrani di Umek fino alla fine dei tempi, se mai ci sarà.

Argamek va sempre più piano, lo slancio iniziale si affievolisce, le mani non sono più intrecciate dietro alla schiena, curva come un tronco robusto piegato dai venti. La strada da fare non è poca, anzi si perde nel buio di quella maestosa galleria ombreggiata.

Nel nome di CalidanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora