Questa storia mi è stata raccontata tante di quelle volte da essere diventata, negli anni, non un semplice film mentale, ma una serie Netflix in sette stagioni da cui è stata tratta un'edizione speciale in bluray con commento del regista, quindi la collection edition, con le scene più importanti girate da gente tipo Tarantino che ha fatto a gara per esserci.
Come tutte le storie, non era mai uguale a se stessa.
Cambiava, seguiva il ritmo dell'Uomo (maiuscolo) e delle stagioni, prendeva pezzi da miti passati, ne toglieva alcuni che nella versione precedente non avevano convinto l'esigente pubblico rappresentato da una versione di me stesso dapprima piccola, poi man mano più grande. Continuando l'onorata tradizione di famiglia, ovviamente ci aggiungo del mio, in questo caso, solo il mio punto di vista.
Signori miei, mettetevi comodi e prendete qualcosa di caldo, perché adesso è davvero lunga.
Se siete qui e non su un sito di meme, se riuscite a leggere qualcosa più lungo di un foglietto dei cioccolatini, se vorrete prestarmi benevolmente orecchio...
... si va a incominciare.
- Tratto da una storia vera –
Mio padre era bello. Nacque nel 1937 a Porto Recanati, Marche e, come diceva spesso, lo fece giusto in tempo per scoprire quanto può essere forte il fischio di una bomba che cade.
Di lì a poco la guerra sarebbe finita lasciando un paese spezzato e da ricostruire, ma libero. Uomini e donne scendevano finalmente dalle montagne e scavavano buche dove nascondere i fucili, promettendo che, alla bisogna, li avrebbero ripresi molto prima di essere costretti ancora a scappare dalle proprie case. Tornavano nei paesi cercando di lasciarsi alle spalle i mesi in mezzo alla neve, provando a dimenticare la paura prima di una sortita, pensando potesse essere l'ultima, i mille pensieri che potevano formarsi nelle lunghe notti trascorse rifugiati sul Conero. Tornavano alle loro case con la faccia spaurita, quella dei cuccioli finalmente adottati. Si perdevano negli abbracci di padri, madri e sorelle, braccia che li stringevano tanto forte da strizzare via la guerra che era dentro di loro. Le ragazze erano tornate a indossare delle gonne a fiori, anche loro seppellivano le armi, pensando che non sarebbero mai tornati i tempi in cui avrebbero dovuto usarle ma, alla bisogna, le avrebbero imbracciate di nuovo per difendere il futuro dei figli e dei nipoti. Senza sapere che proprio questi ultimi sarebbero diventati il nemico.
Per il momento, però, avevano altri pensieri.
Il pranzo e la cena, ad esempio.
Mio zio Umberto, combattente in due guerre mondiali, diceva che non aveva mai fatto la fame come nell'Italia liberata, almeno i primi tempi. I campi di grano non erano certo quelli della propaganda fascista, molta terra era incolta, le bestie malate e mal tenute, di certo, non per pigrizia.
Era difficile essere contadino e partigiano insieme, i tedeschi, ma soprattutto i fascisti, diceva zio Umberto, erano talmente scortesi da spararti se ti vedevano tornare alla tua fattoria per seminare o raccogliere. Quindi, tutti a vivere di stenti fino a quando si sarebbe potuto tornare a seminare come si deve.
Immaginate cosa poteva essere stata la festa per il primo raccolto nell'immediato dopoguerra, non nei primi anni a seguire, proprio il primo, quello del '46.
I pensieri erano per i figli partiti e per quelli di cui si era avuta notizia con una cartolina gialla. Nessuno aveva voglia di far festa. Poi, finalmente, il cibo ritorna portandosi dietro la vita, le risate che si aveva timore di mostrare, parole fino ad allora tenute nascoste nel petto, potevano finalmente uscire fuori in tutta la loro potenza.
Faremo.
Tutti insieme.
Uguaglianza.
Libertà.
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Attenti alle biciclette
General FictionTre generazioni ma se ne raccontano solo due, un dopoguerra, il boom economico, Nino Benvenuti e l'assurdo bisogno di non piegare mai la schiena. Facendo sempre molta attenzione alle biciclette.