Che bel casino.
Leo chiuse con un sospiro l'ennesima pagina internet in cui veniva spiegata l'agorafobia e i sintomi principali associati a essa. Ne aveva lette diverse nell'ultima ora, dopo l'arrivo di Marco, e la situazione non era affatto semplice. Forse avrebbe dovuto fare quelle ricerche prima di farlo venire a casa sua. Sì, era proprio un bel casino quello in cui si era cacciato. Non sapeva nulla di attacchi di panico, non ne aveva mai sofferto e né aveva mai conosciuto qualcuno che ne soffrisse. Forse, nella sua ignoranza sulla malattia, aveva sottovalutato lo stato di salute mentale del ragazzo, e lo aveva capito nello stesso momento in cui lo aveva visto sul pianerottolo. Era il 16 febbraio, non faceva molto freddo, ma certo non tanto caldo da andare in giro in maglietta ed essere sudati come dopo aver corso per un'ora. Eppure Marco gli era apparso davanti con il viso arrossato, del tutto senza fiato e così accaldato che anche i capelli sembravano bagnati. Ma era stato soprattutto il suo sguardo a colpirlo. Era spaventato a morte, gli occhi sbarrati come se avesse incontrato un mostro o lo stesse rincorrendo uno spietato assassino.
Leo chiuse il laptop e lasciò lo studio diretto verso la cucina, chiedendosi cosa avrebbe potuto fare di diverso. Magari, si disse, avrebbe potuto organizzare una videoconferenza, lasciando che Marco lavorasse da casa, ma non sarebbe stata la stessa cosa. Sapeva bene come lavorava la sua squadra, era un continuo brainstorming dove le parole venivano trasformate in disegni, e subito controllate dagli altri per comprendere se stavano percorrendo la strada giusta. Guardare un disegno via webcam o anche scannerizzato e inviato via e-mail, non solo sarebbe stato meno immediato, ma non avrebbe reso al meglio. Un disegno visto dal vivo ha sempre un diverso effetto, e il cliente di quella commessa aveva richiesto progetti realizzati a mano e non computerizzati, per caratterizzare al meglio l'effetto vintage e classico del suo prodotto. Non aveva avuto scelta, insomma.
Eppure guardarlo arrivare in quello stato, vederlo rimanere seduto sul letto rannicchiato su sé stesso, lo aveva colpito in maniera particolare. Leo non si era mai preoccupato e occupato di nessuno, non dopo la morte di Massimo. D'altronde anche lui aveva sempre dovuto superare ogni ostacolo con le sue stesse forze, senza una famiglia che lo sostenesse, perché dichiararsi gay era ancora difficile nel 2019, figuriamoci quasi trent'anni prima nella provincia romana, dove lui era nato e cresciuto. Aveva lottato con i denti per realizzarsi e si era costruito una corazza per resistere alle tempeste della vita. Non aveva avuto il tempo di interessarsi a chi lo circondava, perché troppo impegnato a difendere sé stesso. Forse per quel motivo aveva sottovalutato il problema di Marco, perché fino a quando non aveva incrociato quegli occhi pieni di terrore e angoscia, non aveva compreso quanto il suo malessere fosse profondo e reale.
Arrivò in cucina e si passò una mano nella corta barba, in quel gesto oramai divenuto automatico quando era sovrappensiero, e con un sospiro iniziò a preparare il pranzo, tirando fuori dal frigorifero le uova e il guanciale per preparare una carbonara.
Magari un buon piatto di pasta gli farà bene.
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Roman d'amourAll'età di diciannove anni Leo, al capezzale di Massimo, il suo primo grande amore, ha promesso che lo avrebbe amato per sempre. A quarantatré, oggi, Leo mantiene ancora la promessa e ha chiuso il cuore a qualsiasi sentimento. Ma quando Marco, un g...