(24) "Sono il suo ragazzo."

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Thomas Collins.

Erano trascorse delle ore ormai e di Michelle nessuna novità. I medici non erano ancora usciti dalla sua stanza e questo bastò al mio corpo per non smaltire l'agitazione.

Avevo una paura tremenda di perderla che il mio cervello iniziò ad elaborare le peggiori situazioni: E se Michelle fosse morta? E se il suo fosse solo un fattore psicologico, e se lei decidesse di non svegliarsi più? In fondo, perché dovrebbe? Lei pensa che non ha nessuno di cui prendersi cura ma io, io volevo che lei si prendesse cura di me e che lei mi permettesse di fare lo stesso.

Due anni fa non avrei mai immaginato che questa ragazza potesse essere la mia seconda chance di vita, sapevo che la prigione non sarebbe stato un posto per me in quanto non lo fosse per nessuno, sapevo ed imaginavo che le pene più ripugnanti andassero a me, sapevo che non c'è l'avrei fatta... non da solo. Poi ho incontrato Michelle, lei era così riservata e pronta a scoppiare che mi intimoriva anche solo guardarla, non perché fosse brutta non perché fosse un mostro, lei era semplicemente ferita e delusa. Delusa perché proprio come me, la sua famiglia le aveva volutamente voltato le spalle, ferita perché era stata proprio la madre a voltarle le spalle.

Essere una madre per un figlio maschio ha un certo impatto emotivo, i figli maschi tendono a cavarsela da soli cercando magari di prendere le orme del proprio padre. L'impatto emotivo che ha avuto mia madre su di me è stato totalmente diverso, mia madre era una figura forte nella mia vita forse molto più di mio padre. Con lei ero sempre teso, in constatante disagio emotivo e fisico, non ero me stesso.

Le figlie femmine hanno bisogno della madre in modo più morboso, più costante. Michelle e sua madre avevano un rapporto unico, sua madre era la sua forza e lei era l'ancora della madre. Poi tutto è andato in frantumi e adesso entrambi avevamo dei problemi a cui non esisteva una cura.

Più volte avevamo provato a scappare, talvolta inutilmente, molte volte avevamo provato a creare dei piani a parer nostro geniali e molte altre eravamo stati beccati. Tutto ciò che avevamo escogitato era andato in frantumi col passare del tempo, e con esso, anche noi.

Nel frattempo la porta della camera di Michelle precedentemente chiusa si apre con un frastuono assordante e da lì ne escono i medici con lei ancora stesa sul lettino bianco.

«Che succede? Dove la state portando?» sento l'agitazione premere sulla mia voce e dovetti compiere un gran sforzo per non dare di matto.

«Mi dispiace, non possiamo dare informazioni personali ai conoscenti.» mi informa una delle tante infermiere accerchiate al lettino bianco.

E vorrei sbottarle contro che io ero l'unico, che lei non avesse nessuno e che io fossi tutto ciò di cui avesse bisogno. Che volevo essere il primo e l'unico a cui avrebbe rivolto lo sguardo non appena si fosse svegliata, che io fossi lì per lei mentre altri, no. Invece rimango in silenzio, limitandomi a scusarmi e a seguirli al piano superiore. L'ascensore tanto grande da riuscire a contenere cinque persone in un'unica volta segna il quinto pianto, non appena le porte d'acciaio furono aperte i medici non impiegarono molto prima di precipitarsi fuori da esso e camminare a passo troppo svelto verso una delle tante stanze. La scritta 'Rianimazione' illuminava la grande porta bianca che conduceva proprio dentro il lungo corridoio. Ormai con la stanchezza pari a mille mi accasciai sulla sedia, per un solo istante i miei muscoli si rilassarono e mi lasciai sfuggire un gemito susseguito da un respiro profondo... sentivo la testa pulsare e da qualche minuto avvertivo pure delle leggere palpitazioni, gli occhi mi bruciavano per la stanchezza e i piedi ormai non riuscivo più a sentirli. La mente non riusciva a focalizzarsi su qualcosa che non implicasse necessariamente la ragazza rinchiusa in sala rianimazione.

Insane » Dylan O'brienDove le storie prendono vita. Scoprilo ora