Denise

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MayaStevens1

Le luci al neon del corridoio si fulminano di colpo; non ci sono
finestre o luci di emergenza, solo buio.
Dalla tasca prendo il mio cellulare e ripongo tutte le mie
speranze in quella poca batteria: dovrebbe durare se mi sbrigo.
Metto il primo piede su una delle piastrelle: è scivolosa, come
se qualcuno ci avesse rovesciato sopra qualcosa. A tastare col
piede sembra acqua, ma è troppo viscosa. Se passo di qua
rischio di scivolare e spaccarmi l'unica gamba buona. Cerco
altre vie, ci sono delle porte spaccate dove oltre, riversi sul
pavimento, decine di corpi riversano squarciati. Devo tornare
indietro.
Sto per arrivare alla porta, ma sento urla demoniache provenire
da dietro di essa: sono arrivati, mi hanno raggiunto. Le grida si
fanno sempre più forti, devo andarmene prima di diventare uno
di loro, devo scappare... e l'unica via è il corridoio. Mi sale un
groppo in gola; non riesco a distinguere nulla se non una
piccola porta in fondo, illuminata da una minuscola luce blu al
neon. Illumina solo la porta, nient'altro. Sono alla cieca.
Le urla cominciano a riempirmi la mente, devo muovermi in
fretta. Col telefono cerco di farmi luce quel poco che riesco,
tasto il muro mentre a tentoni procedo coi piedi sul pavimento
bagnato. Cerco di affrettarmi, ma la puzza di muffa m'impedisce
di respirare, e non posso svenire.
La porta si avvicina, ci sono quasi, qualche metro, ancora un
ultimo sforzo.
Sento le gambe pesanti: il liquido per terra sembra essersi fatto
più denso e i piedi faticano ad avanzare. Non posso
arrendermi, manca qualche passo a quella che posso
considerare come la mia salvezza. Devo farcela, forza.
Sollevo le ginocchia a fatica, cerco di fare i più in fretta
possibile, ma quella roba per terra mi sta risucchiando.
Ci sono quasi, allungo il braccio per sfiorare la maniglia.
Ancora un passo, solo uno. Con forza estrema porto il piede
sinistro in avanti, nonostante la melma si sia attaccata alla caviglia e sento come la pelle staccarsi. Stringo i denti per non
urlare di dolore, non farmi sentire.
Trascino il corpo più avanti che posso, sento i muscoli del busto
gemere dallo sforzo, poi finalmente mi aggrappo alla maniglia.
La stringo forte, mi ci aggrappo con entrambe le mani. Se apro
la porta abbastanza velocemente i miei piedi verranno staccati
da qui e sarà doloroso, molto doloroso. Non m'importa.
Spingo giù la maniglia e, con un colpo secco, spalanco la via.
I piedi si staccano dalla melma con un dolore acuto e cado su
altre piastrelle, più chiare e asciutte.
Non riesco a muovermi. Resto sdraiato sul pavimento, esausto
e dolorante, mentre le urla dall'altra parte del corridoio si fanno
più forti. La porta è spalancata, riesco a vedere meglio
quest'ultimo con la luce che c'è qui. Dall'altra parte, l'ingresso
da cui sono arrivato è semichiuso e solo uno spiraglio bianco
passa attraversa la fessura.
Uno stridulo più forte degli altri e questo si spalanca, mostrando
una nube nera che galleggia in aria: uno di loro. Mi hanno
trovato.
Mi alzo di corsa e scappo possa raggiungermi. Non mi fermo a
studiare il nuovo corridoio in cui mi trovo, non importa, prendo
la porta più lontana da dove sono entrato e me la chiudo alle
spalle.
Le urla sembrano cessare. Il respiro si calma e i miei occhi
iniziano ad analizzare il posto in cui sono: una sala operatoria,
probabilmente abbandonata, ma con ancora tutti gli strumenti.
Non ne avevo mai vista una dal vivo.
Mi avvicino al lettino al centro della stanza, come attirato. Al
contrario del resto dell'ambiente, sul materasso c'è una grossa
macchia di sangue. Lo tocco col dito e questo si tinge di rosso:
è ancora fresco.
Osservo quel puntino sul polpastrello, finché la mano non inizia
a tingersi di cremisi sempre più velocemente. Improvvisamente
il respiro mi viene a meno e una visione si para davanti ai miei
occhi: una squadra di chirurgi in camice, riuniti attorno al letto,
su cui è steso un corpo, coperto da un telo verde, da cui escono alcuni capelli castani. Ha un fisico minuto, quello di una
bambina.
Sul petto si apre uno squarcio, grande quanto un pugno, da cui
escono alcuni ferri sporchi di sangue. Si muovono lentamente; i
medici bisbigliano tra loro usando termini a me sconosciuti.
Poi un fischio acuto e ai sussurri si sostituiscono grida disperate
e pianti strozzati, creando nella sala un frastuono assordante,
mentre tutti iniziano a guardarsi intorno confusi. Provo a urlare,
chiedere che sta succedendo, ma nessuno mi sente, nessuno
può vedermi.
Mi porto le mani alle orecchie, ma il rumore non diminuisce.
Premo ancora, fino a farmi male, ma non cambia nulla.
Un forte bagliore m'invade la vista e, l'attimo dopo, mi ritrovo di
nuovo nella sala vuota… ma è diversa. La macchia sul lettino
non c'è più, ora tutto è sporco di sangue, e la luce sembra
esser diminuita. Che cosa sta succedendo?!
«Matthew,» Una voce infantile mi chiama alle mie spalle, una
che non ho mai sentito. Mi volto di scatto e davanti a me
compare una bambina sui nove anni, lunghi capelli castani e i
miei stessi occhi verdi all'ingiù. Mi sorride, un sorriso calmo, le
labbra carnose rosso ciliegia sono in contrasto con la pelle
chiara. Mi assomiglia. «Ciao» mi saluta.
Ha la voce bassa e nasale come la mia, solo più femminile.
«Chi sei?» le domando con la poca voce che ho. Lei continua a
fissarmi sorridendo, un sorriso freddo. Insisto, con più voce e
più rabbia, ma la sua espressione non cambia di un millimetro.
«Tua sorella Denise» risponde con calma.
Io non ho sorelle, sono figlio unico, lo sono sempre stato.
Mi strofino gli occhi, dev'essere un'allucinazione, ma la bambina
non scompare. Tutta questa situazione è assurda. «Io non ho
sorelle.»
Lei sbatte le palpebre e continua a fissarmi, inespressiva. «Tua
sorella maggiore» precisa lei.
Tua sorella maggiore…
La guardo meglio: una bambina così non può essere più
grande di me. Indietreggio senza toglierle gli occhi di dosso, cercando di trovare una spiegazione a ciò, ma scivolo su una
macchia di sangue, finendo duramente a terra. Non
arrendendomi, striscio ancora indietro, ma Denise si avvicina
velocemente. Mi prende la mano, ha la pelle calda come la mia,
e le nostre dita s'incrociano.
«Non ti avevo mai visto da vicino, siamo così simili…» sussurra.
«Non mi toccare!» scatto io, ritirando la mano. Lei spalanca gli
occhi, il sorriso scompare e Denise sporge le labbra in
un'espressione offesa. Poi s'inginocchia davanti a me,
guardandomi con quegli occhi languidi. Vorrei poter rimanere
indifferente, ma quel viso è lo stesso che faccio quando voglio
ottenere qualcosa, ed è impossibile resistere.
Non distolgo lo sguardo, però, devo tenerle botta.
«Davvero non vuoi bene alla tua sorellona?» domanda lei con
voce sottomessa. Mi sento crudele, non riesco a guardare
quella bambina con indifferenza senza che mi salga in gola il
senso di colpa.
«Tu non sei reale» mormoro. Lei appoggia la sua morbida
mano sulla mia guancia, accarezzandola dolcemente, ma ora
non riesco a muovermi: il terrore che mi squarcia le membra.
«Mamma e papà non ti hanno mai parlato di me, vero?»
chiede con tono triste, deluso. Scuoto la testa tremante, mentre
il suo pollice mi sfiora gli zigomi. Il suo volto diventa come
quello di una statua, con lo sguardo fisso nel vuoto.
«Ero solo una bambina» sibila con una voce troppo roca e
profonda per esser sua, una voce demoniaca «Si sono
dimenticati di me così facilmente…»
«Non credo se ne siano dimenticati..»
«Tu non capisci! Dopo che sei venuto tu io sono diventata
inesistente, come se quell'operazione…» Si alza in piedi e nei
suoi freddi occhi verdi ora brucia il fuoco della vendetta. Non ho
mai visto una tale rabbia.
«Quindi quello che ho visto prima… era la tua morte» la
interrompo, mormorando l'ultima frase con soggezione,
spaventato dalla sua reazione. I suoi muscoli si rilassano e lei si
inginocchia di nuovo di fonte a me, guardandomi speranzosa.
«Ti prego, ricominciamo insieme stavolta, non voglio più restare
sola» mi supplica con la voce tremante.
«Sola?»
«Sì, senza nessuno con stare, e osservare le persone a cui
tengo comportarsi come se io non fossi mai esistita.»
Denise si avvicina. Non so che intende con questo, ma non
posso fare a meno di avere pietà per lei. I suoi occhi
m'incantano, ora che li guardo meglio sono più brillanti,
smeraldini. Quando è a pochi centimetri da me mi abbraccia,
affondando la faccia sulla mia mia spalla e cominciando a
piangere. Solo dopo qualche istante mi sciolgo anch'io,
chiudendo gli occhi e comincio ad accarezzarle la schiena,
passando le dita tra le sue lunghe ciocche scure. Non
m'importa se è più grande di me, è pur sempre una bambina,
mia sorella, e voglio prendermi cura di lei. In un modo o
nell'altro, reale o no.
«Ti prego, non lasciarmi» sussurra tra i singhiozzi.
La stringo ancora più forte e il suo respiro comincia a calmarsi.
L'oscurità è ancora davanti a me e non vedo quel che sta
succedendo, ma un forte bruciore m'invade la pelle e la testa mi
scoppia.
Così apro gli occhi di scatto, ma al posto di Denis ora c'è del
fumo nero e intenso. Uno di loro.
Faccio per staccarmi, ma non ci riesco. Il dolore alla testa
aumenta, così come il calore, tanto da immaginare le fiamme
ustionarmi la pelle, quando c'è solo fumo, che non mi lascia
andare, finché il buio non torna a riempire tutto.
È diverso da come me lo immaginavo questo posto. Credevo
che dopo la morte si finisse tra le nuvole e che ci fossero
migliaia di persone ad aspettarti, e invece no.
Il vuoto, un enorme spazio bianco senza né tempo né materia,
e sono solo. Mi sento incredibilmente leggero, quasi fossi fatto
d'aria, ma il mio corpo e la pelle diafana ci sono ancora. "Dove
sono?" ma la voce della mia mente riecheggia in questo nulla.
In mezzo a questo bianco compare una macchia più scura, che
si trasforma presto in una bambina: Denise.
Capisco che voleva dire ora con il fatto che non voleva restare
sola.
Mi sorride, un sorriso uguale al mio. Poi mi prende per mano e
mi sento scomparire.
Un mucchietto di ossa cade sul pavimento sporco. Le urla
demoniache si estinguono e non c'è più nulla ora, se non un
silenzio mortale. Matthew non ha potuto salvare nessuno, in
questo mondo, se non se stesso.

Parere delle TheGirls

Il testo si apre direttamente al centro del racconto, in medias res. Sentiamo subito la tensione, capiamo che è una storia misteriosa, oscura,  descrizioni ricche che permettono al lettore di immedesimarsi nella storia e invoglia a continuare nella lettura. Il testo è diviso in periodi perlopiù brevi, che spezzano il testo e rendono il tutto più frammentario e spaventoso, e danno più senso a ciò che si vuole raccontare. A parte qualche errore di pura e palese distrazione, la grammatica è corretta e il racconto in sè è atipico, particolare, unico e innovativo.

CONCORSO GIUDICI CHIUSO Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora