Parte senza titolo 2

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La ragazza che mi aveva appena ripreso era Lena. Qualcuno avrebbe potuto considerare la mia compagna di banco, ma per me non era altro che un'insignificante e petulante piattola. Lena Busham era la tipica ragazza che ti fa salire il sangue alla testa, era così insopportabilmente acida, in posizione ostinata e contraria a qualsiasi altra opinione che non fosse la propria. Se tu dicevi A lei sceglieva irrimediabilmente B. Mancava totalmente di quell'innata qualità che invece io possedevo in gran quantità: l'ipocrisia. Per lei tutto si trasformava in principio, piena di ideali e sogni vagava per i corridoi della scuola sperando in una vita dopo il liceo. 

La sua esistenza non avrebbe attratto tanto il mio interesse se per disgrazia la Madrick non me l'avesse affiancata a inizio anno, da quel momento era cominciato il mio calvario. Non solo non perdeva occasione di punzecchiarmi e prendermi in giro, aveva anche preso la pessima abitudine di chiamarmi con il mio nome completo. Kristofferson lo usa solo mia nonna, per gli amici ero semplicemente Kris. Ma non per la signorina Busham, lei adorava chiamarmi Kristofferson ogni volta che ne aveva l'occasione, ovvero sempre. 

«Ho solo chiuso le palpebre per qualche secondo, solo perché le immagini erano troppo crude per il mio povero cuoricino» mugugnai aggrottando le sopracciglia, nel chiaro intendo di prenderla in giro.

«Ma smettila, sei semplicemente ridicolo! Avrai dormito almeno dieci minuti, non mentire» borbottò Lena minacciosa.

«Quindi mi hai osservato dormire per ben dieci minuti, quale onore Miss Busham. Sembra quasi che tu ti sia innamorata di me» la punzecchiai.

Lena stava per replicare infuriata, quando all'improvviso le luci si accesero e gli altri studenti, che si erano addormentati proprio come me complici l'oscurità e la scarsa qualità video del nostro televisore, si risvegliarono. La scena si svolgeva a rallentatore, come se qualcuno avesse applicato il filtro dello slow motion. 

«Cosa sta succedendo lì in fondo si può sapere? Miss Busham, Mr Vanbruel, potreste comunicare anche a noi le vostre considerazione in merito al documentario di Kenner?» disse la Madrick indispettita.

Quel giorno indossava una camiciola bianca, che ricordava vagamente le fantasie degli indiani d'America e un paio di pantaloni scamosciati sintetici. Era pronta per il Coachella Festival, altro che ecosolidarietà. Come era prevedibile, Lena non si era ancora ripresa dalla mia battuta, come tutte del resto era rimasta stata folgorata dal mio fascino disarmante. Decisi perciò di salvarla da una pessima figura, ingraziandomi allo stesso tempo l'agguerrita ambientalista che mi squadrava dall'altro capo della cattedra.

«In realtà mi vergogno un po' a dirlo, ma se insiste signorina Madrick...» dissi esitante, esibendo un leggero rossore, che mi ero procurato pizzicandomi le guance. «Insisto, signor Vanbruel, insisto »«Mi sento così sciocco a dirlo, ma vede, signorina Madrick, mentre vedevo quei poveri pulcini sballottati da una parte all'altra, scartati con disumana freddezza, io... io mi sono sentito profondamente triste, un'angoscia che non avevo mai provato prima d'ora mi ha è salita al cuore e non ho resistito, ho dovuto chiudere gli occhi» conclusi con gli occhi lucidi.

La signorina Madrick strabuzzò gli occhi dietro alla montatura in tartaruga, e prima di parlare deglutì lentamente. Non c'è da dire che la classe era in perfetto silenzio tranne per Jeamy che bofonchiò "frocio" alle mie spalle, mentre Lena si limitò a sbuffare contrariata al mio fianco.

«Patetico» la sentii sussurrare.

«Ebbene signor Vanbruel sono proprio contenta che lei abbia condiviso con noi questo suo stato d'animo. Vedete ragazzi, non c'è niente di male a esternare i propri sentimenti su ciò che ci ferisce o ci fa stare male. Ci ha impartito una grande lezione, su cui tutti dovremmo riflettere. Le immagini che abbiamo appena visto sono dure, ma necessarie. Lo sfruttamento incondizionato delle risorse del nostro pianeta, siano essere animali o vegetali, è un crimine contro la natura e dovrebbe essere adeguatamente riconosciuto. Fermiamo questo genocidio...» 

Mi risedetti soddisfatto del mio lavoro: la Madrick era partita con una delle sue solite filippiche ecologiste, potevo anche smettere di ascoltarla. Mi stiracchiai e fingendo uno sbadiglio annoiato guardai di sfuggita la piccola ma esplosiva bomba a orologeria, che stava letteralmente ticchettando alla mia destra. Infatti Lena dopo aver tenuto le braccia conserte durante la mia confessione, ora aveva cominciato a picchiettare nervosamente le dita sul banco, segno che mancava poco alla detonazione. 

«Oh, andiamo, non esagerare, non ho detto niente che non fosse vero» mi difesi «Per tua informazione avevo già visto Food Inc., o almeno credo che fosse Food Inc., c'erano dei pulcini su dei nastri trasportatori e alcuni venivano buttati da una parte e altri da un'altra, una scena veramente agghiacciante. Quindi si può dire che io abbia quasi detto la verità questa volta» dissi con un sorriso sghembo stampato in faccia.

Lena non rispose. Non riuscivo a scorgere il viso perché la lunga frangia scura le copriva interamente gli occhi verdi.

«Maccome nessun monologo palloso su quanto io sia uno stupido megalomane egoista, che non si preoccupa veramente per gli altri. Mi liquidi così, con due parole?»

«Fai come ti pare genio» mugugnò lei.

«Lasciamo perdere, non so neanche perché te ne sto parlando. A me non frega niente se mi credi o meno» dissi sbrigativo.

Aveva smesso di picchiettare le dita, e invece di alzare la mano in continuazione come era solita fare durante una qualsiasi discussione in classe, se ne stava in disparte fissando un punto indefinito sopra la spalla di Katy Bloom. Decisi di non curarmi troppo di lei e di dedicarmi alle mie faccende. Jeamy Foster doveva pagarmela. Si era permesso di definirmi frocio davanti a tutta la classe e doveva essere punito severamente. 

!£$%&

Non appena era suonata la campanella del cambio dell'ora, avevo raccolto le mie cose in fretta e furia ed ero uscito dall'aula, dando prima una bella spallata a Jeamy il simpaticone. Avevo voglia di togliermi tutta la pesantezza che mi aveva trasmesso Lena nella restante ora e mezza che aveva trascorso in totale silenzio al mio fianco. Il corridoio era gremito di gente, ma non riuscivo a scorgere Elias da nessuna parte. Salutai un po' di gente, poi vidi Mael vicino al suo armadietto con  Franz e mi avvicinai. 

«Hey, come va?» mi salutò Franz.

Se ne stava accasciato contro lo sportello di un povero del primo anno, che lo guardava allibito. Mael non appena se ne accorse, gli diede una sberla sul coppino e lo fece spostare di forza.

«Guarda cosa combini, un barbaro riuscirebbe a comportarsi meglio di te. Scusalo, ma sua madre non è riuscita a impartirgli una buona educazione in sedici anni che lo conosco» lo rimproverò il ragazzo.

«Tu negro, non osare parlare male di mia madre, è una buona donna» replicò Franz prendendolo per il bavero della giacca. 

«E tu non chiamarmi negro, sporco bianco»  

Rimasero a guardarsi in cagnesco per qualche minuto, in cui lo sguardo lentigginoso ragazzino del primo anno passò dall'uno all'altro senza sosta. Era visibilmente angosciato e doveva sentirsi anche parecchio in colpa per aver provocato un litigio tra quei due, così decisi di fermare quel teatrino puerile e inutile.

«Smettetela di fare i cretini» sbiascicai un po' annoiato.

Mael e Franz scoppiarono a ridere divertiti, mentre il ragazzino tirò finalmente un sospiro di sollievo. Quei due erano sempre i soliti, si divertivano a prendersi a male parole davanti a spettatori ignari di quanto fossero in realtà culo e camicia. Chiaramente Mael non avrebbe mai detto una parola sulla signora Teige, gentile sfornatrice di teneri brezel. Ne avremmo mai permesso che uno sconosciuto desse del negro a un nostro amico, chiunque fosse. 

«Devo parlarvi di una cosa seria, e mi servite tutti. Qualcuno a visto Elias?» chiesi non appena ci fummo allontanati dal caos del corridoio. Entrambi i ragazzi alzarono le spalle confusi, ma proprio in quel momento lo vidi.

Elias se ne stava accovacciato per terra vicino all'uscita di sicurezza. Disegnava su un bloc-notes, fregandosene delle persone che lo urtavano. Dalle occhiaie bluastre che aveva non doveva aver dormito molto quella notte. Sollevai una delle cuffie delle sue Bose bianche e gli urlai dentro un orecchio.

«Ho bisogno di una sigaretta»

Call me no oneWhere stories live. Discover now