La morte

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Cos'è la morte? 

Un quesito talmente semplice ma allo stesso tempo infinitamente complicato, per uno scienziato sarebbe semplice dirlo, e lo stesso vale per un ateo. Per loro del resto cos'è la morte se non semplicemente un encefalogramma piatto.. senza alcuna attività neurologica, niente dolore, niente riflessi, niente respirazione spontanea: solo e semplicemente un encefalogramma piatto che sta' a indicare che è giunto il momento di staccare la spina al paziente e di prepararsi al nuovo caso clinico. La morte, infatti, nella prospettiva ateistica, non rappresenta una fine assoluta,ma semplicemente la cessazione di una determinata forma organica irripetibile e l'inizio, attraverso la migrazione di elementi chimici e materiali, di una nuova forma organica. La morte è «la porta di una nuova esistenza in un nuovo ordine». Il materiale organico umano decomposto verrà "ripreso" dal gran Tout il quale provvederà ad inserirlo nuovamente, secondo un diverso grado di organizzazione, all'interno del circolo infinito di materia e movimento dotandosi così di una nuova forma.

La morte cessa dunque di essere "appresa" come un problema, un non-senso, una punizione, uno scandalo per diventare conferma dell'assoluta naturalità dell'essere umano, della sostanziale uguaglianza di quest'ultimo rispetto a tutti gli altri esseri naturali e della sua identica sottomissione alle leggi che regolano la grande macchina naturale.

La morte continuerà ad essere un'offesa solo nei confronti del mostro umano, quello cioè dotato di anima e corpo: nella silenziosa ed irresistibile indifferenza dalla necessità naturale la «puerile vanità» dell'uomo-angelo continuerà a gridare allo scandalo. In verità, lo scandalo è proprio quello di un antropocentrismo esasperato che ha mistificato così profondamente l'essenza dell'uomo da rendergli inaccettabile accettare la morte.

La morte, quindi, privata di tutti quei termini filosofici e teologici che l'hanno resa "scandalosa" e "terribile", appare, come un evento naturale, prodotto da leggi altrettanto naturali quanto necessarie. La morte diventa la semplice cessazione della vita organica e biologica di un determinato essere destinato a nascere e a morire. 

 Nella società moderna la morte viene rifiutata in quanto sentita come brutta, sporca, sconveniente, a tal punto da essere relegata sempre più nel privato, in un privato fatto non tanto dell'intera comunità familiare, ma di un ristretto numero di persone, dalle quali sono accuratamente scartati i bambini e i giovani.

Il morente vive così in solitudine il momento del trapasso e molto spesso perfino fuori dal proprio ambito domestico, in ospedale; ad esso si ricorre non solo per usufruire di tecniche mediche difficilmente applicabili a domicilio, ma anche perché la mentalità quotidiana sta sentendo sempre più come 'normale' morire in tale luogo, in quanto territorio neutro, dove gli eventi coinvolgono i familiari solo in modo parziale e velato.

La morte in ospedale è un fenomeno che ha iniziato a diffondersi dalla seconda metà del Novecento ed è diventato oggi fin troppo generalizzato, nel senso che la morte, o meglio ancora il morire, è stato medicalizzato all'eccesso. La nostra mentalità contemporanea accetta con difficoltà di abbassare le armi davanti alla morte, anche a costo di un prezzo molto elevato, quale quello della sofferenza provocata da inutili accertamenti medici, da sproporzionate terapie cui si continua spesso a sottoporre l'individuo prossimo al trapasso, in un clima e in un ambiente dove è veramente difficile che il moribondo riesca ad essere rispettato nella propria dignità di uomo e per di più di uomo morente.

Ovviamente questo non vuol essere un giudizio negativo generalizzato, in maniera superficiale, nei confronti del personale sanitario che, per formazione professionale e soprattutto per esigenze legate al luogo di lavoro, si trova a dover agire, fare, intervenire per 'curare', ossia per guarire, più che per 'prendersi cura' dei malati.

La morteWhere stories live. Discover now