L'inizio di una storia è la parte più difficile da scrivere. Non si sa mai da dove cominciare. Se volessi, potrei esordire descrivendovi il protagonista, quel pover'uomo che faceva ironia della città in cui viveva, perché lui sembrava tutto fuorché un abitante di New York. Lui che non aveva la fretta degli altri cittadini, lui che sognava di viaggiare il mondo perché sapeva che non gli ruotava attorno, lui che dopo tutti questi anni ancora si emozionava a sentir parlare centinaia di lingue diverse per le strade. Nell'eventualità in cui la mia storia iniziasse così, non dovrei dimenticarmi nessun particolare della sua persona. Non dovrei dare per scontato la sua descrizione fisica, all'apparenza tanto banale. A prima vista, a chiunque verrebbe in mente la parola "scuro", e non che sia sbagliata. Ma, ecco, credo sia molto più di questo. Certo, i suoi abiti sono in gran parte neri, ma osservandoli da vicino si può notare che sono sfumature di nero diverse. Gli scarponi, ad esempio, probabilmente in origine erano marroni, e che dire dei pantaloni che gli sono stati regalati da un caritatevole Babbo Natale newyorkese? Non sembrano affatto dello stesso colore della cintura che li regge, eppure sempre di nero si parla. È del medesimo colore anche il giubbotto in finta pelle che indossa da sempre, e che avrebbe bisogno di essere rammendato in corrispondenza dei gomiti e altrove. Un discorso a parte meritano gli occhi, che paiono tanto scuri solo perché scavati in quel volto dai lineamenti fieri, duri, squadrati, che è delimitato da un poco di barba e dai ricci neri come l'ebano. Questi risultano difficili da scorgere, sotto alla bombetta che il protagonista è solito tenere calcata in testa, come temendo che quel briciolo di vento che di tanto in tanto spira fra i grattacieli gliela possa soffiar via. Forse a non essere scura è soltanto la pelle, sebbene con tutta la polvere e sporcizia in cui vive non sia facile stabilirlo. Ecco, di sicuro non sono neri i guanti privi di dita: quelli gli sono stati regalati da un'anima pia che ha visto le sue mani screpolate dal freddo, le unghie viola e le venature in risalto sotto la pelle, e siccome tale anima pia era una donna, aveva sottomano un paio di guanti bordeaux, che non ha esitato a porgergli. Il nostro protagonista ora ci è ben noto, almeno quanto lo è alle persone che abitualmente percorrono quel tratto di strada tra il centro commerciale e la base dei Babbi Natale newyorkesi, che allungando l'occhio possono scorgere una cupa figura umana, china su un tappetino, avente in mano un pugno di monete che si diverte a far sparire e riapparire.
Questo, per la nostra storia, sarebbe un inizio consueto, eppure non è il mio preferito. Potrei scegliere di cominciare in medias res, ed in tal caso vi racconterei del nostro poveretto che si affanna verso la fermata degli autobus, cercando disperatamente di raggiungere quella ragazza prima che salga su un mezzo che la porti molto lontano. Lo vedreste inciampare nei suoi stessi piedi, il cuore in gola, il grido "Aspetta!" congelato fra le labbra, i denti che battono, il naso rosso, la mano tesa verso di lei. Ancora qualche metro e l'ha raggiunta, soltanto un briciolo, soltanto-
No. Per la mia storia, preferisco un esordio più tradizionale. Quindi eccolo:
Era il 23 dicembre ed Eugene stava morendo di freddo.
Letteralmente.
Sotto Natale, tutti erano più buoni. Le mance che riceveva erano più ricche del solito, capitava frequentemente che una coppia permettesse a loro figlio di avvicinarglisi e stringergli la mano, e tendenzialmente chiunque era di buon umore.
Lui lo sarebbe stato volentieri, se soltanto la temperatura non avesse deciso di abbassarsi di qualche grado. Era seduto di fronte al suo tappetino, le tre monete che aveva usato pochi minuti prima immobili davanti a lui, le mani cacciate sotto le ascelle in un tentativo di patire meno il freddo. Rivolgeva un cordiale sorriso a chi si soffermava a guardarlo, per poi tornare a battere i denti e sbuffare nuvolette di vapore. Il gelo pungente sembrava penetrargli nelle ossa, ghiacciarlo nelle viscere, privarlo della sensibilità in ogni arto. Era l'inverno più freddo con cui avesse mai avuto a che fare, e di inverni ne aveva passati molti su quella strada, davanti a quel tappetino!
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Comete E Polvere (Cronache di un Natale newyorkese)
Short StoryEugene non era la persona più fortunata della Terra, e quel 23 dicembre aveva più che mai bisogno di un briciolo di fortuna. Accovacciato al suolo, prossimo a congelare, udì le dolci note di una canzone. Fu quello il momento in cui ebbe l'incontro...