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La ragione per cui fosse finito così, in quella infima condizione, era divenuta il suo dilemma esistenziale, e gli turbinava nel cervello da almeno una settimana a quella parte.

-Hey, straccione! Lì non hai pulito bene.- lo punzecchiò un giovane, che poteva avere ad occhio e croce la sua età, mentre la frangia bionda seguiva il cenno della testa verso una porzione del pavimento marmoreo tirato a lucido.

-Sei cieco o cosa, testa di cocco?- ringhiò stizzito Eren, le nocche sbiancate per la presa ferrea con cui tratteneva il bastone del mocio fra le mani.

Non aveva mai avuto la pretesa di atteggiarsi più di quanto gli fosse concesso – insomma, come avrebbe potuto, visto la scarsa disponibilità economica di cui era in possesso? -, ma sapeva perfettamente che, anche se fosse stato un miliardario tedesco con tanto di Lamborghini al seguito, non avrebbe mai assunto quell'atteggiamento diffidente nei confronti di chi era in difficoltà.

No, non aveva mai avuto grandi somme di denaro con cui rimpinzarsi la bocca di denti d'oro ed i polsi di gioielli, però sua madre Carla, almeno una buona educazione ed il rispetto per il prossimo, glieli aveva insegnati.

Le ciocche d'oro ondeggiarono come spighe di grano mentre lo studente camminava risentito, un broncio infantile sulle labbra sottili ed i pugni sui fianchi, finché, proprio quando si ritrovò di fronte agli occhi fiammeggianti di Eren, non prese una merendina dalla tasca e la spiaccicò al suolo, sbattendo poi lo scarponcino sudicio per rimuovere la poltiglia attaccata alla suola di gomma.

Il castano non battè ciglio neanche in quel frangente, ma la sua rabbia si smosse in risposta nelle sue viscere, minacciando di impossessarsi delle sue mani per prendere a pugni quel farabutto fino a tumefargli quel ridicolo volto fanciullesco che si ritrovava. E invece rimase fermo, in silenzio, mentre la sensazione dell'impotenza lo sopraffaceva alla vista del biondo che si allontanava trionfante, seguito da qualche altro ridicolo vigliacco di turno.

Ah, e poi era lui il teppistello.

Domanda esistenziale numero due, molto simile alla prima, se non identica: come diamine era finito in quella maledetta situazione?

La risposta era da ritrovarsi nei ricordi della settimana precedente, quando gli era stata proposta l'offerta che, a detta di sua madre, era da considerarsi l'occasione d'oro per ripagare una vita di malefatte, vista la situazione in cui si trovava: servizi sociali o, per meglio dire, condannato a dover ripulire da cima a fondo il conservatorio Les muses.

Perché gli era parsa un'idea geniale, un colpo di fortuna, quello di aver ricevuto solo qualche giorno addietro il biglietto di quell'ambiguo uomo che aveva incontrato in stazione: e come rifiutare un cenno così affabile del generoso Destino?

Peccato che ora si trovasse nella situazione di dover aver a che fare con individui del genere, un ego smisurato a montargli sulle spalle e del tutto inconsci di quale fosse la vita vera, cruda, che sapeva del ferroso sapore del sangue, di dolore e sudore.

Eren non era un prodigio o, per lo meno, non gli piaceva definirsi tale, soprattutto perché era consapevole delle inesorabili lacune che possedeva; quindi come poteva soltanto pensare di esserlo, se peccava di nozioni basilari? Sua madre gliel'aveva detto e ribadito che non avevano soldi a sufficienza per impegnarsi con un professore di musica, che gli insegnasse la disciplina, la tecnica, l'arpeggio - che quello fosse un bene o un male, l'avrebbe scoperto col senno di poi.

Non gli piaceva considerarsi un talento naturale; però, dalla sua, sapeva che non sarebbe bastato pigiare i tasti d'avorio di un pianoforte per imparare quale fosse la vera consistenza della caparbietà, l'ostinazione, la fatica concreta, e non quella di cui quegli omuncoli medi parlavano tanto quando uscivano dall'edificio, mentre si massaggiavano le parti del corpo affaticate per gli esercizi.

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