Quattro

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Guardammo il sole che lentamente scendeva verso la linea del mare, tingendo tutto di rosso, giallo e arancione. I capelli bagnati che avevo legato in una coda alta si stavano asciugando, nonostante fossero ancora per metà attaccati alla nuca. La divisa da pallavolo zuppa sembrava pesare di più. Strizzai di nuovo la maglia per farla asciugare prima. Cameron aveva risolto il problema togliendosi la T-shirt e appendendola alla tavola da surf, piantata nella sabbia poco distante da noi. Teneva gli occhi chiusi, il volto verso l'alto, il busto inclinato all'indietro e il fisico in bella vista. Il sole faceva risplendere le goccioline d'acqua ancora presenti sul suo petto. Era perfetto, troppo perfetto, quasi irreale. Se solo non fossi stata sicura di star vivendo quel momento, molto probabilmente penserei di sognarlo.
Cameron aprì un occhio e mi guardò per qualche secondo, poi un sorrisetto si dipinse sul suo volto: "Se vuoi farmi una foto, prego, non mi offendo."
Sentii la faccia andare in fiamme, e gli mollai un pugno sul braccio. Il ragazzo scoppiò in una fragorosa risata nel vedere la mia espressione imbronciata.
"È tardi." Dissi solamente e mi alzai.
Cameron mi seguì e, dopo aver preso le tavole da surf, ci dirigemmo verso la macchina. Le adagiammo nel cassone sul retro, poi ci accomodammo sui sedili. Tirai l'elastico per sciogliere i capelli che, bagnati, risultavano più scuri rispetto al solito, quasi neri in confronto al loro nocciola naturale. Ci passai una mano nel mazzo e cercai di pettinarmeli e aggiustarli un po' con le dita, aiutandomi con il riflesso nello specchietto del parasole. Alzai quest'ultimo quando ebbi finito.
Si respirava un'aria di pace, parcheggiati lì, senza altre presenze. Avvertii la mano di Cameron che si intrecciò alla mia. Mi girai a guardarlo; i suoi occhi smeraldo fissi nei miei grigi. Fu questione di un attimo, prima di ritrovarmi con una sua mano dietro la nuca, il corpo inclinato in avanti e il suo viso a pochi millimetri di distanza. Le sue labbra sfiorarono le mie, ma non si andò oltre. La suoneria del mio telefono si propagò per tutto l'abitacolo, creandomi non poco imbarazzo.
Mi allontanai da Cameron e presi il telefono per controllare chi mi stesse chiamando.
"Pronto, mamma?" Tenni il cellulare a debita distanza dal mio orecchio.
Prima di rispondere, infatti, avevo notato le tre chiamate perse. Molto probabilmente mia madre mi aveva telefonata mentre eravamo in spiaggia, e io avevo lasciato il cellulare in macchina.
"Si può sapere dove sei?" Tuonò dall'altro lato. "Se esci devi avvisarci!"
Ecco, menomale che non tenevo il telefono vicino all'orecchio.
"Mi dispiace. Tornerò subito." Promisi.
Posai il telefono nella tasca e mi girai verso Cameron con un sorriso imbarazzato sul volto.
"Mi spiace." Sospirai.
Lui mi sorrise comprensivo, rassicurandomi con un semplice "non ti preoccupare".
Ingranò la marcia e partì.
Arrivati davanti casa mia lo salutai con un veloce bacio sulla guancia, presi le mie cose e scesi dalla macchina. Tirai fuori le chiavi che inserii nella toppa e aprii la porta. In casa si sentiva solo un leggero rumore di voci ovattate, proveniente sicuramente dalla camera dei gemelli. Chissà che stavano combinando.
I miei genitori non c'erano. Mia madre prima mi fa una cazziata che non so tornata, poi torno e lei non c'è, benissimo.
Lasciai il borsone e la felpa in camera mia per poi andare in bagno a farmi una doccia, nel mentre controllavo i vari messaggi che mi erano arrivati. Uno di questi era da parte di Abel, che mi dava qualche dettaglio in più sul mio ruolo. Non che fosse tanto chiaro, accennava soltanto al mio "tutor", una ragazza del quarto anno, Maya Fields. Poggiai il cellulare sulla mensola del bagno e, dopo essermi spogliata, entrai in doccia. Feci scorrere l'acqua fino a quando non raggiunse la temperatura che più mi aggradava.
Persi la cognizione del tempo mentre mi lavavo. Era così la maggior parte delle volte. L'acqua alla temperatura giusta che scorreva lungo il mio corpo mi rilassava tantissimo. Nel frattempo che mi coprii con un asciugamano, sentii bussare alla porta del bagno.
"Occupato." Risposi, e usai un altro panno di spugna per avvolgere i capelli.
Bussarono di nuovo, e ripetei la stessa parola con un accenno di fastidio chiaramente evidente nella voce. Ma chiunque fosse dietro la porta probabilmente era sordo, poiché riprese a battere ripetutamente le nocche sul battente in legno. Infastidita, andai ad aprire per dirgliene quattro, convintissima che fosse uno dei gemelli. Invece, dall'altro lato del varco trovai un metro e ottantacinque di chili di muscoli e zero materia grigia, occhi azzurro mare e capelli come il cielo in una notte di inverno senza stelle. Lo guardai bene dall'alto in basso e viceversa più volte, per convincermi che lui fosse realmente lì e non uno scherzo della mia immaginazione.
Mi sentii a disagio, molto. L'asciugamano avvolta attorno al mio corpo sembrava scomparire sotto il suo sguardo inquisitore, sotto il quale provai la sensazione di essere nuda. Feci la cosa più naturale che mi venne in quel momento: cacciai un urlo - probabilmente lo sentirono anche i vicini- e chiusi la porta di scatto. Potei udire le imprecazioni di Blaine; forse gli avevo sbattuto la porta in faccia.
Ops.
"Che vuoi?" Chiesi incrociando le braccia al petto.
"I tuoi fratelli volevano sapere se ti andava di venire con noi al McDonald's." Rispose con voce nasale, possibile effetto dell'impatto precedente.
"Sì, il tempo di vestirmi."
Aspettai un paio di minuti prima di aprire la porta e controllare che Blaine se ne fosse andato. Afferrai i miei panni e tornai in camera. Mi vestii in fretta, cosa che fu alquanto difficile con un asciugamano in testa, prendendo dall'armadio una gonna a pieghe nera e una qualsiasi maglia bianca. Tolsi il turbante dalla mia testa e legati i capelli in due trecce alla francese. Impresa ardua tenendo conto del fatto che non erano asciutti né pettinati, ma sempre meglio di lasciarli sciolti e bagnati. Infilai le scarpe, agguantai una giacca sulla sedia della scrivania e il telefono e scesi al piano di sotto.
"Finalmente." Esclamò per poi sbuffare Blaine.
"Ho fatto il più veloce possibile. Non rompere." Replicai.
Uscimmo da casa e salimmo nella macchina dei gemelli.
Prevedevo già una bellissima serata in compagnia di tre scimpanzé. L'unica cosa che mi aveva convinta ad andare era la mia irresistibile voglia di sfondarmi di cibo spazzatura.
La cena non si rivelò un disastro. Nessuno tornò con qualche parte del corpo rotta o amputata, quindi poteva dirsi un successo. E il fast food lo lasciammo così come l'avevamo trovato.
Jack e Isaac accompagnarono Blaine a casa sua prima di dirigerci verso la nostra abitazione. Dopo che il loro amico scese, cambiarono immediatamente espressione. Divvenero seri all'istante.
"Sei stata con Cameron oggi, non è vero?" Chiese Isaac.
Incrociai le braccia al petto. Ecco che ricominciavano.
"E anche se fosse? Non sono cose che vi riguardano.". Replicai.
"Quel tipo non ci piace. Non devi più frequentarlo." Prese parola Jack. "Fidati di noi."
"Per finire come l'ultima volta? No, grazie." Alzai lo sguardo e capii di aver colpito nel segno. Avevano ancora il rimorso per quello che era successo. "I ragazzi me li so scegliere da sola."
Questa fu tutta la conversazione fino a casa. Arrivati, scesi in tutta fretta dalla macchina e mi confinai in camera mia, ancora arrabbiata per la conversazione avuta prima. Mi sdraiai sul letto, strinsi forte un cuscino tra le mani e ci soffocai dentro un urlo. Cominciavano ad esagerare. Non avevo dimenticato quello che era successo in primo, al ballo d'inverno. Quella sera mi ero sentita malissimo, usata e a pezzi. È incredibile come una persona può distruggere la tua favola di tre mesi in un attimo. Passare dall'amore all'odio è questione di poco.
Ero nervosa, dovevo calmarmi. Mi alzai dal letto, aprii il cassetto della scrivania in legno dipinto di umidi; di certo non mi potevo aspettare che si sarebbero asciugati. Tirai fuori dalla piccola scatolina l'accendino e una sigaretta; accesi quest'ultima e feci un primo tiro. Inspirai a pieni polmoni e lentamente cacciai fuori tutto il fumo. Cominciavo già a sentirmi più rilassata.
Prima di fare il secondo tiro corsi a chiudere la porta della stanza a chiave, per sicurezza. Se i miei fratelli fossero entrati e mi avessero vista sarebbe stata la fine. O peggio, i nostri genitori. Solo Noëlle sapeva che ogni tanto fumavo. Non avevo preso il vizio, e speravo sempre di non farlo, ma c'erano momenti in cui avevo bisogno di fare qualche tiro per calmarmi.
In quel momento mi arrivò un messaggio da Cameron, in cui mi chiedeva come stessi. Risposi che poteva decisamente andare meglio, ma mi rifiutai di spiegargli il perché, nonostante la sua insistenza. Non volevo dirgli che i miei fratelli mi intimavano di stare lontana da lui, anche se forse lo sapeva già. Comunque, era una cosa che riguardava e dovevamo risolvere loro e io, lui non c'entrava nulla.
Finita la sigaretta, spensi la cicca sul lato del balcone, spazzai via la cenere con una mano - brutta idea il balcone bianco - e buttai il filtro nella spazzatura. Dovevo solo ricordarmi di non far vedere a mia madre quel cestino prima che il mozzicone fosse sommerso da altra roba. Mandai l'ultimo messaggio a Cameron prima di cominciare a studiare. Menomale che alcuni compiti li avevo fatti prima che iniziasse l'allenamento, altrimenti sarei rimasta sui libri quasi l'intera notte.

Il ragazzo della mia migliore amicaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora