I giorni che seguirono furono alquanto particolari, caratterizzati unicamente da due pensieri che facevano arrovellare lo stomaco e la mente di Eren: non riusciva a ricordare le note di Moon River, non riusciva a dimenticare quello che lui e Levi avevano fatto quel pomeriggio.
Inizialmente si era ripromesso di mantenere il segreto, ma dopo qualche insistenza da parte di Jean, aveva vuotato il sacco, confidando all'amico quello che era accaduto e di come Mikasa li avesse quasi colti con le mani nel sacco. Come risultato ebbe quello di far arrossire e imbarazzare il biondo all'inverosimile, talmente tanto da ritrovarsi con la bocca tappata da una delle mani del ragazzo che implorante chiedeva di essere risparmiato sui dettagli. Non che il castano glieli avrebbe concessi, quelli contava di custodirli nel suo cuore e nella sua mente fino alla fine dei suoi giorni.
La domanda che si poneva da quel pomeriggio piovoso, quella che lo aveva tenuto sveglio per notti intere, si levò curiosa dalle labbra del suo migliore amico.
«E adesso?»
Lui proprio non sapeva come rispondere a quel dannatissimo quesito. Non vedeva Levi da quattro giorni, né tantomeno l'aveva sentito, nonostante l'idea di telefonargli ronzasse nella sua testa in ogni istante come una zanzara fastidiosa. A detta di Mikasa, il corvino era andato in campeggio con Erwin, quindi che senso avrebbe avuto provare a parlargli, sapendolo impegnato con Capitan America in persona? Non poteva dire di essere geloso, sarebbe stato riduttivo chiamare in quel modo un sentimento tanto logorante e frustrante. Ma che diritto aveva lui di sentirsi così? In fondo del sesso orale non lo classificava affatto come il suo ragazzo e di questo ne era ben consapevole.
E proprio quando quell'infinità di pensieri rischiarono di portarlo sull'orlo di un attacco di isteria, lo rivide a scuola, per l'esattezza mentre si dirigeva nel laboratorio di chimica. Era da solo quel lunedì mattina, Jean e Mikasa l'avevano preceduto quando lui si era fermato a prendere uno snack alla macchinetta e questa aveva deciso di fare i capricci, non rilasciando il prodotto selezionato.
Fu dopo qualche calcio e un pugno contro quell'aggeggio, probabilmente risalente agli anni del primo dopoguerra, che li vide. Un viscido esemplare di Erwin, abbronzatissimo, stava abbracciando Levi, camminandogli di fianco e sorridendogli come un coglione di prima categoria. Si sentì morire nell'esatto istante in cui realizzò che quel pagliaccio aveva preso tutto quel sole proprio durante il weekend, magari sotto gli occhi argentei di Levi. Dovette reprimere un conato di vomito al pensiero che quel Ken umano avesse potuto sfoggiare il suo sorriso smagliante e i suoi addominali perfetti durante tutto quel tempo che avevano passato da soli in mezzo al niente. Levi, dal canto suo, aveva mantenuto il suo perfetto incarnato niveo, quasi non fosse nemmeno partito. Eren si ritrovò a pensare al corvino con un cappellino di paglia, intento a ripararsi dai pericolosi raggi solari che minacciavano di rovinare la sua meravigliosa pelle, e quasi quell'idea lo fece sorridere. Quasi perché, con ancor più prepotenza, nella sua mente s'insidiò l'immagine di Erwin intento a spalmare meticolosamente la protezione solare sulle spalle del più basso, quelle luride dita percorrere ogni centimetro immacolato, al fine di preservarlo.
Sentì tremare l'occhio quando vide la mano del biondo scendere lungo il petto di Levi, ridendo sguaiatamente per una qualche battuta che dalla sua posizione non era riuscito a sentire; e Levi se ne stava lì, immobile a lasciarlo fare. Eren non riuscì a non notare quanto, nonostante l'aria perennemente annoiata, le spalle del corvino fossero rilassate sotto quel contatto. Certamente non poteva avvicinarsi e prendere a sberle Erwin, sarebbe passato per un pazzo e proprio non aveva voglia di generare un'orda di pettegolezzi. Tirò un respiro profondo, consapevole del fatto che, per arrivare a destinazione, avrebbe dovuto obbligatoriamente superare i due. Si disse che guardare Levi negli occhi dopo tutto quello che era successo, sarebbe stato solo imbarazzante e deleterio per il suo orgoglio già abbondantemente martoriato; dunque prese coraggio e, con il suo noiosissimo tomo di chimica organica stretto tra le braccia, affrontò il suo destino a testa alta. Fu impossibile non intravedere quello sguardo argenteo saettare su di lui, come se si fosse improvvisamente accorto della sua esistenza; eppure Eren si costrinse a non cedere, limitandosi ad affrettare il passo con le iridi puntate sulla porta dell'aula.
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Snow Doesn't Give a Damn [Ereri/Riren]
FanfictionOgni individuo è fautore del proprio avvenire, o semplicemente tutto è stato prestabilito, rendendo l'essere umano un'entità passiva, costretta nello scorrere degli eventi fino alla fine dei suoi giorni? Eren proprio non riusciva a venirne a capo, m...