Capitolo 39

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FLAVIO

Un disperato bisogno di affetto è quello che sento ora. La viscerale necessità di abbandonarmi alle tenerezze di qualcuno che mi conforti, che curi vecchie ferite riaperte.

Parlare con chi ti mette dinanzi alla realtà dei fatti può avere ripercussioni catastrofiche.

Ho trascorso il viaggio in aereo ripensando alle parole di Andrea. Poi a quelle di Viola. Probabilmente si sono accordati, pensando di accerchiarmi con le loro argomentazioni e convincermi di essere nella posizione di chi ha sbagliato tutto.

Il punto non è se sia vero o no ciò che mi hanno detto.

Il punto è che sono riusciti nel loro intento.

Il mio ego è stato scalfito, le mie sicurezze sono state intaccate alla base, le radici su cui ho sempre poggiato la mia vita sono state sradicate brutalmente. Ora ho bisogno di consolazione, di incoraggiamento e sollievo.

Quando suono alla porta di Chloe, sono teso come una corda di violino e incrociare il verde dei suoi occhi allenta la tensione. La spoglio che siamo ancora in piedi dinanzi al portone di casa. Mi nutro del suo corpo come fosse un elettroshock per il mio cervello in perenne stato confusionale.

«Resti a dormire qui?» mi chiede dopo aver fatto l'amore, quando siamo ancora avviluppati l'uno all'altra.

«No, torno a casa mia» dico ostentando estrema dolcezza, edulcorando la mia risposta con un bacio insolitamente melenso.

«Ho saputo del contratto per il prossimo anno accademico» mi dice poi, destabilizzandomi.

«Ah, l'hai saputo?» chiedo un attimo prima di sciogliermi dal suo abbraccio e ricominciare a vestirmi.

«Sì, me lo ha detto il professor Milligan.»

Chloe resta seduta nel letto, il busto nudo, la testa abbandonata tra i cuscini.

«Non so se accetterò» sputo di colpo senza rendermi conto del peso che può avere la frase che ho appena pronunciato. Io non so cosa farò, io sto prendendo in considerazione l'idea di tornare in Italia e in questa mia perversa decisione deve esserci per forza una ragione più profonda, una ragione che sto cercando di seppellire da qualche parte, dentro di me.

Chloe si alza, finge disinteresse, mi dà un bacio e si chiude in bagno. Io vado via, convincendomi che lei non mi ama come ha detto tempo fa, che, sì, aveva preso un abbaglio, che non soffrirà per la decisione che prenderò, che io l'avevo avvisata. Lei lo sapeva che non avrei potuto offrirle più di ciò che le sto dando ora.

Anche maggio scorre via in un inesorabile dondolio di indecisioni e ricordi uggiosi. La pioggia si alterna al sole come io alterno le mie ultime giornate lavorative a Chloe. La vedo spesso, ne sento il bisogno. La trovo bella, dolce e amara allo stesso tempo, mi convinco che perseverare mi regalerà la possibilità di ritrovare me stesso.

Poi, una sera, decido di rileggere il contratto, così, per vedere se la mia indecisione è rimasta immutata o pende più verso il sì, restare a Londra, o il no, tornare alla mia vecchia vita in Italia.

Il computer sembra lento, arranca appesantito dai troppi file. Allora, faccio la cazzata del secolo, anzi, la cazzata più grande della mia vita: riordino, catalogo, elimino.

I computer sono l'equivalente moderna delle vecchie cassapanche della nonna. Aprire "cartelle" dimenticate, equivale a riportare alla luce cose della vita di cui non ricordavamo neppure l'esistenza.

Così, in un tiepido pomeriggio di maggio, apro la cartella "C. 2012" ignaro del fatto che C. stia per Croazia. La finestra si spalanca sullo schermo come un'amara rivelazione.

Ci sono decine di foto. Decine di foto con Giuditta, foto che, se solo avessi immaginato, non mi sarei mai sognato di guardare.

Ci siamo noi in quelle immagini, in quei pixel sgranati da selfie scattati in pessime condizioni di luce. Ci siamo io e lei.

Mi sento incendiare fin dentro le ossa, le apro tutte, una dopo l'altra, colto da un irrefrenabile desiderio di ricordare ciò che ero. Ciò che eravamo io e lei.

Sento gli occhi pungermi mentre sussurro: «Ridammi indietro il cuore, Giù. Restituiscimelo, per favore...»

Lo rivorrei indietro il mio cuore, strapparmelo dal petto e chiuderlo in una cassaforte.

Dopo quel pomeriggio, nulla è più lo stesso. Mi trincero in un silenzio assordante, lasciando entrare nel mio isolamento solo Chloe e il suo disarmante entusiasmo.

Passo così i giorni, immerso in una bolla densa di ricordi e riflessioni che sono totalmente distanti dal Flavio che tutti sono abituati a conoscere.

Inizio a contare il tempo, a pesare le necessità e i rischi. Escludo la razionalità dal mio essere e mi concentro sulla consapevolezza che forse, per quanto ci sforziamo di negarlo, quando il lutto d'amore giunge all'ultima fase, l'accettazione ci serve a dare un senso a ciò che è successo, a catalogarlo nell'ordine naturale delle cose. E l'ordine naturale delle cose, per quanto mi riguarda, vuole che io vada in una sola direzione possibile.

Ridammi indietro il cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora