Capitolo 1

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Il trasloco procedeva bene, ci mancavano da prendere solo le ultime cose e dare un'occhiata a vecchi scatoloni buttati li da anni per selezionare cosa tenere e cosa, invece, buttare.

Io, Ceci e i ragazzi ci saremmo trasferiti a Genova in definitiva, non ricordo neanche quando prendemmo questa decisione, ma ricordo che non ci pensai su due volte, dopo anni in viaggio alla fine si vuole sempre e solo tornare a casa.

Rovistavo tra uno scatolone trovato in mansarda e da li tirai fuori un sacco di cose che mi fecero stringere il cuore: la bandiera di cogo, le varie certificazioni accumulate durante gli anni, vecchie foto...

Avevo abbandonato il mondo della musica a 40t'anni, 5 anni fa, troppo vecchio ormai per fare quella roba, ero amareggiato, ma ne uscì comunque orgoglioso, fiero di aver contribuito a portare il mio genere qui in Italia.

Inutile dire che ci avevamo visto lungo parecchio, ormai si ascoltava solo trap e sia io che Ghali, Sfera e tutti gli altri siamo diventati i nuovi Jay Z e Kanye West italiani, potevamo campare anche solo di rendita.

Ero immerso nei ricordi quando mi sento chiamare dal piano di sotto, e quando scesi le scale mi trovai Cecilia, con in mano una fotografia, e Andrea e Sara, i nostri figli, tutt'intorno.

Quando mi videro cominciarono a correre verso di me prendendomi per le mani e tirandomi in direzione della mamma, che mi guardava con un'aria un pò malinconica e uno sguardo triste.

Cecilia mi passò la foto e a me per poco non venne un colpo: risaliva a circa 30t'anni prima, ritraeva me, a poco più di 10 anni, che tenevo tra le braccia una bambina su per giù della mia stessa età.

Non avrei mai potuto scordare quel viso, era la mia fotocopia, solo con i capelli un pò più lunghi.

Era passato così tanto tempo che piano piano riuscì ad autoconvincermi che non fosse mai esista, che non avessi mai avuto una sorella, che fosse solo un ricordo vago di un'infanzia turbolenta.

Eppure, nonostante tutti i miei sforzi di dimenticare, mi bastò prendere in mano la foto e guardarla per un brevissimo istante per capire quella bambina chi fosse e fui colto da una malinconia pungente, dritta al centro del cuore.

Mi sedetti sul divano continuando a fissare la foto che avevo tra le mani senza dire una parola, fino a quando non fui assalito dai bambini alle spalle.

Cominciai a giocare con loro, ma loro non volevano giocare, volevano sapere, Andrea aveva 15 anni, era ormai grande per capire, Sara ne aveva solo 9 ma ciò che faceva il fratello, doveva farlo anche lei, punto, senza troppe spiegazioni.

"Papà chi è quella bambina?" mi chiese Sara con innocenza.

Io mi girai verso Andrea che subito distolse lo sguardo altrove.

"Hai mandato avanti tua sorella più piccola?"

Lui fece spallucce e poi indicò Sara come per attribuirle tutta la colpa, ma lei era talmente serena e disinteressata a tutto che si mise a giocare con le bambole senza degnare il fratello neanche di una minima attenzione.

A quel punto Cecilia si sedette accanto a me e mi accarezzò la schiena, pensai che raccontare ai miei figli della loro zia non fosse proprio una buona idea, ma ormai c'eravamo tutti troppo dentro.

Ceci si avvicinò al mio orecchio e sussurrò:

"E' ora di ricominciare a parlarne."

Io sospirai, non sapevo se ne sarei stato veramente capace, non lo facevo da troppo tempo, non ero ancora mai riuscito a dire il suo nome ad alta voce nonostante gli anni passati.

"Sara amore, vieni qua, papà ha una storia da raccontarvi."

Sara alzò lo sguardo e mollò subito tutti i suoi giocattoli per andarsi a sedere sul tappeto davanti a me, seguita immediatamente dal fratello che si posizionò in prima fila.

"La bambina che vedete qui ragazzi.. è mia sorella, Diana."

«Come siamesi»Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora