Capitolo 14 | Fabio conosce tutta la verità?

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Io e Bianca eravamo seduti sugli scalini di emergenza dell'istituto economico Leonardo Da Vinci. Lei, bella come non mai avvolta in un elegante giubbottino di pelle e in una gonnellina da rocker anni settanta a quadretti rossi e blu, cercava di contrastare i ciuffi di capelli ribelli tenuti scompigliati dal vento che soffiava fra gli alberi, gli edifici e che le sbatteva in viso.

«Tua madre» iniziai. «Possibile che attorno a lei ci siano così tanti segreti?».

Bianca annuì appena, come per inerzia. Abbassò lo sguardo e sbuffò.

«Bianca, lo so che l'argomento ti getta nello sconforto, l'ho capito. Ma ora ho bisogno di te per ritrovare tuo padre. Potrebbe anche essergli successo qualcosa, non...».

«Sono solo cazzate» disse lei con una smorfia di disgusto. Con una mano ravvivò i capelli castani. Il suo sguardo era cambiato: c'era solo risentimento, odio, rancore. Lontano da ciò che di solito riuscivo a riscontrare negli sguardi delle ragazze della sua età. Guardare Bianca muoversi nel mondo era come fissare un auto con una gomma a terra che cercava di avanzare sull'asfalto a tutti i costi, un ingranaggio rotto che cercava di funzionare per non essere giudicata strana, un uccello con un'ala mozzata che cercava di rimanere in piedi nella tempesta, un animale ferito sofferente contro un cacciatore che avrebbe potuto sopraffarlo da un momento all'altro: per come la vedevo, Bianca Moggelli sapeva di essere un disastro. L'avevo capito, perché mi sentivo anch'io in quel modo, anche se in proporzioni minori. Quando mio padre cinque anni prima era morto per rincorrere la verità, avevo fissato negli occhi mio fratello più piccolo, Andrea. Era nato da poco, ancora in fasce e il suo sguardo era vispo, all'intervo vi balenava la vita. Leonardo, mio fratello maggiore, che di anni all'epoca ne aveva già diciotto, aveva invece raggiunto il livello più buio dell'adolescenza, ma non l'aveva mai fatto pesare. Il suo carattere era semplice: se non vuoi che la corrente ti inghiotta, lascia che almeno possa trasportarti in giro. Crogiolati nell'angoscia, non dare segni di resa e chiuditi in te stesso. Resistenza. Mio fratello era stato un grande fratello maggiore, capace di offrire riparo al me quindicenne depresso e incapace di reagire, ma non aveva saputo tirarmi fuori dal mio stato depressivo: e come avrebbe potuto? Nessuno vi riuscì, se non la paura. Raggiunsi un livello da cui difficilmente avrei potuto spostarmi e fu per quello che cambiai. Ma non è il momento per parlarne.

«Mio padre non sa affrontare le persone» confessò Bianca distogliendomi dai miei pensieri.

«Che cosa vuoi dire?».

Sollevò le spalle. «Tu cosa pensi che voglia dire?».

«Tutti noi abbiamo dei difetti».

«Mio padre è un unico disastro complessivo» spiegò. Il suo volto era corrucciato, stralunato. «Non sa gestire i figli. Non mi capisce. E non capisce Fabio, mio fratello. Da quando non c'è più mia madre ha smesso di fare il genitore, sono io che devo occuparmi di lui. Mette solo regole, regole e regole, ma quando arriva il momento di assumersi le sue responsabilità preferisce fuggire».

Decisi di non contraddirla, un po' perché non ne avevo intenzione, un po' perché – di fatto – non conoscevo ancora Flavio così bene da poterne prendere le parti.

«Hai un'idea di dove possa essere andato?».

Bianca si voltò verso di me e mi fissò intensamente. «Tu sai leggere le persone, no? Che cosa vedi, in me? Dico in questo momento».

Cercai di scrutare la sua anima semplicemente fissandola e rividi le stesse cose che avevo rivisto la prima volta che le avevo parlato durante il caso dei Pelviani. Dietro la maschera da ragazza dura e inflessibile c'era un'anima urlatrice, qualcuno che disperatamente chiedeva aiuto al prossimo. Le scostai una ciocca di capelli che le invadeva l'occhio destro e le carezzai la guancia. L'apparente scorza della sua personalità sembrò sciogliersi per la prima volta, vidi qualcosa nei suoi occhi cedere il passo alla dolcezza e alla delicatezza, notai una fanciullezza in lei che non avevo mai notato.

«Vedo una ragazza molto, molto problematica».

Lei rise.

«Che rincorre la verità su sua madre» continuai. «E che vorrebbe essere così forte da non avere bisogno di nessuno».

«Io non ho bisogno di nessuno» fece un movimento per scostare la mia mano sulla sua guancia. «Sono sempre stata sola».

«C'è chi non ha mai visto il mare» le sussurrai «e creda che esistano solo montagne. Cosa puoi saperne? Forse devi solo calmarti e lasciarti trasportare dalla corrente».

«Mi lascerò trasportare dalla corrente quando scoprirò la verità su mia madre».

Quando fummo a casa, lontano da occhi indiscreti, chiamammo Fabio al telefono. Fabio è il fratello di Bianca e, come sapete, studia medicina. Un ragazzo simpatico, un po' svalvolato, che Bianca protegge in continuazione dalle cazzate che dice e compie. Flavio è forse troppo duro con lui, lo carica eccessivamente con mille domande, gli dona ansia con i suoi modi militareschi ed è per questo che fra i due il dialogo è ridotto all'osso. Flavio vuole che Fabio si dedichi solo allo studio, che esista solo l'università, ma non so fin quando potrà durare. Un genitore ha tutto il diritto di volere il meglio per il proprio figlio, ma da figlio quale sono posso dire che le imposizioni ci spingono a fare il contrario rispetto a quello che ci viene falsamente proposto.

Fabio era tornato a casa da poco. I lunghi capelli biondi, perfettamente in ordine, lo facevano apparire come una versione di riserva di un giovane Johnny Depp.

«Non mi stupisce affatto che il vecchio sia andato via» disse. Aveva appoggiato borsa e documenti sulla poltrona a sinistra del sofà principale del salone e si era accomodato sul cuscino centrale del divano, a gambe incrociate e braccia larghe, come se non fosse preoccupato per nulla.

«Non ti stupisce?» domandai.

Io e Bianca gli eravamo di fronte con un umore più nero della pece, ma Fabio sembrava sereno e in pace con se stesso, potevi notarlo già dalla sua compostezza e dal suo abbigliamento. Indossava una camicia di lino azzurra perfettamente stirata, un paio di jeans con catenina da rapper in prossimità delle tasche, sneakers bianche e rosse e ovviamente, da maniaco dell'aspetto, aveva curato la pettinatura in modo impeccabile, tanto che i capelli, quegli stessi capelli biondi di cui vi parlavo, avevano iniziato ad assomigliare alla criniera di un leone che si rilassava al sole.

«Domani è un giorno particolare» spiegò Fabio. In un momento tutta la sua maestosità e la sua gioia sembrarono scomparse. «È l'anniversario» disse con sguardo basso.

«L'anniversario di cosa?» domandai.

Fissai Bianca e capii che aveva afferrato.

«Cinque anni fa mio padre perse mia madre...e una parte di lui andò via da noi. Sembra ieri, ma domani farà cinque anni» spiegò Fabio. «Io so dov'è mio padre».

«E dov'è?».

«Non te lo dirò, Alex. E nemmeno a te, Bianca. Quell'uomo ha il diritto di restare solo».

La vidi con la coda dell'occhio: Bianca aveva iniziato a trattenere qualcosa. L'essere umano è come un palloncino, può gonfiarsi fino a scoppiare, l'importante è che non scoppi nel momento meno opportuno. E in quel momento, mentre Fabio ostentava una protezione verso Flavio, Bianca stava per dirgliene quattro. Gli avrebbe vomitato addosso tutto ciò che era stata costretta ad ingoiare in quegli anni. E l'avrebbe fatto nel modo più cruento: urlandoglielo contro fino a farlo impallidire.  

La rinascita del sangue  ||| - The Red Thread Saga ||| Stagione 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora