Iliade AU|| Kagehina

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Sono passati tre anni dall'inizio della guerra tra Troiani e Greci. Kageyama Tobio è uno tra più valorosi combattenti greci, se non il più valoroso, ed è sempre affiancato dal suo fedelissimo scudiero, Hinata Shoyo. Loro due sono in perfetta simbiosi, spesso vengono definiti un orco e la sua mazza, e anche se a Tobio non era mai fregato granché, non gli era sfuggito che Shoyo abbassasse lo sguardo e si mordesse il labbro ogni volta che sentiva quella definizione.
Conosceva Hinata come le sue tasche, e senza di lui non avrebbe potuto vivere. Hinata era il suo Sole, l'unico motivo per cui continuava a combattere. Perché sapeva che, se avessero perso, Hinata sarebbe stato fatto schiavo, o peggio. Non voleva neanche immaginarlo. E quindi combatteva e combatteva, uccideva e assediava, tutto con il solo obbiettivo di non perdere.
Perché solo chi vince può restare libero.
E se lui avesse vinto, Hinata lo sarebbe rimasto. E fino a che fosse stato in vita, fino a che avesse avuto anche solo un respiro, Kageyama avrebbe combattuto e vinto. Tutto per il suo raggio di sole.
Ma ultimamente c'era qualcosa di diverso. Hinata sorrideva di meno, si trascinava sempre più volentieri sul campo di battaglia. Era questa la cosa che preoccupava di più Tobio, soprattutto quando, pochi giorni prima, durante una battaglia si era voltato e non aveva più visto Shoyo accanto a sé.
L'aveva trovato pochi metri più in là, a combattere contro un Troiano alto due metri. Troiano che era morto subito dopo. Tobio si aspettava almeno un ringraziamento, invece Shoyo era sembrato furioso. "Non ho bisogno di te" aveva detto allontanandosi.
E invece sì. Ne aveva bisogno, lo sapeva benissimo. E lo odiava. Voleva imparare a combattere da solo.
Anche se avesse significato rischiare di morire, non voleva essere ricordato come "lo scudiero di Kageyama".
Voleva diventare un eroe.
Voleva combattere le proprie battaglie. Da solo. O morire nell'intento.

Fu per questo che, quella mattina, Shoyo si svegliò prima del solito e sgattaiolò fuori dalla sua tenda, sua e di Tobio che ancora dormiva. Andò nell'armeria greca e prese una vecchia armatura, diversa dalla sua, e dopo aver indossato l'elmo si guardò riflesso in un ruscello. L'elmo bronzeo gli copriva totalmente il viso, lasciando scoperti solamente gli occhi. Nessuno l'avrebbe riconosciuto. Sollevò la spada e, sorridendo, si dirise verso il campo di battaglia.

Tobio si svegliò in un bagno di sudore freddo.
Un incubo... un incubo terribile.
Dov'era Hinata? Uscì dalla tenda con solo una tunica indosso e girò tutti gli accampamenti, alla ricerca del suo compagno. Ma appena uscì si rese conto di una cosa.
Gli accampamenti erano vuoti. E fu allora che le sue orecchie sentirono, in lontananza, i rumori della battaglia.
Non era uno stupido, ma a quanto pare il suo compagno sì, e anche tanto se pensava di poter sopravvivere senza di lui. Stava per tornare nella tenda a indossare l'armatura, quando i rumori cessarono. La battaglia era terminata. I Greci stavano tornando nei loro accampamenti.
E su uno dei carri, Tobio individuò chiaramente una chioma rossa ricoperta di sangue.

Corse, corse e corse. Non ricordava di aver mai corso tanto. Aveva bisogno di stringerlo a sé, di stringere Shoyo fin quando non fosse guarito e poi urlargli di tutto per la sua stupidità.
Ma fu solo quando raggiunse i carri greci che realizzò che il sangue sull'armatura di Shoyo, da dove l'avesse tirata fuori era un mistero, non era del greco. Ma era sangue del nemico, sangue troiano. Aveva un sorriso strano, Shoyo, non era propriamente un sorriso. Era più una smorfia soddisfatta, come un corvo che ha finalmente catturato la sua preda. In mano stringeva ancora la spada ricoperta di nobile sangue troiano.
"È stato fantastico" gli dissero i compagni "era simile ad un dio" ma Shoyo ancora non parlava, troppo impegnato a fissare negli occhi il suo compagno dai capelli neri, occhi che Tobio quasi non riconobbe: occhi assetati, occhi famelici, occhi bramosi di sangue. E capì che, adesso che il piccolo corvo aveva assaggiato il sapore del sangue, niente gli avrebbe impedito di gustarne un'altra dose.
E Tobio ebbe paura. Paura di quel soldato che non conosceva, di quel guerriero dai capelli rossi. Quello non era il solito Hinata dal sorriso vivace, quello era un combattente dannatamente abile di cui non sapeva nulla. Capì che non conosceva così bene il suo scudiero come credeva.
Capì anche che Hinata non voleva più essere solo uno scudiero, che non lo sarebbe più stato.
-quanti ne hai uccisi?- chiese Kageyama senza distogliere lo sguardo.
-58- Tobio abbozzò un sorriso di sfida.
-oggi hai vinto tu, Hinata. Sei stato tu il migliore. Ma domani ne ucciderò almeno il doppio- Shoyo ricambiò il sorriso.
-e allora io ne ucciderò il triplo.

Quella notte fecero l'amore.
L'avevano già fatto diverse volte, tantissime volte, ma quella fu diversa.
I baci divennero più affamati, le lingue più curiose, i corpi in un contatto perenne, le mani l'uno sul corpo dell'altro, quasi a imprimere sulle rispettive pelli il ricordo del corpo dell'altro. Kageyama aveva sempre odiato quel tipo di bacio, mentre Hinata lo adorava. Tobio gli ripeteva sempre "non baciarmi ogni volta come se fosse l'ultima. Nessuno potrà mai uccidermi, e finché io sarò in vita, anche tu sarai al sicuro. Ricordatelo bene, stupido idiota", ma quella notte capì perché Shoyo li amasse tanto. Perché tutte le altre notti, Kageyama aveva la certezza che non avrebbe visto l'altro morire. Perché finché fosse stato in vita, Shoyo sarebbe stato al sicuro. Hinata non aveva mai avuto questa certezza.
E da quel giorno, non ce l'avrebbe più avuta nemmeno lui.
Perché sapeva che Hinata non si sarebbe più lasciato proteggere. Che si sarebbe allontanato da lui, che si sarebbe gettato nella mischia. Che sarebbe stato in pericolo. E che quindi, ogni giorno sarebbe potuto diventare l'ultimo. E che quindi, ogni bacio sarebbe potuto diventare l'ultimo. Che un giorno avrebbe potuto svegliarsi senza poter sentire nuovamente le labbra di Shoyo, il suo corpo contro il suo, senza poter vedere di nuovo il suo bel sorriso che pareva essere l'unica cosa capace di farlo sorridere. Ma che, al contrario, avrebbe visto i suoi capelli rossi sporchi di sangue, i suoi occhi chiusi, la sua pelle leggermente abbronzata e ricoperta di lentiggini e di graffi.
E questa consapevolezza riaccendeva una fiamma nuova in lui, una passione diversa. Il desiderio di sfruttare al massimo ogni singolo istante, di baciare Hinata il più possibile, di imprimersi la sua pelle sotto le dita, così da ricordarne la forma e il calore.
Voleva avere un ricordo, un insieme di sensazioni belle da ricordare per quando sarebbe finita. Perché quella notte, Tobio capì una cosa.
Senza il sorriso di Shoyo, sarebbe morto.
Magari non fisicamente. Il suicidio era un disonore, ed era difficile che qualcuno potesse ucciderlo. Ma sarebbe morto dentro, questo era certo. Nessun altro sorriso, nessuna luce negli occhi.
Solo un freddo involucro vuoto, come la Terra senza la luce del Sole.
-Kags- Shoyo lo guardò dritto negli occhi -domani non morirai. Non finché ci sarò io a proteggerti.
Tobio abbozzò un sorriso -prima era il contrario.
-ma adesso sono più forte io.
-ti piacerebbe, stupido idiota!- Tobio gli saltò addosso, e i due iniziarono a rotolarsi tra le coperte, finendo anche per terra e simulando una lotta. Lotta che finì con un bacio, e poi due, tre, quattro e avanti così fino al giorno dopo.

In fondo, quei baci piacevano anche a Tobio.

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