Uno

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1 luglio 2017

"Un vodka redbull grazie" dissi alla barista.
"Arriva subito" rispose sorridendo e sparì dietro al bancone.
Mi guardai intorno per vedere dove fosse sparita Aurora e la trovai vicino alla porta intenta a trafficare nella borsa.
"Mi sa che ho dimenticato il portafoglio in macchina, torno subito" mi disse uscendo.
Aurora è la mia migliore amica, ci conosciamo da quando avevamo sei anni, siamo state in classe insieme alle elementari, alle medie e al liceo. Poco prima di diplomarci decidemmo di andare nella stessa università, io scelsi psicologia e lei mediazione linguistica. Da fuori probabilmente la gente penserà che viviamo in simbiosi ma la realtà dei fatti è che prima di quella sera non ci vedevamo da un bel po'. Lei è una ragazza modello: si è laureata, lavora come commessa in un negozio di abbigliamento, ha una relazione felice con un ragazzo da cinque anni e ha un bel gruppo di amici. Tutte cose che a me al momento mancano. O meglio, anche io sto con un ragazzo da un paio d'anni, ma è una relazione tutt'altro che felice. Da parte mia almeno.

"Ecco il tuo drink" disse la voce squillante della barista, appoggiando sul bancone davanti a me un bicchiere stracolmo di vodka liscia e una lattina di redbull a parte.
Questo era uno dei motivi per cui da qualche mese a quella parte avevo iniziato a frequentare quel bar: con le giuste dosi potevi facilmente ubriacarti con una sola consumazione e costava qualche euro in meno rispetto alla media; l'altro motivo era che il locale si trovava a cento metri (a dir tanto) da casa mia.

Mezz'ora dopo, mentre ero immersa nel monologo di Aurora che raccontava da un tempo che mi pareva infinito la sua ultima disavventura con una cliente eccentrica e mentre sorseggiavo il mio secondo cocktail (un long island stavolta), il mio cellulare vibrò. Guardai distrattamente lo schermo
"Sei morta?"
Alzai gli occhi al cielo.
"Ma mi stai ascoltando?" chiese Aurora seccata "Chi è che ti scrive?"
"E' solo Roby" risposi "Si scusa, continua"
"Lasciatelo dire Sole, dall'entusiasmo che emani quando parli del tuo ragazzo non si direbbe che le cose vadano alla grande... Che succede?"
Aveva ragione, ovviamente.
"Ma niente, lo sai che mi infastidisce il fatto che continui a mandarmi messaggi quando sono in giro, non ho voglia di star dietro a lui se sono in giro con te"
O con chiunque altro. O in generale.
Girai il telefono a faccia in giù e diedi un altro sorso al long island mentre la mia amica si immergeva in una lamentela sul fatto che a causa delle spunte blu di Whatsapp, non si poteva nemmeno più ignorare qualcuno in pace.

Il Trabocchetto era frequentato per lo più da anziani durante il giorno, ma la sera, specialmente nel weekend, si popolava di gente giovane e chiassosa tanto che a volte qualche abitante dei palazzi lì intorno chiamava i carabinieri per far smettere "quell'insopportabile fracasso".
Quella sera il posto era praticamente pieno, sia dentro dove eravamo sedute noi, che fuori all'aperto. Conoscevo molti dei presenti di persona e quasi tutti di vista: in un piccolo paesino di provincia è difficile non incontrare gente nell'unico bar aperto fino alle quattro del mattino.
Entrando nel locale avevo salutato di sfuggita un mio vecchio amico con cui ero uscita qualche volta qualche anno prima, Davide, e da quello che notai non aveva cambiato granché cerchia di amici, solo un paio di facce nuove.
"Tra poco devo andare" disse Aurora guardando l'ora; erano le due meno venti e anche io cominciavo ad avere un po' di sonno.
"Si, meglio cominciare ad andare a pagare" risposi. Stavo per prendere la borsa e alzarmi quando sentii qualcuno arrivare alle mie spalle; mi girai e vidi che era Davide con uno dei suoi amici.
"Buonasera signorine, come ve la passate?"
"Non c'è male, ce ne stavamo andando" rispose Aurora secca.
"Eddai rimanete ancora un po', vi offriamo qualcosa"
"No grazie" disse Aurora alzandosi. Contemporaneamente io dissi "Grazie, volentieri". Mimai un timido "scusa" verso di lei, ma dentro di me ero sollevata che fosse arrivato qualcuno a movimentare un po' la serata.
"E va bene, ma solo un chupito, poi vado" disse la mia amica, poi rivolgendosi a me "E tu mi accompagni alla macchina, grazie"
Ordinammo un giro di shottini, dopodiché Aurora come promesso si avviò verso la cassa.
"Tu rimani?" Mi chiese Davide.
Ci pensai per un paio di secondi, poi risposi:
"Ma si dai, accompagno lei alla macchina e torno"
"Ottimo! Ti aspettiamo qua"

Aurora mi tenne un altro quarto d'ora a chiacchierare fuori dalla sua macchina, dopodiché mi salutò e se ne andò. Tornai a passo veloce verso l'entrata del bar, sperando che Davide e il suo amico mi avessero tenuto il tavolo e che non si fossero spostati; con sollievo vidi che erano ancora lì, con un nuovo bicchiere a testa.
"Che roba è?" chiesi al suo amico guardando diffidente dentro al suo bicchiere.
"Una specie di long island ma senza coca cola, lo fanno solo qua. Vuoi assaggiare?"
"No grazie" risposi continuando a guardare il liquido trasparente.
"Dai fidati, non è male" insistette lui passandomi il bicchiere.
Stavo per afferrarlo quando improvvisamente si incastrò per un attimo su un dislivello del tavolo e si rovesciò completamente.
"Oh cazzo, scusami" disse subito lui raccogliendo in fretta il bicchiere. Ma ormai il danno era fatto.
Sentii un brivido freddo sul petto e mi accorsi che l'intero cocktail era adesso sulla mia canotta. Ero fradicia.
"Scusami, scusami davvero!" ripeté.
"Ehm... Non fa niente, tranquillo" risposi un po' seccata "Vado in bagno a vedere di salvare il salvabile"
Chiaramente c'era poco da fare: dovevo solo aspettare che si asciugasse. Per fortuna, vista la temperatura, non ci sarebbe voluto molto.
Tornai dal bagno rassegnata a puzzare di alcool per il resto della serata e mi sedetti di nuovo al tavolo.
"Penso che in tutto ciò non ci siamo ancora presentati ufficialmente" disse l'amico di Davide accennando un sorriso "Piacere, Andrea"
"Sole" risposi stringendogli la mano.
"Ti ho già vista da queste parti"
"Si, vengo spesso qui; costa poco e ci si ubriaca subito" risposi facendo l'occhiolino "Anche io penso di averti già visto, qualche anno fa, con la vecchia compagnia forse"
"In realtà siamo più o meno gli stessi, però si, mi ricordo che ogni tanto c'eri anche tu"

La serata procedeva bene, si aggiunsero al nostro tavolo altri due amici di Davide e ci guadagnai un altro cocktail, offerto da Andrea per riparare i danni morali alla mia canotta.
"Certo che puzzi come un'alcolizzata con tutta quella roba appiccicata addosso" rise Davide.
"Si beh, per lo meno mi mimetizzo nell'ambiente" risposi, accennando alla gente lì intorno, quasi tutti brilli.
Il mio telefono vibrò ancora:
"Tutto bene? E' ora di tornare"
Mio padre.
Sorrisi e risposi:
"Si tutto a posto, tra poco torno, tranquillo"
Guardai l'ora: le 2.30. Non male, era da tempo che nel fine settimana non tornavo più tardi di mezzanotte.
"Bene ragazzi, penso che me ne andrò a nanna, il capo mi vuole a casa" dissi alzandomi.
"Ma quanti anni hai? Tredici?" mi rispose Davide alzando gli occhi al cielo.
"Ne ho ventidue, e sono abbastanza matura e responsabile da sapere quando è ora che io torni a casa" dissi con un atteggiamento finto snob.
"Rettifico, sei più vicina ai settanta" concluse Davide "Noi adesso andiamo ai palazzoni, dovresti venire"
"Palazzoni?" chiesi non capendo.
"Si, quelli abbandonati qua dietro" spiegò lui indicando con il pollice dietro la sua schiena "Noi ogni tanto saliamo fino in cima di notte, da lì si vede tutto il paese. Vieni dai, è figo"
"Voi non siete a posto" dissi simulando poco interesse, anche se in realtà questa proposta mi aveva incuriosito.
Ci dirigemmo alla cassa a pagare e notai che l'alcool quella sera non mi aveva mandato completamente fuori (merito probabilmente del piattone di lasagne mangiato a cena), ma sentivo la piacevole sensazione di leggerezza e i riflessi piuttosto rallentati.

Davide aveva ragione, da lassù si vedeva tutto il paese.
Ammetto che ebbi non poche difficoltà a capire come entrare in quel blocco di cemento bianco abbandonato.
I "palazzoni" erano tre palazzi ancora in costruzione schierati uno vicino all'altro ad un centinaio di metri dal Trabocchetto; la ditta di costruzione era fallita una decina d'anni prima e da allora erano rimasti così, tristi, spogli e abbandonati. Di giorno davano una sensazione di spreco, trovandosi quasi nel centro del paese e occupando uno spazio che poteva benissimo essere utilizzato per un parco giochi o una piscina comunale; non mi ero mai fermata ad osservarli di notte però, prima di allora: avevano qualcosa di suggestivo, leggermente inquietante. Erano la location perfetta per una prova di coraggio.
Arrivati lì, non avevo idea di come avremmo fatto ad entrare, essendo tutto circondato da una rete di ferro piuttosto alta. Mi limitai a seguire gli altri, trattenendomi dal fare mille domande; non lo davo a vedere ma ero molto emozionata. Circumnavigammo i palazzi e, arrivati dietro, Andrea si avvicinò ad un pezzo di rete, lo sollevò leggermente e vidi che era rotto: eccolo il passaggio. Lo tenne sollevato per far passare noi altri e quando fu il mio turno mi diede la mano per aiutarmi a passare lì sotto.
Continuai a seguire gli altri fino a che arrivammo al centro del palazzo di mezzo, facevo fatica a vedere dove mettevo i piedi dato che non c'era nemmeno un lampione nelle vicinanze, solo la luce della luna.
"Attenta!" disse Andrea afferrandomi un braccio e tirandomi leggermente indietro.
"Che c'è?" chiesi, non capendo a cosa avrei dovuto stare attenta.
"Guarda cosa stavi per pestare" accese la torcia del telefono e la puntò in basso.
Vidi con orrore il cadavere di un piccione che giaceva con le ali aperte verso l'alto.
Che schifo.
Lo ringraziai per avermi salvato dal calpestare quel corpo morto e molliccio; non sono esattamente una ragazza avventurosa, e quella sarebbe stata un'esperienza alla quale non tenevo particolarmente.
Vidi che c'erano delle scale, salimmo in fila indiana le quattro rampe fino ad arrivare in cima. Mi graffiai un po' le gambe scavalcando un muretto che ci divideva dal tetto ma non mi importava. Sentivo il mio cuore che batteva energico, la sensazione di essere in un posto "proibito" mi pervadeva; non avevo mai fatto una cosa del genere.

Notai con sorpresa che uno degli amici di Davide aveva portato qualche birra.
"Vuoi?" mi chiese
"No, grazie" risposi sorridendo
"Finito di bere per stasera?" mi chiese Andrea avvicinandosi.
Ero in piedi sul tetto di un palazzo e non avevo mai visto il mio paese così bello.
Wow
"Non mi piace la birra, io vado solo di super alcolici" risposi ridendo e facendo spallucce.
"Penso che andremo d'accordo" mi disse con uno sguardo d'intesa "Vieni, sediamoci qua"
Ci sedemmo vicino al bordo, non tanto da avere paura di scivolare e cadere ma abbastanza da farmi essere cauta in ogni movimento che facevo.
"Dove sono finiti gli altri?" chiesi guardandomi intorno.
"Sono là dietro a far su una canna" mi rispose, indicando un altro muretto dall'altra parte del tetto "Vuoi andare là con loro?"
"No, non fumo" risposi "preferisco stare seduta qua a contemplare l'immensità dell'universo" e indicai un punto indefinito in mezzo al cielo. "Ma se tu vuoi andare, vai pure, tranquillo, cercherò di non scivolare su qualche altra carcassa" risi.
"No, non ho voglia di fumare" rispose sbuffando "Preferisco rimanere qua con te".
Lo guardai e sorrisi. Per la prima volta in quella serata pensai che era proprio carino. Era alto, aveva i capelli biondo scuro più lunghi sopra e più corti ai lati e gli occhi color nocciola. Aveva il braccio destro completamente ricoperto da un tatuaggio; al buio però non riuscivo a distinguere di che disegno si trattasse.

Chiacchierammo per un bel po'; scoprii che anche lui come me aveva ventidue anni, lavorava per un'azienda che costruiva e riparava scale mobili, aveva un fratello più piccolo e abitava nel paese attaccato al mio. Io gli raccontai dell'università, della mia noiosa compagnia di amici con la quale non uscivo quasi più e del fatto che i miei erano divorziati e io vivevo con mio padre. Evitai accuratamente di accennare al fatto che avevo un ragazzo, non mi andava di parlare di lui.
Sentii il telefono che vibrava nella tasca dei miei pantaloncini super attillati.
"Parli del diavolo..." dissi, facendogli vedere che il messaggio che mi era arrivato era di mio papà.
"Si può sapere dove sei? Torna subito."
Digitai velocemente "Sono al bar, tra poco torno"
"Vuoi già andare a casa?" mi chiese Andrea un po' rattristato.
"No, ma questo dovrebbe tenerlo a bada ancora un po'" risposi con un sorrisetto diabolico.
Fui scossa da un brivido di freddo; ero uscita solo con pantaloncini e canotta scollata, di certo non immaginavo che sarei stata in giro così a lungo e a quell'altezza.
"Hai freddo?" mi chiese con tono gentile.
"Un pochino, non sono abituata a queste altitudini" risposi "E tutto questo alcool impregnato sulla mia maglietta di certo non aiuta"
"Me la farai pesare per sempre, vero?"
"Mi sembra il minimo" risposi ridendo.
"Lo sapevo!" Esclamò "Dai, tieni la mia felpa, io non ho freddo e magari mi guadagnerò la possibilità di ottenere il tuo perdono prima o poi"
Accettai volentieri e mi infagottai in quella felpa più grande di tre taglie.
Sentii dei passi arrivare dietro di me, mi girai ed era il ragazzo che aveva portato le birre.
"Noi andiamo a fare un salto a casa mia, venite? Qua abbiamo esaurito le scorte" disse mostrando tre bottiglie di birra vuote.
Andrea mi guardò aspettando una risposta da parte mia.
"Va bene" dissi alzandomi.
Guardai l'ora sul cellulare: le 4.30.
Papà mi ammazzerà
Scacciai quel pensiero e seguii gli altri giù dalle scale.

Non feci in tempo a scendere dalla macchina che il mio telefono cominciò a suonare.
Oh no
Feci un bel respiro e risposi
"Pronto?"
"MA SI PUO' SAPERE DOVE DIAVOLO SEI FINITA?"
"Si scusa Papi, stavo tornando e mi sono fermata due minuti a..."
"NON MI INTERESSA, TORNA IMMEDIATAMENTE! HAI VISTO CHE ORE SONO?"
"Si, scusa davvero ho perso la cognizione del tempo. Arrivo subito"
Aveva già riattaccato.
L'indomani avrei dovuto dare delle spiegazioni.
Mi guardarono tutti a metà tra il divertito e l'imbarazzato e il ragazzo delle birre (che gli altri chiamavano Tia) disse:
"Beh noi ormai siamo qua" e indicò casa sua.
"Tranquilli, la porto a casa io" disse Andrea subito "Poi torno"
Salutai gli altri, che si stavano avviando verso il cancello della casa e mi riallacciai la cintura. Andrea fece manovra e uscì dalla via.
"Che figura di merda" dissi guardando verso il basso.
"Sei una ragazza, è normale che tuo padre si preoccupi per te. Specialmente se sa che esci con dei balordi come noi"
"Non hai tutti i torti" risposi accennando un sorriso "Però poteva evitare di urlare così al telefono"
"Valli a capire i genitori".

"Grazie del passaggio" dissi appena si fermò davanti a casa mia.
"Figurati" rispose "Grazie a te della serata, spero che ti sia divertita"
"Si, tanto!" dissi entusiasta "Ho provato l'ebbrezza di salire in cima ad un palazzo abbandonato, non sono cose che si fanno tutti i giorni"
"Noi lo facciamo un paio di volte al mese" disse lui divertito.
"Ah" Arrossii leggermente.
"Tranquilla, se uscirai ancora con noi ti renderò una vera balorda"
"Dubito che ce la farai" risi "E comunque poi dovresti affrontare la furia di mio padre, e lì non si scherza"
"Sfida accettata" rispose sorridendo.
"D'accordo, io allora vado" dissi aprendo la portiera "Grazie ancora del passaggio e fatemi sapere quando uscite, cosi magari..."
Non feci in tempo a finire la frase che mi attirò verso di lui e premette le sue labbra contro le mie. Per un attimo pensai di tirarmi indietro ma alla fine mi lasciai andare e gli lasciai esplorare la mia lingua con la sua.
Dopo qualche secondo ci staccammo e mi guardò; aveva un sorrisetto malizioso.
"Io... ehm..." provai a dire qualcosa, accorgendomi di arrossire sempre di più e giocherellando con il portachiavi a forma di polipo attaccato alle mie chiavi di casa.
"Hai il ragazzo, lo so"
Non so se mi colpì di più il fatto che lo sapesse o il modo tranquillo in cui lo disse.
"Non preoccuparti, non lo dirò a nessuno se non vuoi"
"Nemmeno ai tuoi amici?"
"Nemmeno a loro"
"Oh... Okay grazie..."
Scesi dalla macchina ancora un po' scossa da quel bacio inaspettato.
"Okay, allora ci vediamo" dissi un po' imbarazzata.
"Quando vuoi. Te l'ho detto che ti avrei fatta diventare una balorda tesoro"
E ripartì sgommando. Lo guardai allontanarsi e rimasi imbambolata lì davanti al cancelletto di casa mia per un paio di minuti.
Quando mi ripresi cercai il telefono in borsa; guardai l'ora: erano le 5.15.
Vidi che avevo un nuovo messaggio e lo lessi:
"Mi sa che ti sei addormentata, ti auguro una buona notte amore mio. Ti amo"
Rimasi lì a fissare quelle parole.
Dovevo prendere una decisione e dovevo farlo al più presto.

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