3. ESPERIENZE (REV.)

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Passarono inverni, primavere e Joshua, alla soglia dei diciotto anni, aveva cominciato a colmare il vuoto di suo fratello Caleb attraverso l'impegno all'interno del Centro di Aggregazione.

Come faceva solitamente, in uno di quei giorni di giugno in cui il sole pomeridiano di Filadelfia inizia a far sentire l'umidità addosso, dopo aver sistemato le derrate alimentari nel magazzino della mensa, decise di andare a riposare nella sua stanza. Dopo circa mezzora in cui - girandosi e rigirandosi - le lenzuola non erano più tanto fresche, si mise seduto, sbuffando rumorosamente; passandosi le mani sul viso rasato, si accorse di essere madido di sudore. Già fa questo caldo a giugno...Quanto ne farà ad agosto?

La città di Filadelfia si trovava all'estremo sud della Penisola e non era strano avvertire il caldo afoso già dai mesi di maggio e giugno. Cosa che Joshua, però, mal sopportava. Amava le giornate tiepide di ottobre e quel primo sentore di freddo. Tuttavia non amava nemmeno il gelo rigido di gennaio, che soffiava dal monte Aspro situato al centro della Regione e da cui si poteva ammirare il mare cristallino che baciava le coste.

Si alzò e dopo qualche passo, si mise ad osservare il cortile dalla finestra, appoggiato con la spalla al muro: il manto di cemento era adombrato dalla figura del palazzo che permetteva alle cuoche della mensa di confabulare sedute sulle panche di legno e ridacchiare delle proprie esperienze culinarie. Una brezza soffiava da est, rendendo quell'angolo di cortile un punto di aria condizionata naturale. Gli alberi di pepe rosa più in là erano sotto il sole e ci sarebbero volute almeno altre due ore purché i rami facessero la giusta ombra per sedersi sulle panchine poste al di sotto delle fronde.

Girò lo sguardo e vide Nathan dirigersi verso l'auto di Simon: entrava dal lato guida per spostarla e girarla verso l'ingresso. Questa Operazione suggerì al giovane che Simon era in procinto di uscire, e - se alla guida c'era Nathan - voleva dire solo una cosa: un'intervento importante al quale lui non era stato invitato. Sorpreso e lievemente irritato si fiondò in bagno per sciacquarsi la faccia e indossare la maglia bianca lasciata poco prima sulla sedia.

Non avrebbe voluto indossare i jeans lunghi, bensì dei bermuda comodi e freschi, ma era l'unico modo per rendersi presentabile in qualsiasi situazione.

Una sistemata ai capelli arruffati con la mano, uno spruzzo di profumo agli agrumi e sandalo e di corsa percorse il corridoio per farsi trovare in tempo davanti alla soglia della porta di ingresso.

Per le scale si scontrò con Heliu che gli apostrofò un insulto amichevole e a cui rispose un sorriso furbo; per di più, tenendo lo sguardo basso alle scale non si accorse di andare a sbattere contro le spalle larghe di un individuo dal capo riccioluto.«»

«Se non è quel teppista di Heliu, sarà di sicuro suo compare...» constatò l'uomo prima di voltarsi e guardarlo con un cipiglio.

«Perdonami Nathan!»

«Come mai così di fretta?»

«Volevo fare in tempo a venire con voi. Dove andate?» con una mano sul fianco e trafelato.

Nathan aggrottò la fronte, mentre si alzava le maniche della camicia celeste sopra i gomiti: «Ci sono posti in cui tu non puoi venire, Joshua. Se nostro Padre non ti ha chiamato, ci sarà un ragione.» lo licenziò con una pacca sulla spalla.

Quello, ancora con il fiato corto, gli rivolse uno sguardo interrogativo.

«Comunque adesso è impegnato con un'anima. Tarderà l'uscita.» spiegò. Non avrebbe potuto dirgli che, le indagini per Caleb, avevano scoperchiato un vaso di Pandora.

Così, Joshua attese sul gradino appena fuori l'uscio. Era seduto e si passava il tempo giocherellando con la catenella della sua collana, un po' rigirandola nell'indice, un po' poggiandola sul mento, fin quando non sentì dei passi avvicinarsi alle sue spalle.

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