CAPITOLO 9- La follia.

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Samantha fissava il muro scorticato,le rudimentali protezioni di plastica messe alle finestre che si muovevano non appena il vento soffiava. Fissava il guscio in cui si era nascosta per l'intera adolescenza,se ne era sempre stata lì a fumare mentre i genitori urlavano dentro casa,e anche quando ormai dentro casa aveva un genitore solo. Da che avesse memoria quella casa non era mai stata abitata,non avevano mai avuto dei vicini a sinistra. La casa era stata il nido dei gatti in calore fino a quando a suo padre venne l'idea di coprire le entrate,ma qualche gatto più furbo riusciva a entrare lo stesso. Samantha fumava,erano le cinque del mattino e il sole ancora non era spuntato. I capelli rossi le scendevano morbidi prima sule spalle e poi per la schiena,così lisci da sembrare quasi trasparenti. Le mano le tremavano ogni volta che portava la sigaretta alla bocca,e le lacrime si trattevano a stento dentro l'occhio. Era freddo quella mattina,incredibilmente freddo. pensava a Jake,che era solamente un'altro Chad,o un Josh. Poi pensava ad Emily,che invece non era come lei,e poi pensava che era meglio così perchè non si meritava Jake ma molto di più.

Pensava alla condanna che si era costruita da sola. Di sua spontanea volontà. 

All'inizio del liceo aveva deciso di essere una che piace,una di quelle che tutti vogliono. Aveva perso peso ed era andata in palestra,faceva tutti i trattamenti estetici possibili,e indossava i vestiti giusti e il trucco giusto. Chi decide qual'è il trucco giusto? O quali vestiti ti rendono giusta? Erano davvero giusti? Le piacevano tutti quei jeans attillati e quelle magliette uguali alle sue coetanee? In realtà no. In realtà non le fregava nula,ma ormai era in pista e ballava. Il problema era che nessuno l'amava davvero,ma erano solo attratti dal fatto che si concedesse a tutti,dalla sua sensualità,e dal suo corpo. Niente di cui meravigliarsi,considerando il suo carattere rozzo,arrogante,e indisponente. Era lunatica,e sempre nervosa,come la madre. E se  la madre non era riuscita a trovare l'amore eterno,figuriamoci lei. Ma era davverto così? Magari era tutta una maschera,ma in fondo chi è veramente quello che sembra? Pirandello lo diceva,che l'io non esiste,che ci sono solo tante maschere. E tra tutte le cazzate della letteratura,quella era la più vera. 

E allora alle cinque del mattino Samantha se ne stava a fissare la parete del guscio in cui si era sempre nascosta,a guardare il muro scorticato con qualche ragno qua e là,e a pensare a tutto quello che le veniva in mente,tipo l'origine della marmellata o l'io interiore.

Se ne stava lì con il suo bisogno d'affetto che la portava a concedersi a tutti,la sua condanna che si era costruita da sola,i capelli rossi sulle spalle e sulla schiena,la mano che le  tremava quando portava la sigaretta alle labbra,e gli occhi lucidi con le lacrime che ormai erano uscite e vaffanculo.

Quasi non si accorse del cancello,all'inizio si spaventò pensando fosse la madre. Quindi si spiaccicò al muro per non farsi vedere. Poi udì dei passi lenti,per niente tipici della madre che di solito correva sulle scale e bestemmiava per aver dimenticato qualche carta d'ufficio. Le scale erano ormai silenziose,si affacciò appena,e vide Emily. Come era entrata? Ah si,aveva lasciato il cancello aperto. Era proprio identica alla madre.  

Avrebbe potuto restarsene lì,con che faccia sarebbe andata di fronte a Emily? Però si alzò,e andò. Forse anche solo per dare un significato a quell'alba triste. Forse per ricevere conferma di quegli insulti che si era sempre fatta da sola. La vedeva già la parola 'troia',in bella grafia,uscire fuori dalla bocca di Emily,forse con un grido o con un gemito,o forse con un  sussuro pieno di lacrime. Pensava che avesse sbollito ormai,ne era passato di tempo. Con Jake quella era stata la prima volta. Era andata a  casa sua perchè lui l'aveva chiamata. Emily era troppo difficile,lei più sensuale e più facile. All'inizio le era piaciuto quel ragazzo,l'aveva invitata a sedersi,e poi le aveva dato una birra,e le aveva fatto anche delle domande a cui lei aveva risposto con la sicurezza che sempre aveva avuto di fronte ad un uomo. Ma in realtà non era diverso dagli altri,la chiamava più o meno una volta a settimana,le dava una birra e le faceva le solite quattro domande: "Come stai?"; "Ti piace la birra?"; "Ti piace la casa?"; " Ti piaccio io?"

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