Se il sogno muore,
che ne sarà del sognatore?
E se muore il sognatore,
che ne sarà del sogno...?
Arthur B. Chandler
«Allora, com’è?»
Marco si agitò sulla panchina, fissando cocciutamente una lattina di Coca semischiacciata che qualcuno aveva buttato sul vialetto del parco qualche metro più in là.
«Eh dai! Si può sapere cosa c’è? Guarda che mi stai preoccupando.»
Giorgio lo guardava accigliato, la fronte aggrottata che disegnava una sottile teoria di pieghe poco al di sopra del naso a patata, tanto da somigliare a una rozza caricatura di un ferengi[1].
«È solo che non ne voglio parlare. Non adesso, comunque.»
«Accidenti, ma è solo una ragazza! Anzi, non sai neppure se lo è veramente! Non hai mai fatto così.»
«Certo che lo è.» rispose Marco con un tono che sembrava smentire tanta convinzione. Una volta ne era certo, almeno, ma adesso? Forse era solo un gioco, una di quelle specie di esperimenti che fanno gli studenti della facoltà di psicologia o di sociologia delle università americane, magari per una tesi o per una qualche pubblicazione scientifica. No, non poteva essere così, anzi, non era certamente così: punto.
«Va bene, d’accordo. È una ragazza. E allora? Ci siamo sempre detti tutto, no? Persino quando hai incontrato quella biondina tutto pepe, quella che ti ha…»
Marco si voltò di colpo verso l’amico, che continuava a fissarlo perplesso dall’altra estremità della panchina. Fra di loro uno zaino e un grosso tubo di plastica nero che conteneva una serie di tavole che il ragazzo avrebbe dovuto consegnare per mercoledì al professore di Disegno Tecnico e che Marco aveva buttato così, apparentemente senza motivo, a formare una sorta di barriera fra sé e quello che era a tutti gli effetti il suo più caro amico, anzi, a dir la verità, l’unico amico che aveva.
Già, perché Marco in effetti non è che avesse molti amici, e neanche amiche, se è per questo. Non che fosse antipatico, anzi, tutti lo trovavano abbastanza simpatico, quelle rare volte almeno che si lasciava andare quand’era in compagnia. Era un diciottenne alto, ben fatto, non certo un tipo sportivo, comunque uno di quei ragazzi che non ha bisogno di far molto moto per metter su qualche muscolo. Un po’ doveva essere l’eredità del padre, un vecchio campione di nuoto che, nonostante l’età, mostrava ancora un fisico possente; un po’ la sua passione per la bicicletta, anche se per Marco era più un simbolo di libertà che una vera e propria attività sportiva. Inoltre era molto carino, con quella zazzera bionda e gli occhi grigi che avevano incantato fin dalla prima liceo più di una compagna di classe, e non solo…
Ma a Marco non interessava. Non che non gli piacessero le ragazze, anzi. Il fatto era che dopo un po’ si scocciava. A lui piaceva sognare, immaginare viaggi in Paesi lontani o di poter volare come un supereroe scivolando a pochi metri dal suolo lungo la spiaggia di un’isola tropicale, lasciando che la mano sfiorasse la spuma che si spezzava sugli scogli o divertendosi a schivare con abilità i tronchi delle palme da cocco. Alle ragazze invece piaceva farsi belle, andare in discoteca a mostrare l’ombelico e fare capannello per raccontarsi a vicenda le loro ultime conquiste. Ma lei era diversa… accidenti, lei era veramente diversa.
«Proprio non riesci a capire, vero? Non è la stessa cosa. Come puoi paragonarla a… oh, cavolo! Lasciamo stare… senti, lasciami in pace, va bene? Ho bisogno di stare per conto mio per un po’…»