Per Un Poco Di Cash.

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Era passata una settimana da quel terribile momento che Irama aveva passato, ma in questi sette giorni non aveva ancora giustificato la sua reazione. Quel venerdì, finite le lezioni, e sapendo che non ci sarebbe stata alcuna puntata il sabato, sperava in un weekend di svago. Aveva già pianificato il tutto: sarebbe tornato a casa, tra le braccia delle persone a lui care, chiudendosi in studio con il suo migliore amico, Lorenzo, a fare musica - quella sana, quella istintiva, quella che crei per puro piacere personale.

I suoi piani, però, vennero distrutti dall'entrata di Biondo che alle undici di mattina aveva interrotto i piensieri del cantante, sdraiato sul divano della sala relax ad occhi chiusi, e con tono seccato aveva detto: «Smontateve i piani, regà! Gita con la Turci. Dobbiamo essere sul pullman tra dieci minuti!»

«Dove andiamo?» chiese Irama aprendo gli occhi e dando finalmente attenzione al rapper che continuava a scuoterlo come un salvadanaio.

«Se torna a casa, bro. Andiamo a Milano.» gli rispose l'amico facendogli l'occhiolino.

Quella fu una delle rare volte in cui Irama si alzò con poche difficoltà. Andò in bagno, aprì l'armadietto e tirò fuori il cellulare accendendolo. Non trovando nessuna notifica, mandò in contemporanea un messaggio a Lorenzo e alla sorella avvisando loro che stava per tornare a casa a casa. Il punto d'incontro sarebbe stato il duomo.

Passò le quattro ore di viaggio dormendo. Non si guardò nemmeno intorno una volta arrivato; ascoltò semplicemente il discorso della Turci.

«Siamo qui per studiare delle tecniche di canto. Questa non è una gita di piacere! Questo posto metterà a dura prova le vostre emozioni, giocherà con la vostra concentrazione e dovrete essere voi ad avere la meglio da questa esperienza. Faremo degli esercizi di gruppo, non voglio vedervi scorrazzare come se foste dei turisti. Quella che affronterete sarà un'esperienza di vita che va oltre il programma, oltre la musica. Se dovreste avere qualsiasi tipo di problema, avvisatemi subito!»

Il silenzio regnava in quel veicolo, e Irama approfittò di quel momento per far sapere ai suoi destinatari di fare qualche metro in più, che la meta era il Policlinico di Milano. Entrare in quel posto era come tornare a casa: aveva passato gli anni dentro a quel posto. Per tanto tempo, tutti i santi giorni, andava là. Agli occhi delle persone lui era un pendolare. Conosceva bene ogni angolo di quel posto, e il bar era sempre stato il loro punto di ritrovo.

«Possiamo almeno prenderci un caffé?» propose, scatenando commenti di esaltazione da parte dei suoi compagni. Erano tutti stanchi dal viaggio.

«Va bene, vado a chiedere dov'è il bar così-»

«Lo so io, è di qua!» interruppe la professoressa guidandoli nella grande caffetteria dell'ospedale. Una volta entrati si dispersero tutti: chi entrava nel negozietto a far rifornimento, chi si era fiondato sulla cassa e chi stava al bancone ad ordinare.

Irama si ritrovo in mezzo a quattro braccia che lo stringevano: erano Jolanda e Lorenzo. Salutò entrambi ricambiando la stretta; era da troppo tempo che non li vedeva e solo in quel momento si rese conto di quando gli mancavano.

«Guarda chi abbiamo qua!» salutò Andrea, il gestore della caffetteria, con una stretta di mano. «È da un bel po' che non ci si vede! Questo è il ritorno dei tre moschettieri? Come mai qui? Tutto a posto questa volta, vero?» chiese a loro tre, oramai parte integrante di quel posto.

«Gita col programma!» rispose Irama con un'alzata di spalle, per poi passare i prossimi cinque minuti a salutare tutti coloro c'erano là. Sia con il personale che con i pazienti di vecchia data aveva costruito un rapporto; soprattutto con Giulia, una ragazza della sua età, malata di leucemia, che durante la sua permanenza in quell'ospedale aveva assistito alla creazione di tutte le canzoni di Filippo. In due anni la malattia non le aveva ancora dato tregua, e per immortalare un momento felice gli chiese di fare una foto - aggiungere alle altre cento che riempivano la sua stanza ospedaliera.

«Abbiamo una popstar qui!» ammiccò la Turci, commentando la scena a cui stava assistendo.

«Forse ci si sente un po' troppo!» borbottò Carmen, scatenando le antipatie della sorella. Filippo, una volta salutati tutti, nel sentire il commento della partecipante placò la risposta della sorella con un abbraccio e un bacio sulla tempia. Seppur fosse più grande e più alta, lui si comportava come se fosse il fratello maggiore.

Una volta davanti l'ascensore la maggioranza decise di tuffarsi nel reparto prenalate.

L'unico che aveva votato contro, senza considerare Biondo, Lorenzo e Jolanda, era Irama. Andò con loro, ma nel momento in cui dovettero varcare la soglia disse: «Non ci pensate nemmeno, io non entro!»

«Scusami?» chiese Paola.

«Ha sentito bene! Non intendo metterci piede, io non entro!»

«Irama, non è una gita di piacere! Non siamo sul palco dell'Ariston per vedere quanto è bella la visuale o quanto può essere grintoso esibirsi a Sanremo. Non ti obbligherò ad entrare, ma sappi che così facendo stai rifiutando un compito che ti è stato assegnato!»

«Non me ne frega un cazzo del compito! Sono una persona, non un fottutissimo numero. Ma è così che funziona il mondo, no? Fin da piccoli cresciamo in mezzo a delle persone che ci etichettano con dei numeri, abitudine che prendiamo noi stessi quando entriamo nell'adolescenza, quando compariamo i primi baci, quando ci iscriviamo sui social ed è più importante avere un maggior numero di seguaci rispetto a chi seguiamo noi. E la stessa cosa vale per l'arte, giusto? La musica e la scrittura vengono venduti, e non è più una questione di contenuti, è solo una fottutissima gara a chi riesce a guadagnare più cifre! Fanculo i contenuti, dico bene? Bhe, sa cosa? Non ci sto, non prendetemi nemmeno in considerazione! Mi metta pure uno zero spaccato, ma non scenderò mai a compromessi. Sono una persona con dei sentimenti, me ne fotto delle etichette!» rispose tra i denti per poi sedersi a qualche passo di distanza dalla porta, nello stesso punto in cui si trovava qualche anno prima.

Con la testa poggiata al muro chiuse gli occhi, convinto di essere rimasto solo, iniziando il suo solito rito che usava per scacciare i ricordi, per rilassare i muscoli del corpo e per rallentare i battiti cardiadi. Voleva evitare di farsi prendere dal panico, e l'ansia era da anni la sua compagna d'avventura. Iniziò a dare delle testate al muro intensificando pian piano la forza e scandendo un ritmo serrato e deciso, fino a che Lorenzo non mise la mano dietro la sua nuca per attutire i colpi. Fu in quel momento che si immobilizzò; non voleva fargli del male.

Lorenzo era da sempre stato il suo migliore amico, la persona che per lui c'era sempre stata. Agli occhi di tutti erano fratelli; e non solo per una questione di simbiosi, si somigliavano esteticamente, avevano entrambi gli occhi chiari con un taglio particolare, erano magri, vievano d'arte e non si precludevano mai nulla dalla vita. Solo il colore dei capelli era differente: se Irama era di un biondo miele, tendente al castano chiaro, Lori era moro. La sua carnagione chiara sposava al meglio l'azzurro dei suoi occhi e il nero dei suoi capelli.

Lasciò perdere le testate spostando il suo stress sulla mano: partì con una serie di pugni contro il pavimento. Il tutto avveniva in un ordine crescente, più andava avanti e più i colpi si intesificavano. Non durò a lungo. Intervenne Jolanda, la degna fotocopia del fratello, a prendergli la mano, sciogliergli il pugno e intrecciarla alla sua. Non avendo più modo di sfogare il suo malessere si riversò sul suo telefono e sulle cuffiette che teneva in tasca. Quelle, come le sigarette, non mancavano mai. Le mise alle orecchie, andò a ripescare quell'audio che aveva nascosto in qualche file del telefono con tanto di password di sicurezza per accedervi per poi cliccare play. Nel sentire il pulsare dei battiti cardiaci si rilassò all'istante; appoggiò la testa alla spalla della sorella che, con l'altra mano, gli accarezzava i capelli e chiuse nuovamente gli occhi. Quei battiti erano la sua più grande droga, erano coloro che l'avevano ispirato a scrivere canzoni. Non c'era musica che reggeva, quel cuoricino che galoppava era il suono più potente che aveva al mondo. Dopotutto, aveva passato ben nove mesi ad attendere di avere quel cuoricino battente tra le mani.

Che Vuoi Che Sia || IramaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora