Stelle cadenti

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Prima che voi leggiate, voglio soltanto dire una cosa. Scrissi questo testo due anni fa e l'ho ritrovato qualche giorno fa, nelle bozze degli appunti. Non mi era neanche passata per la mente l'idea di condividerlo con voi, perchè l'ho sempre ritenuta come un ricordo personale e non mi è mai andata di parlarne. Però, rileggendola, ho pensato potesse insegnare tante cose, non solo a me, ma anche a tutti gli altri. E niente, questo è tutto.


Rimasi a fissare l'orizzonte fino a quando il sole non sparì completamente dalla mia vista.
In realtà rimasi lì ancora un po'. Era piacevole sentire il vento tiepido sulla pelle e la sabbia tra le dita.
Chissà quanti granelli formano una spiaggia. Da piccolo pensavo che la sabbia si formasse cadendo dal cielo. Una specie di pioggia, no?
Poi un giorno, mia sorella mi spiegò che la sabbia si formava dalle rocce, che venivano erose e consumate dalle onde. In sostanza le rocce non muoiono mai: cambiano forma, dimensione, alcuni granelli si disperdono nell'aria, ma nessuno di questi smetterà mai di esistere.
Chissà quante persone avevano toccato quel granello. Chissà quanta gente se l'era scrollato di dosso quel granello. Se potessero parlare, ai granelli di sabbia non basterebbe una vita intera per raccontare la loro storia. E ora, quei granelli di sabbia  conoscevano anche me.
Mi alzai, col cuore leggero e la testa assorta nei miei pensieri contorti. I miei amici erano seduti su una panchina del molo e schiamazzavano e ridevano, come se fosse la giornata più felice del mondo. Sorrisi. Era bello vedere i miei amici ridere. Pensai di raggiungerli e feci per incamminarmi nella loro direzione, quando sentii un leggero scalpiccio sul vialetto dietro di me.
Mi girai. Era un bambino col viso imbronciato che correva impacciato e allungava le mani, come per per catturare qualcosa. Aveva un berretto rosso in testa, che gli dava un'aria ancora più buffa.
Era da solo. Mi guardai attorno, magari i suoi genitori erano lì da qualche parte e lo avevano lasciato giocare. Ma non c'era nessuno oltre a me e un gabbiano che beccava dei pezzettini di pane sul bagnasciuga.
Il bimbo nel frattempo si era arreso. Si sedette per terra e incrociò le braccia. Poi scoppiò a piangere.
"Ehi, tutto bene?" Sussurrai accovacciandomi vicino a lui.
Allargò gli occhi meravigliato mentre mi osservava. Quegli occhi celesti erano la cosa più bella che avessi mai visto. Quegli occhi racchiudevano tutte le sfumature di blu esistenti, dall'azzurro chiaro durante le prime ore del mattino a quello intenso e burrascoso dell'alto mare nel pieno di una tempesta.
"Io sono Jacopo. Tu come ti chiami?".
Smise di piangere e ridacchiò arricciando il naso.
"Riccardo" mormorò timidamente inclinando il viso.
"Oh piacere di conoscerti Riccardo" dissi allungandogli la mano e imitando una voce goffa e roca che mi era venuta in mente in quel momento.
Rise di nuovo e mi strinse la mano. La sua manina in confronto alla mia era minuscola. Mi si strinse il cuore.
"Dove sono i tuoi genitori Riccardo?". Lui scosse le spalle con indifferenza.
Poi mi mostrò il polso. Aveva un braccialetto con un numero di telefono.
"Puoi chiamare la mia mamma se vuoi" disse divertito. Chiamai il numero e mi rispose la voce di una donna trafelata. Si sentiva fosse preoccupata, e mi chiese gentilmente di aspettare con Riccardo fino a quando non fosse arrivata.
"Bene, che cosa vuoi fare mentre aspettiamo la mamma?". Lui corrugò la fronte pensando. Indicò il mare.
"Vuoi andare a vedere il mare?". Annuì e alzò le braccia per essere sollevato.
Lo presi in braccio, e nel mentre il  cappello gli cadde dalla testa.
Sentii il cuore fermarsi. Lui continuò a sorridere scalciando con i piedi per incoraggiarmi a camminare, ma io ero scioccato, non riuscivo a parlare, sentii la bocca farsi secca d'improvviso.
Riccardo non aveva i capelli.
"Andiamo?" Disse scocciato, non capendo la mia reazione.
Mi costrinsi a riprendere il controllo di me stesso. Raccolsi il cappello, glielo diedi, e camminai verso il mare, senza dire una parola.
Sentivo gli occhi pizzicare.
Riccardo era leggero, troppo leggero per la sua età. Riccardo profumava di pomeriggi trascorsi a correre, e di sole, e di aria salmastra.
Riccardo era un bambino come gli altri, eppure ci volle tutta la mia volontà per costringermi di non piangere. Perchè Riccardo era malato, ed io non me n'ero accorto.
Arrivammo a riva e lo posai a terra.
Tirai un sasso in acqua, incazzato con tutti, incazzato con il mondo, che aveva fatto una cosa così brutta a un bambino così piccolo.
Lui mi ricopiò, e lanciò un sassolino in acqua, per poi fissare con aria sorpresa i cerchi concentrici che man mano si allargavano.
"Mmh mi stai sfidando?" Scherzai. La mia voce riuscì a mantenere il controllo, nonostante dentro di me stesse gridando.
"Sono più forte io!" Rispose, prendendo un altro sasso e lanciandolo lontano.
"Accipicchia signorino Riccardo, lei sì che è un uomo forzuto, ma attenzione, Jacopo è ancora più forte" gongolai gettando un altro sasso nel mare.
Continuammo così, fino a quando Riccardo non si girò e corse incontro a sua madre.
La madre lo prese in braccio e lo riempì di baci, e dopo avermi ringraziato ripetutamente e salutato insieme a Riccardo, lasciarono la spiaggia.

Riccardo e sua mamma vennero a trovarmi il giorno dopo, e quello dopo, e quello dopo ancora.
Incominciò a chiamarmi "Copo" perchè faceva fatica a pronunciare l'intero nome.
Passavo pomeriggi interi a raccontargli storie, a giocare con lui e a coccolarlo. Riccardo divenne una leggenda nell'intera spiaggia: lo conoscevano tutti, i miei amici lo adoravano e tutti erano d'accordo sul fatto che fosse il bambino più tenero e intelligente del mondo.
Era diventato il fratellino che non avevo mai avuto, lo amavo come un membro della famiglia e non lo avrei mai lasciato andare.
Riccardo era come una stella cadente. Quelle che si vedono in certe notti d'estate, ma che durano talmente poco da non fare in tempo a esprimere un desiderio che è già  stata inghiottita dal buio del cielo.
Riccardo era la mia stella cadente. Una di quelle improvvise, che ti lasciano senza fiato e ti fanno restare a bocca aperta, ma che quando se ne vanno, ti lasciano un vuoto incolmabile nel cuore.
Riccardo era malato di leucemia. Ho smesso di chiedermi come mai, proprio a lui, tra la marea di gente che esiste al mondo, gli fosse capitata una cosa del genere. Era così e basta. Potevo piangerci su quanto volevo, ma niente avrebbe cambiato le cose.
Una sera di inizio settembre, si era accoccolato su di me. Era così piccolo, così fragile, sembrava sarebbe bastato un soffio di vento per frantumarlo in mille pezzi.
Lo strinsi a me. Il suo cuoricino rimbombava nel mio petto. Era lento, tranquillo, come il rumore delle onde del mare.
"Jacopo, lo sai che sei il mio migliore amico?" Sussurrò, quella sera. Non risposi. Non dissi niente. Sapevo che se solo avessi provato a parlare, sarei scoppiato in un pianto dirotto, e non volevo dargli questo ricordo, no.
Mi limitai a sorridere e a baciargli la testolina tiepida.

L'estate era finita. Tutti ritornavano nelle proprie città, compreso me, che dovevo iniziare la terza media.
Continuai a tenermi in contatto con lui, anche nei mesi seguenti. Stavamo ore al telefono a parlare. Mi mancava, come ti manca l'aria quando sei sott'acqua da troppo tempo.
Faceva male saperlo così lontano da me. Mi mancava la sua risata, mi mancava la sua vocina e dal telefono non era la stessa cosa.
Eravamo entrambi impazienti di rivederci l'estate prossima, e nel frattempo le nostre vite continuavano, forse la sua con qualche fatica in più.

L'estate era arrivata, finalmente. Ma lui non c'era più.
Sua madre non me lo disse mai direttamente.
Ci eravamo dati appuntamento un pomeriggio verso fine Giugno, ma vicino a lei non scorsi nessun berretto rosso.
Mi lasciò un disegno. Disse che lo aveva fatto per me, ma per qualche motivo non me lo aveva mai dato.
Non starò qui a scrivere il dolore che ho provato. No, non lo farò, perchè oltre al fatto che non basterebbero neanche trecento pagine per descriverlo, penso non ne sarei capace.
Non mi lamentai più di niente da quel momento in poi, perchè Riccardo, nonostante tutto, non lo faceva mai.
Riccardo aveva tanta voglia di vivere, tanti sogni da realizzare, e questi erano volati via, come parole al vento.
Non ho mai smesso di pensarti, sai? Sono tanto arrabbiato, perchè non ti meritavi tutto ciò. Mi hai insegnato molte cose, forse anche più di quelle che avrei voluto insegnarti io, e anche questo mi fa arrabbiare. Avrei potuto dare di più. Avrei potuto darti di più. Ma non c'è stato abbastanza tempo. Non ti dimenticherò e ti giuro che questa è una promessa.
Riccardo ora è una stella cadente.

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