Capitolo 25

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FLAVIO

Tornare in Italia è sempre un'esperienza sgradevole. È un po' come se mi si abbattessero addosso tutta una serie di ansie ingiustificate. Andare a trovare la mia famiglia, poi, rappresenta la ciliegina sulla torta. Non parlano di Giuditta, ma so che nella loro testa si accavallano tutta un'infinita serie di supposizioni a cui, sono quasi certo, mio fratello, pur conoscendo i retroscena della mia vecchia relazione, non ha mai rivelato nulla.

A questo bagaglio di angosce se ne aggiunge un'altra che va sotto il nome di Chloe. Chloe Mc Lean. Sono tre mesi che non la vedo, i miei unici contatti indiretti con lei sono quelli attraverso le telefonate fatte alla signora Mary Anne. Durante quelle conversazioni mi racconta come sta, i progressi fatti e la difficoltà che ha ad accettare tutti i limiti che la sua condizione fisica le impone. Ogni volta mi supplica di andare a trovarla, e io mi trovo costretto a tergiversare, avrei voglia di vederla e chiederle scusa personalmente, eppure ho un blocco che impedisce al coraggio di uscire fuori e farmi affrontare la cosa. Probabilmente sto parlando dello stesso blocco che mi trattiene dal chiamare Gaia e chiedere a lei di Giù. Cosa ci ha condotti fino a quel punto di rottura, chi è l'uomo che si è sostituito a me. Vorrei sapere cosa ha fatto della sua vita dopo il disastroso addio quel nove aprile di quasi sei mesi fa. Come ha fato lei a ricominciare daccapo. Questo lo vorrei sapere più di ogni altra cosa perché io, davvero, non so da dove ripartire.

Certe sere provo una nostalgia che mi squarcia il petto in due: la metà affettiva che mi ricorda quanto sia pesante ciò che resta dell'amore, e l'altra metà, quella razionale e ferrea, che si ostina a rammentarmi quanto siano sbagliate, autodistruttive e spregiudicate certe relazioni. Si arrogano il diritto di perseguitarti anche a distanza di tempo, quando ogni manifestazione d'affetto, anche la più remota, dovrebbe essere cessata e cestinata per il resto della vita.

Non si può rimettere a posto in eterno un cuore distrutto, e io ho il dovere di preservarlo, questo è il pensiero che mi frulla per la testa ora che il vento sbatte sul casco con tutta la sua violenza, ora che il pendio scosceso della montagna mi spinge a spostarmi verso il centro della carreggiata se voglio salire più in alto e contemporaneamente non rischiare incidenti di percorso. L'amore è questo, una corsa sfrenata in moto su un pendio scosceso oltre il quale ci sono metri di vuoto ai quali non si può sopravvivere.

La vetta è vicina, ancora qualche curva e il panorama sarà davanti ai miei occhi; con la rabbia che si condensa nelle dita, accelero. Quando raggiungo il punto più alto del percorso, parcheggio e scendo ad ammirare lo spettacolo del cielo e le sue sfumature all'imbrunire. Qualche striatura bianca a interrompere il manto cobalto, batuffoli bianchi sospesi da fili invisibili e poi, più in là, l'immensità del tramonto.

Inspiro a fondo e mi siedo su un masso che spunta dal terreno brullo, provo a rilassare lo sguardo perennemente accigliato e i pensieri, quei pensieri che roteano nella testa in una giostra incessante. E qui, nel momento esatto in cui il sole emana gli ultimi flebili raggi, capisco che per rimettere insieme i cocci della mia vita, e provare a ritrovare un po' di pace nel perpetuo andirivieni delle giornate, devo ricominciare da qualcosa, ossia dall'ultima cosa che ho rotto.

Estraggo il telefono dalla tasca, qualche squillo a vuoto, poi la voce composta della signora Mary.

«Flavio, che piacere sentirti!»

«Mary, è sempre valido l'invito per venire a trovare Chloe?»

Ci ho riflettuto a lungo durante il volo per rientrare a Londra, andare da Chloe e mettere fine a tutta questa storia è la scelta migliore. In fin dei conti sono io a sentirmi in colpa per aver causato tutta una serie di conseguenze inaspettate nella vita della dottoressa Mc Lean e no, questo non è un semplice modo per ripulire la coscienza, piuttosto un tentativo di ammettere che anche per me, Flavio Solina, esistono dei limiti da considerare.

La tenuta della famiglia McLean è immersa nel verde, un cancello grigio svetta in mezzo alla vegetazione. Una volta oltrepassato si svela una sfilata di alberi di tasso che fanno da cornice al viale d'entrata. Ettari di smisurato prato verde circondano la maestosa villa ubicata in fondo, riparata da occhi indiscreti. È una casa in stile Vittoriano con il tetto in ardesia, le finestre a tre vetrate dalla mezza forma esagonale e un colonnato bianco a sorreggere il portico.

Il taxi si ferma accanto a un'aiuola carica di ciclamini bianchi. La signora Mary Anne è sul ciglio della porta pronta ad accogliermi con il sorriso stampato sulle labbra.

«Benvenuto, Flavio.»

«Buongiorno, Signora McLean.»

Di sicuro non passa inosservata la mia totale meraviglia, non capita spesso di essere accolti in una casa di questo tipo, circondata da una cura che non lascia dubbi sull'agio in cui versa la famiglia McLean.

L'abitazione all'interno è luminosa, sotto i miei piedi marmo chiaro talmente tirato a lucido da potercisi specchiare, soffitti alti e luce che entra da ogni angolo della stanza.

Mary mi invita ad accomodarmi sul divano. «Una tazza di tè?» chiede.

Probabilmente, leggendo sul mio viso un vago accenno di indecisione, insiste: «Non si dice mai di no a una tazza di tè...»

«E tè sia» rispondo con gratitudine.

«Torno tra un istante, vado ad avvisare Chloe.»

Trascorro diversi minuti col naso all'insù, riempendomi di tutti i colori e le forme della stanza; giocherello con le mani per ingannare il lieve senso di disagio, poi sento delle voci provenire da qualche stanza, dall'altra parte della casa. C'è una discussione in atto e, a quanto pare, a parlare animatamente sono proprio la signora Mary Anne e Chloe.


Ridammi indietro il cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora