Il Limbo

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14/09/18 7:30
"driin driiin"
"Ew, sta zitta bestia di satana" mi alzo dal letto pieno di vestiti che ieri sera non riuscivo a scegliere. "Okay astrid, tranquilla, hai ancora un'ora e mezza per scegliere l'outfit, il trucco e tutto il resto, ancora un'ora e mezza"
Scendo le scale e come sempre mamma e papà litigano.
"Diamine! Ma le vuoi pagare le bollette? Finiremo per diventare poveri vivendo di debiti! Trovati un lavoro decente cristo santo!"
"Mi hanno appena licenziato, spiegami come cavolo lo trovo un lavoro in così poco tempo! Sei una donna inutile!" si sentì una mano colpire furentemente una soffice guancia.
Era la centotrentaquattresima volta che papà menava mamma, le ho contate, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, e non potevo fare nulla, potevo solo stare lì a guardare e aspettare che qualcuno salvi quella che ormai non era più la mia famiglia. Dietro di me sento qualcuno singhiozzare, mia sorella Jane era lì con me, e aveva visto tutto, ancora.
"Ehy, non è nulla, papà si è solo arrabbiato, non è nulla."
"Siamo una brutta famiglia" afferma tra un singhiozzo e l'altro.
Quelle quattro parole bastarono a far alterare mio padre ancor di più.
"Sei talmente inutile da aver messo al mondo una stupida adolescente senza amici e una ragazzina che non apprezza il fatto che vado a lavorare dalla mattina alla sera solo per portarvi a casa dei soldi!"
"Non porti a casa proprio nulla, solo le tue inutili molestie nei confronti della mamma! Vergognati!" Mi ero arrabbiata, così decisi di intervenire e provare a sconfiggere quel mostro che gironzolava per casa bevendo birra e gironzolava pavoneggiandosi per il quartiere.
"Vergognati te! Igobile caso umano!" Mi diede uno schiaffo, ero abituata, così presi Jane e me ne tornai in camera mia, con gli occhi lucidi, non di tristezza, provavo un senso di rabbia, repulsione verso il mondo.
Si erano fatte le 8:30, così iniziai a prepararmi. "Felpa corta, jeans strappati e fila mi stanno a pennello" ho detto mentre papà entrava in camera.
"Dove vai?" Mi chiese con aria disgustata
"A scuola, ovviamente." Risposi freddamente
"Inizi oggi? Non lo sapevo, perché non me l'hai detto?"
"Non ritenevo importante dirtelo"
Presi il mio kanken e uscii dalla mia camera, presi il telefono, le chiavi e me ne andai prima che qualcuno potesse fare commenti sul mio outfit o su qualunque altra cosa che andasse male in me.
8:50
"Tra 10 minuti dovrei entrare a scuola e l'autobus non si fa vivo, siamo seri?" Pensai mentre ascoltavo Ultimo nelle cuffiette
"Ehy tu! Levati!" Sentii a malapena, ma non ci feci caso. Lo risentii almeno altre due volte, finché qualcuno non ki venne addosso con uno scateboard.
"Cavolo ma ci senti quando uno parla?"
"Come scusa? Ero con le cuffiette, pretendi che ti stia a sentire?" Risposi amaramente
"Ma sei stupida? Guarda che se stai aspettando l'autobus, questa fermata il lunedì la salta..." mi disse
"E perché dovrei dar retta ad un pessimo guidatore di scateboard?
"Fa' come vuoi, io ti ho avvisata" riprese la sua strada con il suo orribile marchingegno con le rotelle.
Sono sempre stata una ragazza troppo orgogliosa, per cui rimasi lì, finché non lessi "9:00" sul mio cellulare.
"Diamine!" Pensai.
Dopo 20 minuti a piedi arrivai a scuola, la mia nuova scuola.
"Ciao! Sei Astrid Kolton? Piacere, io sono Leonard James, ma puoi chiamarmi Leo. Sono il giornalista più famoso, nonché l'unico, della scuola! Se hai dubbi su qualunque cosa sono a tua disposizione! Faccio e sono di tutto: spalla su cui piangere, migliore amico, fidanzato se vuoi, tutor..."
"Ok ok ok basta, sei assillante. Sono solo in cerca della segreteria. Sei sai dov'è bene, altrimenti sparisci." Risposi
"Ma certo che so dov'è! Sempre dritto, sali le scale, vai a destra poi a sinistra e infine scendi le scale e torni indietro. No dai scherzo ahah! Giri qui e te la ritrovi sulla destra!"
"Grazie." Me ne andai da quello psicopatico il prima possibile.
Continuai a camminare, finché non arrivai davanti alla porta della segreteria. Bussai e trovai lo scater della fermata che parlava con un uomo più o meno sulla mezza età.
"Beh, non mi ringrazi?" mi disse
"Per cosa scusa?" risposi
"Ti ho impedito di arrivare tardi, o almeno ci ho provato"
"Ah, beh grazie"
"Buongiorno, sono il Preside Jonson, lei è la nuova alunna?" intervenì l'uomo
"Si, salve. Mi scusi il ritardo, ho avuto dei problemi con l'autobus"
"Ho saputo. Cos'ha sulla guancia?" affermò. Mi ero dimenticata di coprire il segno che mio padre mi aveva lasciato stamattina.
"Sembra proprio il segno di uno schiaffo" affermò lo scater
"No, sono andata a sbattere" dissi balbettando
"Astrid, sei sicura?" annuii e me ne andai.
12:30 *in mensa*
"Che schifo di cibo, è tutto così pastoso" pensai.
Vidi lo scater avvicinarsi e cercai di coprire lo stampo della mano di quel maniaco di mio padre. Si sedette al tavolo con me.
"Chi te l'ha fatto?" mi chiese con compassione.
"Nessuno"
"Se nessuno equivale a qualcuno che ri ha fatto del male, vedrai che quel nessuno sparirà dalla tua vita molto in fretta, finché ci sono io. Piacere, io sono Max"
"Non ho bisogno di nessuno, Max. Ora scusami, ma devo andare." me ne andai con un mezzo sorriso.
15:00
"Driiin, driiin"
"Seconda campanella del giorno, mica male direi..." pensai. Uscii dalla classe il più in fretta possibile prima che qualcuno possa fare domande riguardo la manata sulla mia guancia.
"Ehy personachenonhabisognodinessuno, come va?" il ragazzo incredibilmente fastidioso mi aspettava fuori dalla classe, e ovviamente avrei dovuto aspettarmelo.
"Vattene"
"No, ti accompagno alla fermata dell'autobus, quello che stamattina non hai voluto prendere a causa del tuo orgoglio" mi disse con il sorriso sotto i baffi
"Senti, accetto la tua gentilezza nei miei confronti, ma non ho intenzione di stare a sentire nessuno"
"Ehy, io non sono nessuno, io sono Max Minton e non pretendo che tu mi stia a sentire, se vuoi ti accompagno in silenzio..."
Era troppo dolce, sapeva ribaltare qualsiasi situazione e questa cosa mi metteva molto a disagio, per cui lasciai stare e lo feci venire con me.
"Ehy, tu..." provò a dire
"Avevi detto che saresti stato in silenzio, quindi ora zitto e cammina" dissi in tono di sfida.
Il silenzio era troppo agghiacciante, per cui cercai di dire qualcosa
"Hai un animale domestico?" chiesi stoltamente.
"Cosa? Ehm.. sì perché? Ho un cane" mi disse sorpreso.
"Okay" e continuai a camminare indifferente.
"E tu? Ne hai uno?"
"Si, mio padre, è un animale molto poco addestrato" girai l'angolo e me ne andai. Rimase lì, fermo, a guardarmi e io come una stupida ero rimasta impalata a proseguire quella strada buia davanti a me, avevo paura, non volevo andare a casa, volevo tornare indietro e chiedergli scusa, ma sono troppo orgogliosa, non ci riesco.
"Sono a casa" nessuno rispose. Entrai in camera e mi chiusi a chiave.
Si fecero le otto di sera, ma non avevo ancora sentito nessuno, finché non mi venne fame e scesi in cucina a chiedere da mangiare a quella povera di mia madre. Era lì, stesa per terra, con un pacchetto di pasticche in mano, non sapevo che fare, corsi su, ma mio padre non c'era, andai in camera di mia sorella e la trovai lì, seduta a piangere. Cavolo era il giorno più brutto della mia vita. Panico. Corsi da mia madre e cercai di rianimarla ma niente, era morta. Non abbiamo mai avuto veri rapporti madre-figlia, per cui non mi venne da piangere. Rimasi lì, a fissarla, finché non torno mio padre.
"Preparami una birra" disse
"Papà, la mamma" affermai
"La mamma cosa? Eh?"
"Papà è morta cavolo!"
"E non fai nulla! Incompetente! Portami quella birra e chiama le onoranze funebri!"
Sembrava di essere in un cartone animato, non gliene fregava nulla a nessuno, solo a mia sorella. Che brutta morte, non mancava a nessuno e io non avevo un cuore. Era pur sempre mia madre.
"Deficiente alzati! Tua moglie è morta!" gli dissi.
Si alzò, non riuscii a realizzare che mi prese per il collo e mi sbatté al muro
"Ti ammazzo" sussurrò.
Non fece in tempo a dire qualcos altro che qualcuno sfondò la porta e gli punto la pistola in testa.
"Sceriffo Blendsville, posso fare qualcosa per lei?" affermò con la massima cautela.
00:34
Mio padre era stato portato via, mia madre era morta ed io e mia sorella eravamo lì, in quella dannata stazione di polizia a sperare di tornare a casa.
"Stanotte dormirete nei vostri letti, ma da domani dovrete separarvi" quelle parole dello sceriffo rimbombavano nella mia testa. Mia sorella era troppo piccola per capire, ma anche per sopravvivere senza una famiglia, senza me. Avevo già programmato una fuga.
Tornammo a casa, dormimmo nel letto di mamma e papà, per poi aspettare io giorno successivo.
La peggior notte della mia vita.

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