Prologo

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L'Accademia Last Eden era parecchio bella, parecchio grande e parecchio interessante per Leniede; parecchio imponente e importante per Cecil ed entrambi finirono nella stessa classe. Dal primo anno furono amici, come con tutti gli altri compagni di classe. Ma dal penultimo anno qualcosa di oscuro si agitava, prima nel cuore di Cecil, poi in quello di Leniede. Ed ecco che, con questa sensazione di dubbio sulla natura dei loro sentimenti, iniziarono il loro ultimo anno in accademia.

Leniede Camlen, un bellissimo giovane cui tutti andavano dietro, con i capelli lisci e bianchissimi e dei dolcissimi occhi celesti, era un bardo. Tutte volevano sempre ascoltarlo suonare, ma lui rifiutava sempre, e il loro unico conforto di ragazze innamorate era sentirlo suonare per supportare il team in battaglia, nel centro addestramento della scuola. Ovviamente solo coloro che potevano, cioè le ragazze della sua classe, il cui 90% pendeva visibilmente dalla sua bocca. Leniede si penava a dire di no alle persone, ma era comunque sempre un no detto con gentilezza, che non osava ferire alcun sentimento; era un no che veniva da una timidezza molto accentuata, e che un bardo di rado ha; ma ognuno è speciale per come è. Tuttavia adorava suonare la sua piccola arpa, da lui molto amata, e spesso e volentieri essa era di accompagnamento alla sua bellissima voce, che nessuno, ovviamente, poteva sentire, chiusa com'era a dare piacere alle pareti delle aule insonorizzate adibite all'uso dei soli bardi. Insomma, le fan non potevano neanche degnarsi di origliare, perché non serviva a nulla. E se qualche furbona (barda) entrava "per caso" in quella stanza insonorizzata, non ne ricavava un bel niente, perché il ragazzo smetteva immediatamente di suonare e cantare, e con un leggero rossore sulle guance sorrideva come un angelo sceso in terra di sua volontà. E questo a volte bastava alle furbone per farsi venire un attacco di cuore bello e buono, e uscivano dall'aula insonorizzata ancora più intontite da quel contatto visivo. Ma Leniede era anche abbastanza ingenuo e troppo gentile per ammettere di avere delle fan. Non sapeva di averle, non sapeva di essere amato. Il massimo che poteva pensare è che tutte le persone fossero gentili. Ma lo erano con lui, non con tutti.

Cecil Muir, il suo compagno di classe, era un bel ragazzo, alto, forte, con dei capelli verdi scuri e gli occhi dello stesso colore. Era un cavaliere, e il suo cuore era difatti molto generoso. In battaglia aveva il dovere di combattere, difendere i compagni dagli attacchi, e a volte, quando era necessario, anche usare magie di cura. Era stimato perché chi lo conosceva sapeva che era una persona molto generosa e disponibile, e anche quando vedeva qualcosa come una scocciatura, sapeva camuffare benissimo il fastidio e rispondere con un sano sorriso e una disponibilità quasi sincera. Non era popolare quanto Leniede: quest'ultimo era infatti famoso in tutta la scuola pur non avendo fatto nulla; la sua bellezza passiva aveva fatto tutto da sola. Cecil era invece un individuo attivo, che si faceva amici chiacchierando e ridendo e dando un po' di brio alla situazione. Non era un tipo da baldoria, ma non era per niente neanche un tipo noioso, per questo veniva apprezzato dai suoi conoscenti. Anche lui aveva notato, come tutti, la bellezza del suo compagno di classe, ma la considerava una specie di bellezza platonica, come quella che si contempla guardando i propri dipinti preferiti. Tuttavia quell'ultimo anno fu un anno di svolte per quanto riguardava il suo cuore, dove l'immagine di Leniede non era più un dipinto bellissimo e senza vita, ma un continuo rinnovo di colori, sgargianti, vivi e mobili. I suoi sentimenti iniziarono a diversificarsi, e sentiva qualcosa di strano ora, ogni volta che, seduto al proprio banco, si voltava e vedeva Leniede impegnato a fare qualcosa, qualunque cosa. Quando appuntava qualcosa sul quaderno spostandosi leggermente dei capelli, o quando si sistemava un bottone di una delle sue giacche colorate, o quando raccoglieva la matita caduta (forse non a caso) della compagna di banco e gliela restituiva con un timido sorriso. Tutto quello lo riempiva di una tenerezza un po' insolita, che solo con notti insonni spese a speculare sul proprio animo con dura sincerità era riuscito a identificare come un innamoramento, anch'esso assolutamente insolito. Ma Cecil era un tipo coraggioso, e pensare di essere gay non lo spaventava come poteva spaventare molte altre persone; avere paura davanti a un archeosaurus senza un team con cui combatterlo era una cosa che lo preoccupava di più. Seguire i propri sentimenti era un po' andare d'accordo con se stesso, e lui aveva deciso di non fare a botte col proprio io. Così, la notte in cui lo realizzò pienamente, e lo capì quando ormai il viso di Leniede gli aveva completamente otturato il cervello, al posto di preoccuparsi, sorrise tranquillo e cercò di dormire. Certo, era preoccupato, ma di quella preoccupazione che ha ogni innamorato, ciò di non essere accettato dalla propria anima gemella. Così, al posto di vivere la cosa come un inferno, Cecil iniziò a viverla come un amore normale. Quando usciva dal dormitorio la mattina per le prime lezioni e per caso lo faceva nello stesso istante di Leniede, il cuore gli batteva e gli saliva un grosso sorriso, che tentava di nascondere; quando a mensa si sedeva a un tavolo da dove era possibile guardarlo, si sentiva elettrizzato; quando il bardo aveva bisogno di appunti quando era stato malato e non aveva potuto assistere alle lezioni, lui era il primo che glieli offriva, e in quel momento le sue compagne non lo guardavano con benevolenza. Tuttavia era molto cauto, e mai nessuno avrebbe detto che era interessato a Leniede. Solo un attento osservatore senza pregiudizi avrebbe potuto notare con che sguardo Cecil lo guardasse; ma gli attenti osservatori erano più intenti a guardare Leniede e sbavare senza ritegno.

L'amore tra cioccolatini e sinceritàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora