Il tragitto dell'ambulanza è breve, perché il pronto soccorso più vicino è distante circa cinque chilometri dal Korsal. Sara, durante il tragitto, apriva e chiudeva gli occhi e questo era un buon segno. Le sarebbe servito del tempo per riprendersi. Ma aveva tutta la vita per farlo. Il tempo in queste circostanze diventava un grande alleato.
Dopo esser saltato giù dall'ambulanza, aiuto i ragazzi a far scendere la barella. Mi posiziono di lato per aiutarli a spingere e mentre percorriamo il corridoio del pronto soccorso, Sara, tocca la mia mano. Inizialmente credo sia un gesto casuale. Poi però guardando la sua mano noto che la stringe a pugno. Guardo il suo volto. I suoi occhi azzurri sono vacui ma mi stanno supplicando di prendere ciò che sta nascondendo. La fisso indeciso. Poi senza dare ascolto alle mille voci, che mi urlano di non farlo, prendo quello che ha in mano. Sara chiude gli occhi sollevata e quel gesto mi fa capire esattamente cosa mi ha consegnato. Stringo la bustina in mano e alla prima occasione la infilo nella tasca interna della giacca.
Due infermiere aprono le porte. Una delle due mi squadra per un momento. Io l'ho già riconosciuta si chiama Michela. Era l'assistente di uno dei miei docenti quando ho iniziato il corso di laurea. Lei era all'ultimo anno e qualche volta mi aiutava passandomi appunti di argomenti che lei non studiava più.
«Andrea! Sei tu? Con questa divisa non ti avevo riconosciuto.»
«Ciao Michela. Come stai? Non sapevo che lavorassi qui.»
Alza le spalle «Ci lavoro da un anno ma ancora non mi hanno confermato. E tu? Fai volontariato? Non mi dire che hai lasciato gli studi?»
«No, sono al quarto anno, manca ancora un po' ma nel frattempo, mi tengo in forma con la Croce Rossa.» Ammetto con un sorriso.
«Caspita! Non so come fai, ma ti ammiro!» È sempre stata simpatica Michela e in un contesto diverso mi perderei in chiacchiere ma non riesco a prestarle la giusta attenzione, perché continuo a buttare lo sguardo oltre la sua spalla.
Michela mi guarda comprensiva, capendo al volo. «L'hai soccorsa tu?»
«Sì.»
«La conosci?»
«No.» Ammetto abbassando lo sguardo. Non dovrei essere qui. Che cazzo ci faccio qui?
«Non ti posso far entrare, ma se aspetti nella sala del pronto soccorso ti posso far sapere qualcosa... ci vorranno un paio d'ore.»
Annuisco prima ancora di parlare «Te ne sarei molto grato.»
Michela mi fa l'occhiolino e sparisce dietro le grandi porte del pronto soccorso.
La prima cosa che faccio una volta solo è dirigermi nei bagni. Devo liberarmi della dose che mi ha dato. Entrando mi assicuro che non ci sia nessuno, e nel gabinetto, dopo aver messo la chiusura, tiro fuori la bustina. È arrotolata diverse volte su sé stessa. La srotolo fino alla fine e una volta riconosciuto il contenuto mi siedo pesantemente sul water.
«Merda!». Resto a fissare il contenuto della bustina fino a che un rumore mi fa saltare in piedi. Tiro a vuoto lo sciacquone del wc, e richiudo in fretta la bustina. La infilo nella tasca dei pantaloni ed esco.
Un anziano si sta lavando le mani. Io ho bisogno di riprendermi. Dopo aver aperto l'acqua me la butto abbondantemente sul viso e sulla testa mentre nella mente mi si ripetono solo due parole. Cazzo! Merda!
«Serataccia?» Chiede il signore anziano.
Sorrido più per cortesia che per altro. «Abbastanza.»
«Vi ammiro molto. Fare quello che fate senza essere pagati, vi fa molto onore.»
«La ringrazio.» Non so che altro dire. Personalmente sono entrato nella Croce Rossa per un motivo forse un po' meno eroico di quello di altri. Aiutare gli altri è il mio modo per sdebitarmi con la vita. Nove anni fa, sono morto. Sono morto per quindici minuti. Il mio risveglio fu un miracolo per tutti ma sopra tutto lo fu per me. Da allora sono cambiato radicalmente. Allontanandomi da tutto quello che nella mia vita era marcio, avevo trovato la strada giusta. Finalmente ora andava tutto secondo i piani.
«Le posso offrire un caffè? Sembra che ne abbia un gran bisogno.»
Mi raddrizzo e prendendo dei tovaglioli di carta asciugo il viso. Un caffè mi serve proprio e il signore anziano sembra simpatico.
«Si, grazie. Lo accetto volentieri.»
Grazie al caffè e alle chiacchiere del signor Vittorio, due ore erano volate. L'anziano mi raccontò che aveva portato la moglie in ospedale tre ore prima perché aveva avuto un malore. Era molto preoccupato, ma per fortuna dopo poco un'infermiera venne a dare notizie. Non era niente di grave, e dopo avermi salutato calorosamente andò via lasciandomi da solo nella sala d'attesa. Dopo essermi stropicciato il viso un paio di volte, sento il telefono vibrare. Vedo il nome sul display. "Casa." Guardo l'ora sono le sei e mezza del mattino.
«Buongiorno.» Rispondo, non riuscendo a trattenere uno sbadiglio.
«Qui parla Dante. Ha per caso trovato il telefono di mio figlio?»
Sorrido alla sua battuta scema. «Ciao papà. Sto bene, scusa se non vi ho avvisato.» Pronuncio con un sospiro passandomi una mano tra i capelli.
«Porti i cornetti a casa?» Domanda con l'affettuoso intento di non farmi sentire in colpa.
«La mamma è sveglia?»
«Non ancora. Io lo voglio alla crema.» Vorrei ridere, ma ho altro da chiedere.
«Papà... ascolta, ho bisogno di un favore, puoi passare a prendermi.»
«Dove sei?» Il tono continua ad essere allegro, ma so quanto sia turbato dopo la mia richiesta.
«Al policlinico di Ostia, ma sto bene...»
Sto per dargli ulteriori spiegazioni quando in lontananza vedo Michela.
«Ti spiego tutto dopo. Ora devo andare. Ti aspetto davanti l'ingresso principale.»
Ascolto il suo «Va bene.» E mi dirigo verso di lei.
«Credevo di non trovarti più.» Dice allegra.
«Veramente sto aspettando un passaggio.» Mento spudoratamente.
Michela mi guarda sospettosa ma non aggiunge altro tranne quello che m'interessa.
«Allora, la ragazza sta bene, considerando il cocktail di droghe che ha assunto. Per il momento l'abbiamo ricoverata. Dovrà starsene buona per un po'.» Annuisco. La notizia non mi sconvolge più di tanto.
«L'hanno già interrogata?»
«Sì. I carabinieri sono andati via dieci minuti fa. Ha dichiarato di aver assunto droghe consapevolmente e che nessuno l'ha costretta. Resto sempre sconcertata quando sento queste dichiarazioni. Vuoi vederla? A quanto ha riferito, non ha nessuno da avvisare. Posso farti passare come familiare.»
«Se non ti creo troppi problemi...» Michela non mi fa nemmeno terminare la frase.
«Scherzi. Hai aspettato per quasi tre ore mi sembra il minimo. Seguimi.» Nei reparti sono iniziate le visite mediche e c'è un gran via vai di gente in camice bianco e divise azzurre. Un giorno, farò anch'io questo lavoro. Dovrei essere molto più interessato a quello che ho intorno anziché essere così nervoso.
Arrivati davanti alla stanza 157, Michela bussa. Ma senza attendere risposta entra. Io resto sulla porta, e per un attimo ho la tentazione di andarmene. Ma poi ricordo cosa ho in tasca. La sua droga.
«Andrea, entra.» La voce di Michela mi chiama e io dopo un cazzo sussurrato varco la porta bianca.
Lei, è stesa sul letto con il viso rivolto al soffitto, occhi chiusi e braccia lungo i fianchi. Il vestito bianco è sparito e ora indossa il capo d'abbigliamento per eccellenza degli ospedali. Uno spettacolare camice verde azzurrino. Ha un ago infilato nel braccio destro da dove da una flebo accanto al letto scende una goccia dopo l'altra un liquido trasparente. Ha diverse ventose sul petto a monitorare i battiti e guardando il suo profilo ora appare solo una giovane donna distrutta. La visione è scomparsa ma quando i suoi occhi chiari si posano su di me, il cuore inizia a martellarmi nel petto, la mia salivazione sparisce e riesco a farmi una sola domanda. "Andrea ma che cazzo ti prende?"
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Nessun Domani.
ChickLit//Attenzione! La storia è su kindle e su kobo, questi capitoli sono un anteprima per darvi modo di capire se la storia possa interessarvi. Andrea e Sara. Due sconosciuti. Due vite diverse. Andrea vive in un quartiere di periferia, lavora studia fa...