Capitolo 16 | I due bersagli del clan

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Il silenzio in auto era assordante.

Fabio aveva fatto ciò che Flavio non gli avrebbe mai permesso di fare, prendere la sua auto – la Fiat Croma quasi nuova di cui vi ho parlato, e mettersi al volante. Secondo i suoi calcoli avremmo dovuto raggiungere il parco dell'incontro fra Flavio e sua moglie Giulia nel giro di una mezz'ora, ma se ci fosse stato traffico avremmo potuto impiegarci anche un'ora o più. Erano le sedici e trenta e a quell'ora l'intera città usciva dagli uffici, tornava a casa, faceva commissioni. La città era piena, nel vero senso del termine, una specie di enorme agglomerato di persone brulicanti e movimentate che vorticosamente cercavano di fare quella o questa cosa, di gestire la routine con la granitica forza di volontà di un guerriero spartano. Partimmo da casa alle sedici e ventidue, fummo all'ingresso del Crystal Park alle diciotto e zero tre.

Quasi due ore di macchina in cui Bianca non spiccicò parola e in cui Fabio pensò solo a guidare tenendo fisso lo sguardo sulla strada e le orecchie tese al volume fin troppo elevato della radio che trasmetteva vecchie canzoni di Frank Sinatra in loop. Eravamo in auto, come intrappolati in un vecchio film in bianco e nero a giudicare dalla colonna sonora di gran classe, ma il nostro umore era oscuro e cupo, volubile e sfuggente come le piume di un corvo colpito. Fabio non era un ragazzo sereno, ma fino a quel momento aveva tenuto bene il controllo della situazione recitando la parte del fratello scanzonato e per niente avvilito dalle problematiche della propria famiglia. Pensandoci bene, passava molto tempo fuori casa: cercava di studiare fuori, in biblioteca, di stare con gli amici e almeno sei sere su sette rincasava tardi, dopo cena, sempre verso le undici. Quando Bianca gli aveva rigettato in faccia cinque anni di frasi non dette ed espressioni sostenute solo per preservare un equilibrio che per lei era inesistente, Fabio sembrava essere crollato. Aveva innalzato le spalle, lo vedevo con la coda dell'occhio – la tensione gli si era annidata lì. Il volto era tutto un programma, non c'erano sorrisi o espressioni gioviali, solo la fredda e distaccata noia di chi sa di non poter più fingere, lo sguardo frustrato di un ragazzo che era diventato uomo troppo presto. Dallo specchietto retrovisore centrale osservavo Bianca. Mentre l'auto macinava chilometri e divorava l'asfalto io la osservavo mentre era con gli occhi fissi sul cellulare, forse distraendosi dalle situazioni che suo padre non aveva saputo gestire.

Alle diciotto e quaranta, con un sole pallido che sarebbe tramontato da lì a poco e che immergeva il mondo in una luce arancio chiaro, eravamo a due passi dal Crystal Park, il parco in cui, secondo Fabio, Flavio si era recato. In quel parco, mi aveva spiegato Fabio, i suoi genitori si erano dati appuntamento per la prima volta. Per un momento iniziai ad immaginarmi Flavio da giovane, con i capelli più splendenti e un fisico più slanciato e la mia mente visualizzò Giulia, sua moglie: bellissima, sorridente, elegante. Dovevano essere stati una coppia meravigliosa. Prima di partire, mentre eravamo in garage aspettando che Bianca ci raggiungesse, mi aveva mostrato delle foto al cellulare che ritraevano Flavio e Giulia sorridenti e giovani. Le foto erano un po' schiacciate, immortalate dalla fotocamera del cellulare riprendendole da una foto cartacea un po' vecchiotta, tuttavia era chiara: Flavio, con pochissima barba e il mento quasi del tutto glabro, indossava una camicia azzurra e dei pantaloni grigi e abbracciava la sua futura moglie. Entrambi erano accomodati su una panchina. Giulia, bellissima, divina, fantastica, aveva i capelli raccolti in uno chignon impeccabile, un trucco leggero, labbra carnose distorte in un sorriso e il corpo avvolto in un maglioncino di lana verdeacqua e un pantalone a vita alta marrone. Se uno sconosciuto li avesse guardati li avrebbe etichettati come la coppia più felice del mondo. E lo erano stati, probabilmente lo erano stati per molto tempo.

Fabio, Bianca ed io eravamo all'ingresso del Crystal Park. Dinanzi a noi il cancelletto che dava accesso al parco era di un marroncino chiaro e la scritta CP Park sostava sopra di noi come un monumento trionfale.

La rinascita del sangue  ||| - The Red Thread Saga ||| Stagione 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora