2. La notte nel cuore

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NOTA AUTRICE: da rivedere nei segni di punteggiatura dei dialoghi, poiché quelli che un tempo usavo non sono supportati dal mio attuale dispositivo di scrittura (perciò potrete trovare, nella stessa riga, delle virgolette differenti); sto valutando se sostituirli completamente.

«Ciao, Jeny!» esclamò il più vivace del gruppo, Peter.
«Ciao, Jeny!» ripeterono in coro tutti gli altri. Sembrava di assistere a un concertino di pessima, ma sincera, fattura.
«Ciao, damerini» rispose sorridendo lei. Ultimamente si divertiva spesso a prenderli in giro per via della maniera mielosa e patetica con cui cercavano di attirarsi le grazie degli insegnanti, vista la situazione penosa delle loro pagelle;  situazione che prospettava all'orizzonte serie possibilità di bocciatura.

«Allora, hai qualche idea per la recita?» chiese sputacchiando qua e là Jeremy, a cui l'enorme apparecchio per i denti non permetteva alla lingua di muoversi come avrebbe dovuto e la costringeva a dimenarsi come un serpente impazzito.
«No, siamo qui appunto per questo. Per farci venire delle buone idee, Jeremy» rispose algida e professionale, allo stesso modo che da dietro una scrivania, Jeny.

Sistemarono gli zainetti sull'erba e si sedettero in cerchio, come attorno a un fuoco invisibile, con gli occhi tutti puntati verso la ragazza... Avevano l'aria di attendere con ansia e trepidazione notizie di un qualche parente disperso in guerra.
«Beh, che sono quelle facce? Mica crederete che io abbia una formula segreta in grado di far apparire, dal nulla e in men che non si dica, la recita davanti a noi? Molto spiacente, non è così! Perciò mettete in moto la rotella del cervello e fatela girare tutti assieme.»
I quattro compagni si guardarono allibiti fra loro, non riuscendo a far altro che immaginare una rotella che volteggiava, che poi la loro mente trasformò nella ruota di un'automobile, ciascuna secondo i propri gusti personali, e finirono per rimanere in silenzio sospirando all'unisono verso macchine troppo costose per le loro povere tasche da alunni squattrinati.

Jeny si accigliò per un istante, ma riprese subito il suo contegno abituale, fatto di candide pennellate d'azzurro, senza permettere al buio della propria notte di scivolare attraverso le fessure degli occhi.
«Mi sembra che non siate affatto ispirati. Ragionate e riflettete, e ci ritroviamo qui fra tre giorni, stessa ora. Ognuno di voi presenterà a grandi linee un'idea. E vinca la migliore. Ci vediamo a scuola, damerini».

Diede l'ultimo morso al pezzo di pane, riafferrò lo zaino caldo per il sole e gli tolse di dosso alcuni ciuffi d'erba che si erano impigliati nella chiusura. Poi rimontò in sella alla bici e si diresse verso l'edificio scolastico, lasciando i ragazzi nel panico più totale, a chiedersi a quale santo votarsi per avere una rivelazione, e a sbuffare non capendo cosa avessero fatto per meritarsi un simile impiccio a complicare le loro vite che, in fin dei conti, richiedevano davvero poco.

Jeny, anche se non lo dava a vedere, si arrabbiava sempre moltissimo quando percepiva che le persone con cui conversava non erano sulla sua stessa lunghezza d'onda. Ma non si adirava con loro: no, sarebbe stato troppo semplice, e la semplicità, sebbene di primo acchito potesse parere la caratteristica principale di Jeny, in realtà era una qualità a lei totalmente sconosciuta.
Si arrabbiava con sé stessa.

Anche se le fosse capitato davanti l'individuo più idiota esistente sulla faccia della terra, lei avrebbe finito inevitabilmente per darsi la colpa di non essere riuscita a farsi comprendere.
Era così da sempre, da quando aveva cominciato a scrivere i primi racconti con la mano tremolante, tracciando lettere enormi e sbilenche su fogli di carta macchiati di latte, e decorati da umide briciole di biscotti... Da quando il grembiule rosa la faceva sentire troppo uguale... E da quando sbottonarlo un po' aveva cominciato a non bastarle più per distinguersi.

Trappole d'inchiostroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora