«E pensare a quanto tradirono
tutti quei baci
Che tolsero via dalle bocche le frasi
Che avremmo voluto gridare
Per convincerci che
Di amarci noi non ne saremmo
mai stati capaciE allora tu spiegami dei nostri baci
Il senso e se un senso lo trovi
Dimmi almeno qual è»Doverose premesse: questa storia é nata come una os ispirata a Centomila volte, ma, man mano che scrivevo, ha preso vita propria ed é venuto fuori quanto segue. É strutturata su due piani temporali: il passato -i flashback in corsivo-, ossia il periodo che stiamo vivendo ora, ed il futuro, tra dieci anni a partire da adesso, a Londra, nel periodo di Natale. Ovviamente i personaggi non mi appartengono e non pretendo di conoscere gli eventi né tantomeno di predirli. É tutto frutto della mia fantasia e della mia passione per lo psicanalizzare le persone ahahah
Per chi avrà voglia di arrivare fino in fondo, vi aspetto nelle note finali ♥Giuro non mi sentirai
sarò lontano dal tuo mondo
come un satellite dimenticato
nello spazio
ti guarderò come si guardano
le stelle a San LorenzoRoma - giugno 2018
"Fil?"
Quando Einar aprì la porta della casetta dei blu per poter uscire in giardino, il buio lo accolse, lasciandolo per un istante spaesato. Aspettò una manciata di secondi, il tempo necessario per permettere ai propri occhi di abituarsi all'oscurità e ricominciare a distinguere i contorni delle cose, poi finalmente fece qualche passo avanti guardandosi intorno alla ricerca di Filippo.
"Fili?" ripetè, questa volta sfruttando quel piccolo soprannome che gli aveva affibbiato tempo prima, al pomeridiano, quando a malapena si conoscevano e gli piaceva infastidirlo, e che era ben presto divenuto il suo segno distintivo, qualcosa che apparteneva solo a lui e che Filippo permetteva solo a lui di utilizzare.
"Ein" la voce di Filippo lo richiamò ed Einar non ci impiegò molto a scorgerlo seduto in disparte sotto il porticato, la schiena poggiata ad una colonna ed un quadernino stropicciato adagiato sulle ginocchia raccolte al petto.
Lo raggiunse e gli si sedette a fianco, godendosi il lieve bacio che l'altro gli lasciò sulla tempia.
"Come mai ancora sveglio?" chiese Filippo.
Einar si strinse nelle spalle, tacendogli l'accozzaglia di pensieri che non lo stava facendo dormire da giorni e che solo Filippo con la propria presenza e con quella sicurezza innata che lo aveva sempre contraddistinto riusciva a placare.
"Non riuscivo a dormire" si limitò a dire, accoccolandosi contro la sua spalla. "Come sta andando con la canzone?"
Filippo sorrise, lanciando un rapido sguardo al quadernino abbandonato sul suo grembo dove, in una calligrafia resa ancora più illeggibile dal buio, le barre del duetto per Elisa si rincorrevano distrattamente sul foglio di carta, in attesa di trovare una degna conclusione.
"Bene, dai" rispose, sfogliandolo senza scopo alcuno per poi tornare alla pagina iniziale. "Stavo solo cercando le parole giuste per chiuderla. Ti va di darle un'occhiata? Magari mi aiuti ad aggiustare qualcosa"
Einar si fece un po' più vicino, raccogliendo tra le proprie mani il quaderno e lasciando vagare lo sguardo su quelle parole che erano l'espressione concreta dei più profondi pensieri di Filippo, delle sue paure e dei suoi turbamenti, della sua rabbia, della sua indignazione, di quella forza dirompente che come un fiume in piena faceva piazza pulita di tutto ciò che aveva intorno. Quelle parole che erano l'espressione concreta di ciò che era Filippo in ogni sua più dolorosa sfumatura. Filippo il bambino fuori dal coro, Filippo l'adolescente con troppi sogni su una panchina abbandonata, Filippo il giovane disilluso con in mano un contratto vuoto e con un vuoto nel cuore. Filippo che non si era arreso mai e mai lo avrebbe fatto. Filippo che continuava a gridare anche ora che era sul tetto del mondo e lo faceva con canzoni rabbiose, stridenti, avvelenate di passione. Filippo in tutta la sua poetica decadenza e la sua incommensurabile voglia di rialzarsi. Filippo.
Più Einar leggeva il testo di quella canzone e lo aiutava timidamente ad aggiustare ciò che non lo convinceva, più si faceva spazio in lui la consapevolezza che uno come Filippo nella vita avrebbe potuto fare tutto, ma niente gli sarebbe mai venuto così bene come scrivere canzoni. Ed era così ingiusto, così meschino ed irrazionale il fatto che avesse dovuto lottare talmente a lungo per essere lì a guadagnarsi un traballante futuro, potendo contare solo su quell'unica certezza che, su un palco enorme o per strada, la musica non se ne sarebbe mai andata.
Avevano abbandonato la canzone da un po', limitandosi a rimanere accoccolati in silenzio uno accanto all'altro, quando Einar si decise a dar finalmente voce ai propri pensieri.
"Non allontanarti, ti prego" disse a bassa voce, in un sussurro appena udibile, tanto che per un attimo sperò che l'altro non l'avesse sentito.
"Mh?" chiese Filippo, destandosi anche lui dal torpore in cui erano caduti.
Einar si allontanò di poco per poterlo guardare, ma quando i loro occhi si incontrarono sentì comunque il coraggio venir meno.
"Dopo la finale" disse, abbassando lo sguardo sulle proprie mani che stringevano ancora il quaderno che Filippo gli aveva dato. "Quando non saremo più qui. Non sparire"
Sopra la loro testa la coperta nera del cielo era chiazzata di stelle, piccoli ricami scintillanti dispersi nello spazio, mondi inesplorati, universi che avevano in sé la dirompente luce di Filippo, una luce lontana, irraggiungibile.
Filippo lo guardò per un lungo istante, l'espressione indecifrabile.
"Non sono io quello che ha una fidanzata che lo aspetta a casa" disse e non c'era rabbia nella sua voce, non c'era nemmeno una particolare accusa a dire il vero, c'era solo una lieve confusione e la volontà di capire cosa Einar gli stesse dicendo.
"Non sono io quello per cui domani le cose cambieranno completamente"
Tra tutte le cose che Filippo si sarebbe potuto aspettare di sentir dire da Einar, quella era di gran lunga la più assurda.
"Di che parli?" chiese, allontanandosi di poco dalla colonna a cui era poggiato per poterlo guardare in viso.
"Di questo" rispose Einar indicando lo spazio intorno a sé, come se questo bastasse a rendere chiaro ciò che aveva in mente e che chiaro in realtà non lo era affatto, non per Filippo almeno. "I talent, le piccole esibizioni, l'arrampicarsi sugli specchi. Io ci sto provando con tutte le mie forze, Fil. E Carmen, anche lei ci sta provando. Ed Emma e Simone. Noi ci stiamo provando davvero, ma abbiamo ancora tanta strada da fare. La nostra gavetta non é ancora finita e chissà se lo sarà mai"
"Ein" mormorò Filippo cercando di interromperlo, ma lui non gliene diede modo.
"Tu- ci hai provato così a lungo. É giusto che tu non debba provarci più"
Filippo scosse la testa energicamente, mettendosi seduto composto.
"Sono tutte cazzate, Ein" mise in chiaro, cercando volontariamente il suo sguardo. Non voleva essere brusco, non voleva spaventarlo, ma non voleva nemmeno che quello fosse il pensiero fisso di Einar a due giorni dalla finale. "Io dovrò continuare a provarci come tutti voi. Cosa pensi, che fuori di qui tutto sarà semplice? Che la mia musica farà in un attimo il giro del mondo e non dovrò più preoccuparmi di niente? Il successo é così passeggero. Il fatto che qui stia andando bene non conta niente. Sono solo numeri"
"Ma i numeri contano" Einar era estremamente serio e questo spiazzava Filippo. "Forse non sempre, ma contano. Pensi davvero che là fuori non sarà diverso? Che saremo gli stessi che siamo qua dentro?"
Filippo esitò, perché non era bravo a mentire. Ciò che pensava gli si leggeva in volto e forse le cose non stavano esattamente così, forse non era così esaltante il futuro che gli si prospettava davanti, ma su una cosa Einar aveva ragione: mai più, dopo quella notte, sarebbero stati gli Einar e Filippo che erano stati lì dentro.
"É giusto così, Fil" gli assicurò Einar con un dolce sorriso, rassicurante e malinconico. "Davvero, non vorrei nient'altro per te che questo. Ho solo paura che nella tua nuova scintillante vita io-"
Si interruppe e Filippo gliene fu grato, perché non avrebbe retto una parola in più di quello che Einar gli stava dicendo. Le sentiva dentro come lame quelle parole, vetri accumunati e scintillanti affondati nello stomaco dove un senso di nausea e di terrore si era già annidato dall'inizio della conversazione.
"Ein.." sussurrò piano, rassegnato, tirandolo a sé e stringendolo, le labbra premute contro la sua tempia ed un silenzio carico di cose che non poteva dirgli, di paure che non poteva esternare, perché il solo farlo le avrebbe rese estremamente reali e non avevano bisogno di questo adesso, non potevano permettersi di affrontare così tanto a poche ore da quel giorno che avevano aspettato con tanta urgenza per mesi e che adesso avrebbero solo voluto rimandare in eterno.
Non gli disse niente Filippo. Non gli disse che le cose sarebbero andate bene e non gli disse che non lo avrebbe mai perso. Non gli inventò scuse banali, non cercò di alleggerire le sue paure, di lenire quel dolore e quella sensazione di vuoto che verosimilmente anche Einar come lui sentiva dentro. Non aveva le risposte, Filippo, e non ne avrebbe date di parziali o di scontate, non ad Einar.
Restarono per qualche istante in silenzio, stretti in quell'abbraccio al quale entrambi si stavano aggrappando nella speranza che, ignorando il resto del mondo, il tempo si sarebbe fermato.
"Io vado a dormire" sussurrò Einar dopo un po', regalandogli un piccolo sorriso incoraggiante, come a voler sottolineare che non ce l'aveva con lui, che quella conversazione non avrebbe cambiato le cose tra di loro. "Le prove di oggi mi hanno davvero stremato, te lo giuro. Di questo passo non ci arrivo sano di mente alla finale"
Filippo sorrise, mentre lo osservava alzarsi in piedi e sistemarsi il cappuccio della felpa nera sulla testa.
"Quanto sei melodrammatico" lo prese in giro, tirandolo per il bordo della maglietta per lasciargli un lieve bacio sulla bocca schiusa.
Restò per un istante immobile a godersi quella sensazione di calore e leggerezza che solo Einar, con quel sorriso piccolo ed innocente premuto contro le sue labbra, era in grado di dargli.
"Ti aspetto a letto" gli sentì dire e fece in tempo a rubargli un ultimo bacio, prima di vederlo scomparire al di là della porta della casetta dei blu.
Filippo lo seguì con lo sguardo finché potè, poi tornò a fissare il foglio di fronte a sé e le parole che gli servivano per chiudere la canzone fluirono dalla sua penna alla carta in una maniera talmente spontanea da spaventarlo.
STAI LEGGENDO
Sigarette sbagliate e puntini di sospensione
FanfictionLondra, dicembre 2028 Sono passati quasi dieci anni dall'ultima volta che Einar e Filippo si sono visti, dieci anni dall'ultima volta che hanno avuto notizie l'uno dell'altro. Einar cammina per una Londra addobbata a festa senza nemmeno prestare att...