10. SCHIAVO (REV)

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Acab non aveva avuto il tempo di pensare; si ritrovò un sofficissimo tessuto al collo che, pian piano, gli stava facendo elemosinare ossigeno.

Fu allora che lasciò cadere al suolo il pugnale in un tintinnio metallico. Simon cadde in ginocchio, prima di accasciarsi al suolo. In quel preciso istante si udì un boato che fece vibrare le finestre; le statue e le panche si spostarono di qualche centimetro verso l'interno della navata, mentre i calcinacci iniziarono a cadere sui corpi dei presenti. I Capi delle Chiese si dileguarono in preda al terrore di aver compiuto un grave peccato e Acab sfruttò il momento di panico di Ariel a suo vantaggio.

Si girò bruscamente verso di lei e, con occhi venati di rabbia, le afferrò i polsi, li fece roteare in maniera innaturale verso l'esterno, provocandole un urlo di dolore straziante che colpì l'udito di Joshua.

Si era voltato e aveva osservato la scena da lontano, senza riuscire a intervenire. Poi, non scorgendo la figura di Simon si sentì sopraffatto dal terrore e, vedendo che i presenti si erano dileguati, uscì allo scoperto.

Corse tra le statue, incespicando in alcuni detriti, per poi scavalcare una panca fino ad arrivare al Padre, giacente esanime.

Si inginocchiò accanto a lui: il volto pallido e lo sguardo perso nel vuoto. Era ancora in grado di respirare, seppur ansimando; lo tirò su, avvolgendo le braccia al petto, mentre gli arti superiori penzolavano lungo i fianchi.

Ariel scrutò il volto di Acab e smorfie di dolore le comparvero in viso, accorgendosi di essere la preda di un feroce animale: lo stesso che l'aveva rincorsa fuori dall'università e che le aveva mostrato gli occhi zaffiro.

«Ora non fai più la spavalda, eh? Leone di Dio!» ringhiò l'adepto, e mostrando i canini, continuò a  tenerle i polsi, e quando finalmente il tremore della terra cessò, continuò a fissarla nelle iridi brune che andavano via via appannandosi di lacrime.

Ariel, ormai avvinta alle gelide mani di Acab, crollò con le ginocchia sul pavimento, e lui nutrendo un certo piacere nel dolore della ragazza, non smise di stringere quei polsi minuti.

Ormai assuefatta dal dolore, se non fosse che ancora non aveva sentito il suono di una rottura, Ariel avrebbe avuto ragione di credere che, ormai, del suo carpo esistevano solo frammenti d'osso.

«Ti prego...» sussurrò con copiose lacrime che le rigavano il viso, divenuto pallido per la violenza subìta. Serrò le palpebre, affogando il dolore nelle lacrime che non provocarono alcun moto di pietà in Acab. Una vittima già implorante come Ariel era il sacrificio perfetto per quella notte di luna tonda e pallida. Dopotutto, aveva ancora una missione da compiere.

Tuttavia non era come pensava: «Gesù... Ti Prego...» pronunciò Ariel con un fil di voce, mentre il respiro veniva rotto dal pianto.

Acab, a sentire quel nome, si irrigidì. Sbarrò gli occhi e poi li accigliò: non stava pregando lui di liberarla, ma stava pregando Quel Nome che loro non avrebbero mai dovuto nominare.

Così mollò i polsi della ragazza in un gesto di disgusto e sdegno, indietreggiando di qualche passo per poi allontanarsi definitivamente.

La giovane aprì gli occhi gonfi e rossi, fissandoli sui suoi palmi rivolti in su, col dorso delle mani che toccavano le ginocchia. Ispirò come per riacquisire la vita che quel tocco gelido le aveva tolto e nel momento in cui alzò il viso, vide Acab in ginocchio davanti a Judas nel posto che poco prima era stato occupato da Simon. Non fece in tempo a capire cosa si stessero dicendo, che la mano di Judas si alzò per riservare ad Acab uno schiaffo così violento da farlo cadere al suolo.

«Sei una nullità!» gli urlò, poi. «Ti sei lasciato soffiare da sotto il naso il capo della Chiesa più forte delle Sette!» La rabbia incontrollata di Judas trasudava dagli occhi azzurri diventati pozze d'odio.

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