1. Insane

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Insane, inside the danger gets me high.


«Siamo nella merda». Davide infilò con furia i libri di storia nello zaino insieme ad un quaderno sgualcito, una penna steadtler blu senza tappo e un pacchetto di fazzoletti vuoto a metà. «Quella stronza della professoressa Missoni ci ha dato tredici pagine per lunedì! Secondo lei dovrei passare sabato e domenica chiuso in casa per studiare la sua materia merdosa? E poi a che serve?! La storia è una delle materie più inutili al mondo, ma chi se ne frega del Congresso di Vienna!»

Lo ascoltai distrattamente, la mia mente era concentrata su quella penna blu senza tappo. Se fosse stata qualsiasi altra bic sarebbe andato bene ma c'era qualcosa di tremendamente sbagliato in una steadtler senza cappuccio, già erano sgraziate e scomode nella loro forma sottile e allungata, almeno, se uno si ostinava a comprarle, doveva avere l'accortezza di coprire quella punta oblunga con il suo tappino.

«Max, mi senti?»

Lo guardai. Davide aveva le cespugliose sopracciglia castane aggrottate e una luce sospettosa negli occhi scuri.

«Sì, certo. Storia, merda, Viena.» Snocciolai i punti salienti dalla sua filippica e mi misi in spalla il mio zaino grigio. Ad essere onesti, a me la storia piaceva, era interessante e mi dava un senso di sicurezza, i suoi fatti erano già accaduti quindi non riservava grosse sorprese ed era facile da studiare. Tuttavia, per una legge non scritta ma probabilmente antica quando il liceo della storia, non potevo ammettere che mi piaceva studiare, soprattutto non la storia.

Davide sembrò comunque accontentarsi della mia risposta spiccia, d'altronde quello era l'andazzo generale della gran parte delle nostre conversazioni: lamentele, "sì", "no", "hai ragione", altre lamentele. Questo schema era diventato così familiare che quando mi chiamava per uno dei suoi sfoghi mi bastava appoggiare il cellulare da qualche parte e avvicinarmi ogni tanto per emettere inarticolati suoni d'assenso. Avevo portato avanti conversazioni di ore in questo modo e lui non si era mai accorto di nulla.

Dal vivo la situazione non cambiava poi molto, mi bastava emettere qualche grugnito ogni tanto per farlo contento, come stavo facendo in quel momento. Davide era il mio migliore amico, davvero, ma a volte era un po' troppo petulante, e io non avevo mai avuto molta pazienza.

Lo seguii mentre continuava a lamentarsi e mi infilai nel corridoio che portava all'uscita. Era tutto un vociare allegro tra chi faceva progetti per il weekend e chi si avviava con passo baldanzoso assaporando la libertà che lo aspettava, seppur breve.

Io non avevo ancora progettato nulla e sperai che Davide non cercasse di trascinarmi da qualche parte. Avevo voglia di stare a casa a vegetare davanti a Netflix per tutto il fine settimana, abbuffarmi di pizza e stare in pigiama tutto il tempo.

Cadere in uno stato comatoso davanti una serie tv era quello che mi ci voleva. Avevo bisogno di qualcosa che mi zittisse il cervello e mi desse un po' di tregua. Mi facevo un sacco di fisime. Troppe.

Così tante che nemmeno mi sopportavo. Come facessero gli altri a vivere tranquillamente la loro vita per me era inspiegabile.

«Max, allora stasera ci vediamo da Carlo.»

La voce di Davide catturò la mia attenzione. Carlo. Chi è Carlo?

«Chi è sto Carlo?» ripetei ad alta voce.

Davide mi rivolse un lamentio esasperato. «Ma come chi è? Ti sto a parlare di lui da mezz'ora!»

Alzai le spalle con fare non curante. «Non ti ascoltavo» gli dissi senza troppe cerimonie.

«Ce ma sei proprio no' stronzo...»

«Vabbè, Davide. Chi è sto Carlo?»

Il mio migliore amico emise l'ennesimo sospiro esasperato e alla fine si arrese. «Aaaallora, come ti stavo a dire mentre tu pensavi ai cazzi tuoi, Carlo me l'ha presentato Francesco - lo conosci Francesco, no? Okay - e quindi me lo ha presentato lui quando ci siamo visti agli allenamenti di calcetto, e niente Carlo sembrava uno appost―»

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