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Era in piedi e calciava con ferocia il pavimento, un po' come un cane che cerca di dissotterrare un osso. Si capiva da quel gesto quanto fosse nervoso e quanto male stesse affrontando la situazione. Eppure era un uomo di così tante parole, che era impossibile credere di veder lui parlare con i gesti anziché con la voce. In momenti in cui il fuoco smette di dar fastidio ai polmoni, ed il freddo ti congela le nocche delle mani, l'unico desiderio di Oscar era quello di non desiderare una donna che lo calmasse; ma non una donna qualunque, bensì quella che aveva conosciuto anni prima, quando ancora egli era assillato dai demoni e di dimore invernali faceva scudo.
Si rinchiudeva spesso tra le sue parole, mostrandosi quasi indifferente al pensiero altrui, anche se in realtà custodiva ogni parola pronunciata da altre bocche, un po' per ricordare a sé stesso che di pensieri sbagliati ne esistevano tanti quanto quelli giusti. Che poi a definirli così chi era stato? E chi può? Se un pensiero sbagliato è un pensiero non conforme al nostro allora una molteplicità di pensieri sarà sbagliati, ma se invece, al contrario, i pensieri giusti fossero quelli non conformi ai nostri? Forse a quel punto di pensieri giusti c'è ne sarebbe un numero equo a quelli sbagliati. 
Oscar passava le giornate così, non gli era mai piaciuto leggere, traeva le sue considerazioni da altro, pensava che il mondo, prima di vederlo con gli occhi di un qualunque scrittore, avrebbe voluto guardarlo con i suoi di occhi. Gli si aprivano a stento le palpebre certe volte, perché annebbiato dal suo passato, gli era difficile guardare al presente con oggettività. Che poi proprio di quest'ultima lui aveva voluto costruire i suoi pensieri, trascurando un particolare non poco irrilevante: i folli, sono folli per ciò che provano, e ciò che provano non è frutto di pensieri ritagliati e accartocciati nella mente, bensì di sentimenti vogliosi di uscire fuori dal petto e respirare su un foglio le loro parole. Parole magari succubi, magari assenti, magari vuote, ma parole vere di una verità che va oltre l'oggettivo perfino della matematica.

Oscar voleva sempre trovare risposte al suo sonno confuso, a quel sonno che non aggrappi la notte, ma il giorno, quando chiudi le persiane della tua camera e ti butti in un letto in cui nemmeno un raggio di sole riesce a penetrare. Si chiedeva se fosse giusto vivere in quel modo, in un modo che, per altro, non era vivere. Si sentiva sempre stanco ed offuscato dal buio che inconsapevolmente si costruiva lui stesso intorno alle pareti. Si trovava come in un perenne letargo, che non conosceva stagioni, ma di stagioni ne costruiva le foglie.
Aveva sempre amato l'autunno, lo considerava una via di mezzo tra il perdono ed il perdonarsi, argomento rilevante nella sua storia passata. Era come domandarsi se fosse più importante andare o lasciare andare, amare o sentirsi amati. Ed Oscar era questo, un perenne naufrago in una vita senza equilibrio, in cui i fili si assottigliano talmente tanto da lasciar cadere tutto il carico dei pensieri in contenitori pieni di rifiuto che trascinava sotto ai piedi.
-Will oggi il sonno non arriva, e come di rado capita, vorrei porti una domanda. Gradisci un caffè?-
-Sappiamo entrambi che questa non è la domanda che mi porrai realmente, quindi no, non gradisco alcun caffè Oscar, ma gradirei che non girassi intorno alle cose e andassi subito al punto.-
-So che sono le 5 del mattino Will, non potrei farti una domanda di grande rilevanza se non ti sapessi totalmente sveglio. Lo siete?-
-Non le avrei risposto Oscar, arrivate al dunque vi prego.-
-Concordate con me, Will, che è folle chiudersi nei ricordi del passato?-
-Di quale passato parlate? Ne avete vissute talmente tante di vite che mi è difficile comprendere la vostra domanda se esposta in modo così generico.-
-Non siate sciocco, sapete quanti passati ricordo con lucidità e quanti no.-
-Allora si Oscar, è folle chiudersi nei ricordi che ricordereste comunque con lucidità.-
-Ed è possibile crearne di nuovi?-
-È possibile se glielo permettete.-
-E se, se questi nuovi ricordi non mi piacessero?-
-Il tempo Oscar, li rimuoverà per te come le tue ferite, li ridimensionerà come quei ricordi del passato che non sanno essere lucidi nella vostra mente.-
-Devo darle la buonanotte Will?-
-Gradirei un caffè.-

Oscar rilegava le sue pagine con poca cura, la sua scrivania era succube del disordine. Capiva il senso dei suoi scritti solo se sfogli di senso. Rileggeva le sue bozze non cambiando nemmeno gli errori lì dove erano presenti: "sono gli errori del principio a rendere l'opera arte" diceva. Cambiare una virgola significava conferire un senso reale ai lettori, ma ciò che lui poi avrebbe letto, non avrebbe potuto conferire il senso che lo scrittore gli aveva dato. Un inchiostro sbavato, tuttavia, avrebbe potuto acquisire sensi diversi: lacrime, sudore, ozio costante, ed era proprio con quest'ultimo cucito addosso che lui spesso scriveva. Cambiare i suoi scritti significava cambiare pensieri, ed un uomo tanto incoerente di mente, avrebbe così scritto all'infinito senza scrivere realmente nulla.
Scriveva di lei, di come era stato salvato da braccia che, con il passare del tempo, aveva capito non gli appartenessero. Scriveva di come la sua vita fosse stata totalmente cambiata e come il cambiamento era derivato da un amore che ancora lui provava. Diceva, Oscar, che non avrebbe mai potuto perdonarsi per aver mollato la presa lasciando che la sua mente contorta parlasse al posto del suo cuore, che le sue azioni conferissero tanta importanza. Diceva che il tempo avrebbe dato risposte, ma di risposte non ne ottieni se a parlare sono i silenzi sussurrati dalle foglie autunnali, preceduti da una pioggia estiva che portava solo caldo e guance bagnate. Oscar non sapeva piangere, ma quando si perde ciò che pensi non si possa perdere mai, gli occhi svolgono un lavoro autonomo e non danno nessuna importanza alla razionalità. Si diceva che doveva smetterla, che doveva comportarsi come sempre aveva fatto. "Perché mettere al centro qualcuno che non ti considera il suo di centro?" Oscar parlava, sapeva ascoltare, ma ascoltare non gli era bastato poiché quelle parole urlate derivavano da rabbia e non d'amore.

Un uomo non sa star da solo, non sa cucirsi addosso ciò che gli basta per star bene. Quell'uomo non sapeva star da solo, ma da quando lei non c'era aveva preferito la sua assenza piuttosto che la presenza di altre donne che mai l'avrebbero compreso come solo la sua donna in passato aveva saputo fare.  Aveva delle necessità, che gli anni avevano saputo tenere a bada, sapeva che lì fuori il mondo era intrecciato di fili sbagliati, nelle lunghe attese le persone si perdevano e, perdendosi, non erano in grado di trovare la destinazione del loro filo. Lui aveva perduto il suo. Disse, Oscar, che altre labbra non avrebbero saputo respirare le sue in modo pieno e caotico, che altre braccia, non avrebbero potuto stringergli il cuore ed un sorriso spalleggiante, che altri capelli non avrebbero avuto più il suo profumo, che altra pelle, non l'avrebbe potuto rendere illeso. La domanda che da sempre si era posto era questa: "Perché assottigliare un filo tanto da farlo strappare?" Cercava invano le risposte, dandosi la colpa. Nulla era giusto, tuttavia, niente sbagliato. Disse un giorno: "Cercami tra i ricordi buoni e, forse ti ricorderai chi sono. Cercami tra quelli sbagliati e, capirai chi hai perso."

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