*Flash Back*
E' tutto buio. La mamma non c'è, non c'è più da tanto ormai. Papà non ha mai voluto dirmelo. Papà non mi parla mai, penso che non mi sopporti. Forse mio odia anche. Ma non ci penso, lui è il mio papà e gli voglio bene, anche se forse lui no, ma cerco di non pensare a questa eventualità.
Papà ha detto che domani mi porterà in un posto, un posto dove starò meglio.
Gli ho chiesto se veniva anche lui e lui ha detto di no, che non può. Il lavoro non glielo permette. Ma è una bugia lo so, lui non mi vuole e basta. Glielo leggo negli occhi che non vuole altrimenti starebbe con me, giocherebbe insieme a me, mi dedicherebbe qualche sorriso. E invece niente.
Guardo la sveglia sul comodino che indica le 3:15. E' presto, ma non riesco a dormire. Vorrei andare nel letto con lui, ma so che mi rimanderebbe qua, senza chiedermi di che cosa ho paura, o perchè non riesco a dormire.
Mi alzo e giro per la cucina per prendere qualcosa da bere. Ho la gola secca. Ho i piedi congelati a contatto con il pavimento. E' il 13 novembre e fuori fa già molto freddo. Il mio pigiamino non mi copre abbastanza, per riscaldarmi.
Decido di tornare a letto o domani non mi alzerò e mio padre si arrabbierà con me, ormai succede spesso.
****
La sveglia mi fa alzare di malumore. Sono le 7:30 e devo vestirmi in fretta se non voglio fare tardi. Mi metto la divisa che mi ha portato mio padre, una gonna blu a quadri, una camicietta bianca, un gilet blu e ballerine blu.
Scendo in cucina dove trovo mio padre intento a preparare la colazione anche per me, penso che sia l'unica cosa che fa per davvero, per me. Questo mi rattrista un po'.
Mangio poco o nulla, non ho molta fame, se penso a quello che sta per succedere mi vengono le lacrime, ma le trattengo. Voglio che mi veda forte per gli ultimi minuti che passeremo insieme.
Saliamo sulla sua Jeep nera e ci avviamo verso l'istituto. Dopo un ora di viaggio, riesco a scorgere un istututo stagliarsi tra gli alberi. Sembra più un castello diroccato. All'improvviso la paura torna, la paura di restare sola di non avere oiù nessuno.
Il freddo mi congela il naso, mi intorpidisce mani e piedi. Sento di non poter più parlare a meno che non mi sforzi. Mi sembra quasi di non ricordarmi più come si parla. Poi lo faccio, confesso la mia più grande paura.
"Non voglio rimanere da sola, papà."
Lo dico tra i singhiozzi, tra poco piangerò a dirotto, lo so.
"Non sarai sola, ci sono tanti bambini come te, qui dentro."
La voce fredda ed indifferente con cui lo dice, mi fa gelare il sangue nelle vene. Ho paura, ho paura perchè sta parcheggiando, perchè è questioni di minuti e poi mi abbandonerà qui. Non voglio, non voglio!
"Ti prego papà, sarò una brava bambina, non farò nulla che ti possa dare in alcun modo fastidio, ti prego non lasciarmi qui, ti prego!"
Non ce la faccio più. Le lacrime scendono copiose sul mio viso. Come se tutta la pioggia del mondo si fosse accumolata sui mie oocchi e ora volesse uscire. Lui non dice nulla, sta in silenzio. Tira fuori le valigie dal bagagliaio e le posa vicino ai miei piedi.
Una signora sulla cinquantina si avvicina a mio padre e cominciano a parlare. Non ascolto nemmeno una frase di quello che dicono ma quando sennto 'in questo orfanotrofio starà benissimo, è il migliore della zona' non resisto più. Mi accascio ai suoi piedi e comincio a tirargli i pantaloni.
"Mi stai lasciando!Perchè!Perchè lo fai?! Papà io ti voglio bene, ti prego non lasciarmi qui!"
La signora è quasi commossa da questa scena. Chissà quante scene così avrà già visto.
"Non fare la bambina. Il tuo posto è qui. A casa con me, non staresti a tuo agio. Ci sono cose che devo fare che tu è meglio che non conosca."
Da come lo dice sembra quasi che mi voglia proteggere, ho solo sette anni, sono una bambina, la bambina che lui sta abbandonando per lavorare! Come può farmi questo.
"Prima la mamma e poi anche tu. Che ho di sbagliato, perchè mi abbandonate tutti? Voi mi odiate, ecco!"
Mi accascio al suolo e continuo a piangere, senza fermarmi. Sono un rubinetto aperto, rotto, che non si può aggiustare. Mio padre mi guarda, per un attimo sembra rattristito, come a volermi dire che lui non vuole tutto questo, che lo fa per me, che avrebbe voluto le cose andessero diversamente.
Mi prende in braccio e mi da un bacio sulla fronte. E' la prima volta che lo fa.
"Papà, ti prego.."
"Mi dispiace Kassy, non posso. Quando sarai più grande, quando vedrai, capirai il perchè di questa mia scelta."
Mi porge il più delicatamente possibile in braccio alla signora e risale in macchina. Mi rivolge un'ultima occhiata prima di sparire. Per sempre.
*Fine Flash Back*
****
Mi sveglio di sopprassalto, tutta sudata. Il cuore mi batte a mille. Il segno sul collo palpita e brucia. Fa male. Jenna è difianco a me, dorme. Ho dovuto faticare per convincere la signora Elvira a farmela tenere in camera, per lei doveva stare fuori.
Ma senza di lei io non vado da nessuna parte. Io ho solo lei oltre a spiacevoli ricordi.
Filo in bagno, mi levo velocemente canotta e mutandine e mi faccio una doccia fredda. ' Quando vedrai, capirai.' Vedere cosa. Sono passati 10 anni è ancora non ho capito cosa intendeva mio padre.
Mi arrotolo un asciugamano al corpo e mi asciugo alla bella e meglio i capelli, rimettendomi nel letto. Jenna si sveglia e mi guarda fissa negli occhi. Me l'ha regalato il signor. Tomps, il direttore dell'orfanotrio in cui mi trovo ancora ora, due anni fa, quando era di pochi giorni. Da allora non me ne sono più separata.
Le faccio qualche carezza sul muso e lei di rimando mi lecca la mano. Sorrido.
Mi sdraio sotto le coperte, non importa se ancora bagnata. Jenna si accoccola vicino a me e ci addormentiamo. Un sonno profondo, senza incubi.
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Kassandra - La figlia del diavolo
FantasyKassandra Butler, questo è il suo nome. Occhi azzurri come il ghiaccio, capelli neri come la pece. Ha una volpe, Jenna. Un padre, Joseph, che fa parte di una setta, ma non solo. Emily, madre creduta morta, ma che ricompare nel momento del bisogno, m...