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Ernik affondò la spada più e più volte, con rabbia, mentre i soldati nemici continuavano ad avanzare.

Gli uomini delle prime file erano quasi tutti morti, ma Rotoro non sembrava volersi decidere a ritirarsi. Cosa diavolo aveva per la testa, quell'uomo!

Ernik si avvicinò al comandante cercando di appellarsi a tutta l'umiltà che gli era rimasta. «Rotoro, ti prego! Fai suonare quella dannata tromba!» ansimò il ragazzo difendendosi da un altro attacco.

«Torna al tuo posto, Ernik!» rispose il ragazzo dall'alto del suo cavallo, con lo sguardo glaciale che l'aveva sempre caratterizzato. «Sono io il comandante del battaglione!»

Già, è proprio questo il problema. Ernik aveva saputo dal primo momento in cui aveva visto Rotoro all'interno della tenda che con lui come comandante, le cose avrebbero solo potuto peggiorare.

Rotoro era un presuntuoso, un orgoglioso, un egoista. Non gli importava nulla dei soldati: li avrebbe mandati tutti al macello prima di ritirarsi!

«Se continuiamo così non ci sarà più il battaglione, domani!» replicò Ernik infilzando l'avversario alla spalla.

«Stai al tuo posto, ho detto!»

Ernik, allora, prese una decisione. Sapeva che sarebbe incorso in una marea di guai e che forse sarebbe stato condannato per disobbedienza, ma sentiva che avrebbe dovuto farlo.

Così iniziò a correre verso il trombettista a più non posso. «Ritirata!» urlò a pieni polmoni mentre sentiva l'adrenalina scorrergli nel corpo come mai aveva provato. «Ritirata!»

Rotoro, a quel punto, si accigliò e galoppò nella sua direzione con addosso il volto della rabbia. «No! Mantenete la posizione! Continuate a combattere!» ordinò furioso mentre si avvicinava sempre di più ad Ernik.

Ernik non ci pensò ulteriormente: prese in mano la tromba e ci soffiò dentro. Non era certo una melodia orecchiabile, ma tutti i soldati nei dintorni la colsero come un segno di ritirata ed iniziarono a fuggire verso il campo base mettendo in salvo la pelle, sotto gli occhi stupefatti di coloro che avevano assistito alla scena.

Anche Rotoro, ormai scoperto, dovette voltarsi e galoppare in direzione dell'accampamento. Una cosa, però era certa: Ernik l'avrebbe pagata cara!

Amila salì a cavallo ed iniziò a galoppare, affiancandosi ad Ernik. Aveva il volto preoccupato e i capelli imbrattati di sangue rappreso. «Tu sei fuori di testa!» strillò la ragazza facendo un cenno con il capo in direzione del comandante Rotoro.

«Forse hai ragione, Amila» ammise Ernik spronando il suo cavallo lungo la salita dell'immensa prateria. «Ma Rotoro lo è più di me!»

Ernik aveva appena legato il cavallo quando un pugno lo colse alla sprovvista.

«Tu non comandi qui!» urlò il comandante iracondo a pochi centimetri dal volto del ragazzo, ancora stordito per la botta.

Intorno a loro si radunò una piccola folla formata da cavalieri e soldati esausti e coperti di sangue.

«Sono io il comandante!» continuò Rotoro spingendo Ernik contro il palo in legno che sorreggeva la tettoia dei cavalli.

Ernik, a quel punto, reagì e allontanò l'altero ragazzo con la mano. «Allora, comportati come tale e non come uno spocchioso egoista!»

Gli occhi di Rotoro divennero due fessure, tanto che avrebbe potuto incenerire Ernik con lo sguardo. «Che hai detto?»

«Mi hai sentito» ribatté il ragazzo senza scomporsi, anche se, dentro di sé, il cuore sembrava volergli bucare il petto. «Ci stavi mandando tutti al macello per il tuo maledettissimo orgoglio!»

LA QUINTA LAMA (II) - La guerra del demoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora