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Quando ha terminato il brano indugia un momento, poi gira leggermente la testa e mi guarda con quegli occhi neri e, sfuggenti e accusatori, ma belli da togliere il fiato. Per un attimo mi è parso di poter cogliere una nota di stanchezza in tutto quel nero.
È troppo intenso per essere solo frutto della mia immaginazione.

Ma è davvero solo un ricordo?

Mi fissava con quello sguardo che ricordo da sempre sul suo viso, quello sguardo che appartiene un po' ad una mamma che fa una ramanzina a suo figlio dopo un piccolo bisticcio, uno sguardo che dice "ti ricordi che, nonostante tutto, ti amo sempre...vero?".

Dopo un paio di minuti -che potevano essere anche due ore o due secondi, il tempo è solo una convenzione dopotutto- si alzò e venne verso di me con passo dubbioso, quasi non volesse arrivarci davvero ma volesse solo muoversi per scaricare la tensione dalle sue membra. Questa volta aveva lo sguardo fisso sulle punte delle sue scarpe di tela, consumate e scolorite ma sempre pulite; il suo mento toccava le clavicole e i capelli castani cadevano in avanti impedendomi di scorgere il suo viso, le mani nelle tasche. Si fermò a due passi da me e, lasciandosi andare sul pavimento, si mise seduto con le ginocchia verso l'alto e le braccia poggiate all'indietro a sorreggerlo.

Io lo guardavo e lui non mi guardava, rimase a testa china, come un cane bastonato e ferito.

A quel punto alzò la testa e mi accorsi che sorrideva, con le labbra chiuse e distese in un modo che a nessuno mai ho visto replicare, gli occhi appena socchiusi a nascondere le lacrime che a breve avrebbero iniziato a rigargli le guance bagnando prima gli zigomi, poi il mento, poi cadendo sulla maglietta in piccole gocce bagnandola come bagnarono i miei pensieri, penetrandomi fino al midollo.

Gelo.

Fece male vederlo così. In silenzio mi stava sbattendo in faccia tutti i miei errori, tutti gli sbagli che avevo commesso e da cui scappavo. Avrei voluto accarezzargli il viso per fargli capire che quel velo di disinteresse che mi ero cucito addosso negli anni nascondeva una anima anch'essa ferita che stava provando a perdonarsi per tutto il male che aveva causato, ma non ci riusciva.

Avrei voluto strofinare le mie nocche rosse su quell'accenno di barba che aveva sul mento e che è caratteristico di chi soffre e non si cura di se stesso più di tanto. Volevo lui con tutto me stesso ma contemporaneamente sapevo di non poter fare altro se non guardarlo soffrire. Avrei fatto solo la figura dell'incoerente...

Ma forse valeva la pena tentare?

Mi avvicinai quel poco che bastava perché arrivassi a toccargli i capelli ma lui si scansò, lentamente, come quando provi ad afferrare una foglia secca in autunno che cade da una vecchia quercia ma lei è troppo piccola, sfuggente e delicata e finisce per cadere a terra. Mi guardò negli occhi con una rabbia silenziosa che galleggiava in un placido dolore. Era ferito ed era tutta colpa mia.

Si alzò e si avviò verso la porta. Quando mi guardò per l'ultima volta il suo sorriso era scomparso ma le lacrime no, o almeno non del tutto.

Uscì senza sbattere la porta, ma accompagnandola, gentilmente, proprio come era entrato nella mia vita. 

E come se ne va l'estate, se ne andò senza fare troppo rumore.


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⏰ Ultimo aggiornamento: Dec 23, 2020 ⏰

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