Chapter 2

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Apro gli occhi e vedo tutto nero. La stanza è completamente buia. Non che mi dia fastidio, non ho paura del buio, almeno non più. Adesso mi sento abbastanza a mio agio nell'oscurità. E' stano da dire, ma è così: nessuno può vedermi, nessuno può controllarmi, posso far finta di non esistere e sparire dal mondo.

Tutte le notti, o almeno quelle che credo siano notti, loro spengono le luci. Credo che in questo momento io debba dormire, ma non ho più sonno.

Devo essermi addormentata mentre scrivevo quello stupido diario. Ne ho scritto qualche pagina. L'ho fatto per Sam. Al solo pensare di quel nome, mi viene un dolore acuto al centro del petto.

Sam. Quel ragazzino di dodici anni che è stato portato via dal Posto davanti i miei occhi.

E' così che si chiama il luogo in cui abitavo, Posto. E' stata distrutta, rasa al suolo e polverizzata. Ed è in questo modo che la mia infanzia e quelli di tutte le persone che ci abitavano è stata spazzata via, come se niente fosse, da loro. Tutto ciò che ritenevo sicuro, si è rivelata una trappola. Una dolorosa trappola.

Sam prima di essere catturato mi aveva detto che sarei dovuta essere forte e che sarei riuscita a farcela da sola. Non capii cosa intendesse con quel "farcela da sola". Inizialmente avevo pensato che lo avesse detto solo per dire, o che pensasse che il mio mondo sarebbe crollato se non ci fosse stato lui al mio fianco. Un po' egocentrico, avevo pensato.

Ma quando avevo affrontato la realtà faccia a faccia, è stato in quel momento che avevo realizzato a cosa si stesse riferendo.

Avevo sempre pensato che avrei potuto fare affidamento su mia madre, il mio fratello Gus e qualche amica che ero riuscita a farmi a scuola. Non sono mai stata troppo socievole. Sono sempre stata una ragazza, una bambina all'epoca, che ha sempre preferito restare sola. Mi piaceva. 

Ma ho cominciato ad odiarlo quando lo ero diventata davvero. Sola, intendo. Niente madre. Niente fratello. Niente amiche. Andati via tutti.

Ricordo che quel giorno tornai a casa. Era vuota. Non c'era nessuno. Non c'era la mamma che mi salutava con un abbraccio caloroso dopo una giornata di scuola. Non c'era Gus che mi prendeva in giro come era solito fare. Non c'era nessuno. Se ne erano andati e con loro, anche una parte di me.

Giorni dopo venivano catturate sempre più persone. Anziani, uomini, donne, bambini. Chi correva, chi urlava, chi si ribellava. Ma non potevi scappare. Se lo facevi, potevi anche considerarti morto.

Io intanto, ero rimasta nella mia casa, nascosta. Spesso guardavo dalla finestra per vedere cosa stesse succedendo di fuori, ma me ne pentivo sempre. Fiamme, sangue, morti. Era tutto ciò che vedevo. A volte venivo anche stordita dalle urla. In quei momenti desideravo morire.

Non volevo andarmene da Posto. Posto. In realtà non si chiamava così. E' stato denominato in questo modo affinché perdesse di ogni dignità, di ogni significato, di ogni gioia. Una città che è stata svuotata fino a quando non ne è rimasto niente. E' solo un Posto. 

Però un giorno fui trovata da una donna. Ricordo che mi aveva presa in braccio per trasportarmi fuori dalla casa, ma io continuavo a scalciare affinchè mi lasciasse. Mi ha picchiato. Il dolore che provai quel giorno è un qualcosa di indescrivibile. Ho ancora delle cicatrici su tutto il corpo.

I miei pensieri vengono interrotti dall’improvviso bussare alla porta. Sempre la stessa storia, tutte le volte.

Joy è qui.

Joy è una ragazzina di undici anni. E’ stata portata qui qualche mese fa e lei si è avvicinata a me, senza un apparente motivo. All’inizio mi infastidiva, ma ora non ci faccio più caso, anzi, a volte la sua compagnia è piuttosto piacevole. Ovviamente, non sopporto quando comincia  a bussare alla porta del mio dormitorio mentre non sono sveglia. In questi casi è abbastanza irritante, ma la capisco, credo. Non ha nessuno accanto, come me.  Penso che qui, sia la mia unica amica.

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