Altro giorno altra festa nella città di Cambino, l'estate continua anche se è agli sgoccioli la, ma le strade continuano a brillare con le lucine delle decorazioni e coi cellulari che ogni ora sparano la propria luce in faccia alle persone.
Mi presento, io sono Paolo Minesi e ho 16 anni, uno dei soliti ragazzi non troppo appariscenti e nemmeno definibili "sfigati" sono assolutamente nella norma, in una noiosa normalità. Sono castano e i miei capelli sono corti, i miei occhi marroni e sono altro 1.75. Indosso solitamente lo stesso genere di vestiario, ovvero le prime felpe che trovo, spesso sono nere ma i colori possono variare in base a cosa mi trovo avanti, alle gambe ho sempre un paio di jeans, strappati o interi che siano. Mentre ai piedi non possono mai mancare i miei amati anfibi, forse è la seconda cosa di cui ne vado matto dopo la scrittura.
Anche oggi mi ritrovo a testa in giù a penzolare dal tetto di un garage, i miei amici sono subito dietro di me e sono pronti a calarmi per sporgermi e colpire i nostri bersagli, nella mano destra ho delle piccole bombette completamente innocue che esplodono al semplice contatto, mentre nella sinistra delle biglie, anche se stiamo diventando grandi dobbiamo comunque difenderci dai nostri nemici. I miei amici mi afferrano per la caviglia e iniziando a farmi scendere fino a quando non vedo i nostri bersagli, la mia compagna di banco in compagnia delle sue amiche, dovevano essere eliminate. appena mi videro cominciarono ad avere paura, sapevano che avevo in mente qualcosa, specialmente se mi trovavo in quella stramba posizione.
Con un colpo secco lanciai le piccole bombette che cominciarono subito ad esplodere nel garage facendo un enorme baccano e creando scompiglio in esso, le ragazze corsero per afferrarmi ma come le peggiori scene di "Mamma ho perso l'aereo" feci cadere le biglie in modo da depistarle <Forza alzatemi!> dissi io ridendo.
Una volta tornato su decidemmo di dividerci, sarebbe stato più difficile per loro seguirci. Io cominciai a correre il più velocemente possibile continuando a controllarmi le spalle, ero seguito dalla mia compagna di banco che mentre correva rideva. Ma ecco che ad un tratto la mia attenzione venne velocemente attratta da un manifesto, uno strano manifesto attaccato sulla parete, mi fermi e lo guardai, avevo perso totalmente di mente l'inseguimento e il gioco che stavamo facendo.
<Che succede?> mi chiese Serena avvicinandosi e guardando anche lei al mio fianco quello strano manifesto pieno di colori. <Ero....attratto da questo, sembra essere interessante.> lo staccai dal muro e subito cominciai a leggere ciò che vi era scritto sopra, sembrava parlare di una scuola per scrittori, per lo più di corsi durante l'orario scolastico.
Decisi di portarlo con me, ne avrei parlato a casa e avrei sicuramente approfondito il discorso con i miei genitori.
Una volta che giunsi alla mia abitazione aprí la porta d'entrata e mi guardai intorno, tirai un enorme sospiro notando che al suo interno non vi fosse nessuno, stringevo nella mia mano il manifesto e con passo lento mi avvicinai al divano. Posai le mie natiche su di esso e presi il telecomando andando ad accendere la televisione, come al solito su di essa scorrevano programmi spazzatura, nulla che potete aiutare la mia mente in ciò per cui doveva effettivamente lavorare, avevo scelto uno stupido industriale e avevo capito solo ora che non era ciò che faceva per me. La rabbia in me stava aumentando senza alcun motivo, più vedevo quella stupidità sullo schermo più io pensavo agli errori che avevo fatto, il dolore in me continuava a crescere e la rabbia si trasformò velocemente in un enorme fitta al cuore, non ero assolutamente un chimico, sono un viaggiatore, uno di quelli che non sa parlare ma sa scrivere alla gente.
Delle lacrime rigarono il mio viso portando lentamente ad arrossire i miei occhi. Appena i miei genitori entrarono in casa mi notarono col colore rosso nei miei occhi e la loro lucidità che risplendeva la luce della lampadina posta sul soffitto.<Che succede piccolo!> chiese mia madre sedendosi velocemente al mio fianco e avvolgendomi in un suo abbraccio, io non ricambia quel' affetto, rimasi impassibile, rigido e continuai a guardare un punto fisso silenzioso, non volevo abbracciarla non potevo, se avevo scelto questa scuola era per colpa sua e il mio dolore era causato dalla mia stessa famiglia, dai miei stessi consanguinei.
Notando la mia freddezza lei mi allontanò tenendo le mani sulle mie spalle e guardandomi preoccupata <Perchè non parli... cosa ti succede?> le parole continuavano a non uscirmi, avevo un mattone nella mia gola che non voleva far passare l'aria. Presi il manifesto e glielo posi, lei lo afferrò a sua volta e cominciò a leggere ciò che vi era scritto sopra <Cosa c'entra questo?> mi chiese con un espressione stupita.
Io tirai un enorme sospiro e quel mattone scese di colpo <P....Pensavo di informarmi di più...m...mi piacerebbe.> continuavo a singhiozzare, balbettavo senza alcun motivo, la tristezza era molta e mista alla rabbia che provavo in quel momento nei confronti di mia madre il cuore tendeva a perdere i propri pezzi.
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Il pentagono rosa
General FictionPaolo è un giovane ragazzo italiano, non ha nulla di speciale se non un enorme passione per la scrittura. Pronto a iniziare il 3 superiore dell'industriale gli viene fatta una proposta dalla madre che potrebbe portarlo a coltivare la propria passio...