Scrutavo attentamente ogni minimo particolare della mia figura riflessa nello specchio. Mi osservavo come se stessi guardando non solo il mio corpo malridotto, ma tutto quello che mi portavo dentro ormai da tempo. Mi mettevo quella maglietta gigante color crema perché riusciva a nascondere bene il mio seno. Il mio corpo non mi piaceva affatto. Quei pantaloncini, invece, lasciavano scoperte le mie gambe lunghe e slanciate che stavano portando un peso troppo grande e, pian piano, si stavano facendo sempre più fragili.
Mi ero ormai abituata ai sensi di colpa per quello che successe anni prima. Ero veramente sfinita, ma abituata a tutto: abituata ad essere guardata male dalla gente, abituata ad essere giudicata, abituata a sentirmi dire cose a dir poco orribili, ma soprattutto, abituata a sentirmi chiamare "assassina". Troppe volte avevo pianto e troppe volte avevo sofferto, ma la mia vita sembrava non volere altro.
"La cena è pronta!" la voce ormai familiare della cuoca dell'istituto mi fece riprendere da quel mondo tutto mio. Diedi un'ultima occhiata a quello specchio malmesso e vidi una seconda volta quella ragazza dai lunghi capelli biondi e dagli occhi color caramello, indossare ancora quello sguardo che non trasmetteva nulla se non indifferenza, indifferenza verso il mondo.
Dopo quell'incidente micidiale, io mi chiusi in me stessa. Nessuno sapeva quello che volevo, quello che pensavo, ma soprattutto quello che accadde in realtà di cui io mi diedi tutta la colpa. Scesi le scricchiolanti scale di legno, lasciando la mia camera qui all'orfanotrofio femminile. Giunsi poi nella sala da pranzo dove le altre ragazze avevano già occupato i loro posti a tavola.
Quell'odorino di spaghetti al sugo era così invitante, ma allo stesso tempo così terribilmente cattivo, poiché faceva sì che i ricordi mi riempissero la mente. La persona più importante della mia vita cucinava molto spesso cibo italiano. Proprio per questo motivo non feci altro che osservare il mio piatto fumante.
"Madison, tesoro, mangia almeno un pochino. Fallo per noi, o meglio, fallo per te. Sverrai di nuovo..." mi incitò la proprietaria di quel posto nel mentre riponeva la forchetta sul piatto poco dopo aver ingurgitato la sua porzione di spaghetti. Si chiamava Caroline Joshon ed era la donna più dolce del posto.
Non mi stava molto simpatica. La sua interminabile dolcezza mi ricordava tanto la persona che fu la vittima della mia stupidità, la persona a cui tenevo di più al mondo. Come avrete capito attribuivo ogni cosa, anche la più insignificante, a quel che mi era capitato. Non ero mai riuscita ad andare avanti, a passare oltre. La mia vita s'era fermata poco dopo che tutto andasse a rotoli.
Non le risposi e portai lo sguardo sulle altre ragazze che mangiavano tranquillamente. Non avevo mai legato con nessuna di loro, l'unica cosa che sapevo riguardante quelle ragazze era il fatto che nessuna aveva mai avuto una famiglia rose e fiori. Dovetti ammettere a me stessa che le ammiravo molto. In questo mondo si deve esser bravi a non far rumore quando si cade in mille pezzi, per non infastidire gli altri. Loro erano esperte nel fare questa cosa, perlomeno lo sembravano. Ognuna di loro aveva gli angoli della bocca perennemente tirati in su, mentre io no.
SPAZIO ME
Ciao a tutti/e! Allora, inizio col dire che questa è la mia prima storia ed è interamente frutto della mia immaginazione. Fatemi sapere quel che pensate di questo mio primo capitolo, mi raccomando.
xMartyx
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Never Stop Smiling (In Revisione)
FanfictionLEI: brutta storia alle spalle, nomine sul suo conto terribili, ma nessuno sa chi è veramente e quello che ha passato. LUI: non è in buoni rapporti con i suoi genitori e non li vede da molto tempo, è uno dei tanti puttanieri della scuola. LEI: Mad...