La divisa

Untitled Part 1

Eccolo lì. Un' altro essere vivente che diventa un po' meno vivente. Lo vidi cadere con leggerezza e con senso di pace a terra. Rimasi a fissarlo per qualche istante a una distanza di cinque metri, prima di avvicinarmi a lui cautamente. Il paesaggio era un non-paesaggio, invaso dalla nebbia, con alcuni corpi morti vestiti di verde e altri vestiti di blu. Con fucili, caschi, pallottole e proiettili immersi nel fango. Raggiunsi quel mio fratello che se ne stava andando, lessi nei suoi occhi la paura, il dolore e l'angoscia. Aveva una pallottola nella pancia, il secondo punto più doloroso dopo il ginocchio, ma quello più mortale tra i due.

Provavo pena per lui, ma per qualche strano motivo la mia testa si ricordò che era un essere umano, un organismo a base di carne e sangue, proprio come me. Qualcuno lanciò un urlo che ruppe bruscamente quel silenzio così sereno e tranquillamente tombale. Ricominciarono a piovere proiettili da destra a sinistra e viceversa. Presi sulla mia spalla il giovane caduto e lo portai via, più precisamente in una tana di non so quale enorme animale. Lo adagiai a terra e accesi

l'accendino per fare un po' di luce. Era la tana di un uomo. O almeno così mi sembrò, dato che al suo interno trovai una lampada ad olio. Fuori il caos più totale. Ma anche dentro non era tanto diverso. Morte da tutte e due le parti, e dentro me. Più quel giovane uomo si avvicinava all'aldilà, più io mi sentivo male con me stesso. Mi sentivo in colpa. Mi sentivo un

essere orribile, senza cuore, senza niente.

Stava piangendo. Stava morendo. Stava stringendo una fotografia in mano. Aveva la sua famiglia in mano. Una moglie, due figli e due genitori tutti simili a lui. Aveva un buco nello stomaco. Aveva un proiettile in corpo e aveva ancora in mano la foto della sua famiglia. E io avevo ancora in mano il fucile dal quale è partito il colpo.