1 - Petali di rosa

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Era da tanto che non andava in quell'appartamento. Decenni, che per Leo sembravano secoli perché, negli ultimi ventun anni, non aveva più voluto varcare quella soglia, entrare nel luogo che era stato testimone del momento più felice, e allo stesso tempo più doloroso di tutta la sua vita.

Fece il suo ingresso nell'atrio che si affacciava sul salone ampio, illuminato dalle grandi vetrate che campeggiavano sulla parete opposta, da cui si poteva ammirare dall'alto una buona fetta del Pincio, di piazza di Spagna e via Condotti. Una vista su Roma spettacolare e affascinante a cui aveva rinunciato volentieri, pur di scappare da quel posto.

Con un sospiro chiuse la porta dietro di sé e si passò una mano sulla barba, elegante nel taglio corto ben curato, e tra i capelli appena brizzolati, nonostante i suoi quarantatré anni. Si guardò intorno e osservò la casa vuota, così simile a una vecchia signora stanca, ma ancora nobile e dignitosa. Infine, gli occhi chiari si fermarono sull'unica cosa che non aveva avuto il coraggio di vendere: il pianoforte di Massimo.

Leo guardò il vecchio strumento impolverato, ma fiero, che si stagliava davanti alla vetrata con la sua linea aristocratica. La copertura sui tasti era sollevata e una vecchia rosa di tessuto, rossa come lo era la passione di quell'uomo quando suonava, era caduta dal suo vaso, rompendosi in alcuni punti e colorando con i suoi finti petali i tasti ingialliti dal tempo e dall'abbandono. Con passo incerto e il cuore in gola si avvicinò al pianoforte, prese i petali sparsi, li carezzò con delicatezza e con un sospiro li mise nella tasca della giacca. Chiuse poi la copertura dello strumento e nel farlo il suo cuore tornò a battere regolare, ricacciando in un angolo lontano e buio il ricordo dell'unico uomo che avesse mai amato, lo stesso che gli aveva fatto promettere sul letto di morte che non lo avrebbe mai dimenticato, che non avrebbe mai più amato nessun altro. Fu un atto egoistico, la sua ultima follia prima di morire, ma per Leo era tutto il suo mondo e da allora aveva mantenuto quella promessa. Niente più amore nella sua vita, solo lavoro, divertimento e sesso senza pensieri.

Ed era davvero paradossale che proprio il giorno di San Valentino, una stupida ricorrenza che odiava, fosse stato costretto ad andare in quella casa per consegnare le chiavi all'agente, incaricato di venderla.

«Signor Proia?»

La voce di un uomo attirò la sua attenzione e si voltò verso la porta d'ingresso che era stata riaperta, osservando l'agente immobiliare fermo sulla soglia. Era un bell'uomo sulla trentina, dal fisico magro e asciutto, e i capelli rossi e corti. A Leo piacevano i rossi, erano rari e avevano sempre una pelle bianca e morbida.

«Lei deve essere Riccardo, se non ricordo male il nome» disse andandogli incontro per stringergli la mano in una stretta forte e decisa, sovrastandolo dall'alto del suo metro e novanta.

«Sì, sono io, piacere di conoscerla. Vedo che il suo aspetto corrisponde alla voce.»

Mi stai già facendo il filo? Diretto, mi piaci.

«Di suo gradimento?» gli chiese, continuando a tenere la sua mano, stringendola come per misurarne la forza.

«Diciamo che non delude le aspettative.»

Leo con un leggero sorriso lasciò la presa e guardò l'ora sull'orologio di marca, non un Rolex, perché lui odiava ostentare la sua ricchezza, ma di valore e molto elegante.

«Non ho tempo, devo andare a risolvere una rogna lavorativa, ma possiamo continuare il discorso stasera.»

«Certamente... sarà un piacere» gli rispose l'uomo con un tono caldo e un sorriso che confermò quanto Leo aveva intuito.

«Me lo auguro. Ecco le chiavi della casa, la venda al più presto, per favore. Per il resto, ci vediamo alle nove, il mio indirizzo credo lo conosca» gli disse, consegnando tutto il mazzo con il portachiavi all'uomo, sul cui viso era apparso un sorriso soddisfatto, e Leo era certo che non fosse solo per la succulenta provvigione, che avrebbe ricavato con la vendita dell'appartamento.

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