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Guardami, Eurialo.
Voltati verso di me, anche solo una volta.
Voglio essere l’ultima cosa che i tuoi occhi color del mare vedono.

 
 

Le urla disperate si diffondevano nell’aria ancor prima del bagliore delle fiamme o dell’odore del legno che arde.
Urla di madri costrette a vedere sgozzati i loro figli maschi e che poi venivano violentate, percosse senza alcuna vergogna né pietà da parte dei loro aggressori; urla di vecchi troppo lenti per riuscire a sottrarsi al fuoco, destinati a morire arsi dalle fiamme; urla di lattanti che non capivano cosa stesse succedendo, ma che piangevano lo stesso a pieni polmoni, come se volessero essere sicuri che chiunque sentisse la loro voce, prima che morissero.
Gli Achei, come psicopompi infernali, lasciavano una scia di cenere e sangue dietro di loro, mietendo vittime una dopo l’altra con una furia più animale che umana.
 
Un giovane dai capelli bruni, insieme a pochi altri che erano riusciti a scampare alla strage, correva per uno dei vicoli secondari che sapeva lo avrebbe portato fuori dalle mura della città il più in fretta possibile.
Il suo volto era incrostato di sudore, polvere e fuliggine, eppure insolitamente fiero. Il suo sguardo, sotto le sopracciglia corrugate in un’espressione grave, lasciava trasparire un desiderio di lotta, il sentore che mai si sarebbe arreso nonostante fosse costretto a fuggire.
Aveva ben stampati nella mente, il giovane, i volti delle persone che si travolgevano l’un l’altra nelle strade brulicanti di Troia: maschere di dolore e terrore, grottescamente deformate dalla paura e dallo smarrimento.
Fu forse per questo che il viso di un fanciullo, rintanato contro l’uscio di una porta in quel vicolo sudicio, le gambe rannicchiate contro il petto, lo colpì tanto da farlo fermare. Il bambino, che non poteva avere più di sette, forse otto, anni, se ne stava immobile, il volto rigato dalle lacrime, gli occhi spenti. Non un’emozione turbava i suoi lineamenti eleganti. I suoi ricci biondi risplendevano al tenue bagliore delle fiamme lontane, gli occhi gonfi scintillavano come due perle nella semioscurità.
Il ragazzo non seppe cosa lo spinse a precipitarsi verso di lui, rassicurandolo quando questi si ritrasse alla vista della spada che pendeva inguainata al suo fianco – forse il suo volto candido, né seppe spiegarsi perché se lo caricò sulle spalle, inutile fardello in un momento in cui ogni attimo perso poteva essergli fatale – forse il suo sguardo puro.
“Ho perso mia madre”, sussurrò il bambino tra un singhiozzo e l’altro, tenendosi stretto al collo del suo salvatore.
“Non preoccuparti, la ritroveremo”.

tantum infelicem nimium dilexit amicum || Eurialo e NisoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora