No, non ho fatto matematica.
Claudio osservò la notifica per qualche istante prima di aprire il messaggio. Doveva decidere come rispondere, sennò Veronica avrebbe pensato che non aveva più nulla da dire.
Ok... come va?
Ci pensò un attimo. Aveva paura di ricevere un misero ed insignificante "Bene", che avrebbe solo
affermato il fatto che la sua compagnia non era gradita a nessuno. E se gli avesse risposto "Bene te?"? Glielo doveva dire? Magari a lei nemmeno interessava nulla di come stava, lo faceva solo per cortesia. Che alternativa c'era? Un inutile "Bene" e belli saluti. Veronica avrebbe aperto il messaggio e non si sarebbe nemmeno chiesta come rispondere, perché se va bene a nessuno interessa il motivo. Perché non c'è un motivo: è più una risposta automatica che si adatta in ogni caso, indifferentemente dallo stato d'animo che si ha. Claudio l'aveva notato quando le persone dicono di star bene senza sorridere. Spesso neanche ti guardano mentre rispondono. Magari nemmeno si rendono conto di aver risposto: il "bene" è la segreteria telefonica che parte automaticamente quando non ci prendiamo la briga di alzare la cornetta ed entrare in dialogo con gli altri, è come bere il caffè alla mattina. Ci si imbambola pensando alla giornata che ci aspetta e nel frattempo la tazza si è svuotata.
Vabbe, vediamo che dice. Non è nemmeno online.
Claudio prese la palla da softball dal pavimento. La girò tra le mani per cercarne qualche eventuale scucitura. Nulla, totalmente integra. Incominciò a lanciarla con una mano e a riprenderla con l'altra. Avrebbe voluto farla rimbalzare sul muro, ma mamma si sarebbe arrabbiata a bestia ed era l'ultima cosa al mondo che voleva. Sbuffò. Guardò la catasta di compiti sopra la scrivania. In realtà matematica non l'aveva nemmeno aperta. E in ogni caso sicuramente non avrebbe avuto bisogno di aiuto, in classe aveva dovuto spiegare l'argomento al testone di Ante, il suo compagno di banco. Giovanni Antellin aveva quattordici anni, uno in più di Carlo e di tutti i preadolescenti che popolavano la loro classe. Era stato sospeso l'anno prima perché aveva svuotato il cestino dell'umido sulla scrivania del prof di arte, dopo averlo accusato ingiustamente di non aver realizzato personalmente il disegno che gli aveva consegnato. La verità era che Ante disegnava davvero da Dio: Carlo lo vedeva incidere sul banco con la punta del compasso e, quando non scriveva parolacce, disegnava teschi a prova d'arte. In ogni caso ai genitori di Ante non fregò nulla del reclamo e non si presentarono al colloquio col preside, il quale, indignato a dismisura per aver perso tempo per un moccioso depravato, decise di bocciarlo, giusto per avere l'onore di tenerlo nella sua scuola un altro anno più imbestialito che mai. Non l'avesse mai fatto: se banchi, muri e sedie della scuola fossero vivi si accartoccerebbero da soli al posto di finire sotto le mani di Ante.
Ante non eccelleva in bellezza, era massiccio e alto come un gorilla e una massa scompigliata di capelli di fieno copriva due occhietti che pensavano già da soli a nascondersi. Il naso, giusto per sbilanciare ulteriormente il tutto, si espandeva eccessivamente in ogni dimensione, sia in larghezza che in lunghezza. Faceva spesso il bullo e trattava male anche le femmine, ma se non gli rompevi troppo e riuscivi a tenergli testa senza sfidarlo ti lasciava stare e, in casi eccezionali, diventavi pure suo amico. Questo era il caso di Carlo: quando capitarono in classe insieme Giovanni notò subito il temperamento introverso e pacifico di Carlo e gli andò a genio. Ante miracolosamente stava tranquillo e non disturbava la lezione solo se stava di fianco a Carlo, motivo per cui i professori avevano deciso di tenerli sempre insieme. La cosa non dispiacque nemmeno a Carlo: tra i due si era instaurato un rapporto particolarmente positivo, alla pari. Tutti in classe se n'erano accorti e nessuno riusciva a capacitarsene, come se avessero visto acqua e olio mescolarsi assieme. Erano troppo incompatibili, diversi di natura. Eppure Carlo era molto grato dell'amicizia con Ante, era l'unica persona che quando parlava con lui non buttava gli occhi al cielo o guardava per terra.
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Il sussurro del vento
RandomClaudio ha 13 anni, tante cose da dire e poche orecchie pronte ad ascoltare. Questo racconto vuole portare a galla i disagi della comunicazione, dire ciò che a parole si tace.