Tra le falde del cappotto #2

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Quando si allungava l'ombra
sopra tutta la giornata
eri solo più lontano
ma tu ci sei sempre stato.
Più ti guardo e più mi meraviglio
e più ti lascio fare
che ti guardo e anche se mi sbaglio
almeno sbaglio bene.

La carrozza si fermò con un sommesso nitrito di cavalli davanti al numero 221B di Baker Street.
Era una notte insolitamente fredda, benché fossero appena i primi d'autunno, e quella sera  di ritorno da una cena con Mary, la mia fidanzata mi rammaricai di non aver pensato di portare con me il cappotto.
Scesi dalla carrozza e feci rapidamente le scale che portavano al mio appartamento, nel vano tentativo di riscaldarmi, e mi diressi subito verso il camino, riattizzando le braci quasi spente.
Solo allora, quando mi voltai, notai il mio amico Sherlock Holmes addormentato sul divano.
Mi immobilizzai e mi parve che tutto il freddo della serata mi fosse penetrato di colpo nelle ossa.
Il mio coinquilino non si abbandonava mai sul divano, a meno che non assumesse le deplorevoli sostanze di cui era dipendente, e – ahimè! – sin da prima dell'avventura che avevo soprannominato "Il segno dei quattro" ne faceva un uso sin troppo frequente.
Tuttavia, ad un'occhiata più attenta mi accorsi che ne' nell'aspetto della sua persona, ne' in quello della stanza, vi era traccia della droga o nell'astuccio  dove la riponeva. S'un tavolino lì accanto, però, era posata la sua pipa d'argilla ed un bicchiere di brandy consumato per metà, quello che di solito si concedeva alla fine di un'indagine risolta con successo. Quindi ne dedussi che, in attesa del mio ritorno, doveva semplicemente aver ceduto alla stanchezza.
Solo dopo che quell'attimo di tensione fu passato, mi accorsi del particolare che nel frattempo avevo tralasciato: Holmes stringeva tra le braccia il mio cappotto, come fosse una coperta.
A ben vedere, vi aveva quasi seppellito il naso e le sue dita bianchissime emergevano dalle pieghe del soprabito in vividissimo contrasto con la stoffa grigio piombo. I riverberi delle fiamme ingentilivano i tratti spigolosi del suo viso ed attenuavano le ombre scure sotto i suoi occhi – strascichi di un caso particolarmente impegnativo – regalandogli un aspetto più pacifico.
Oh, avrei voluto che quell'immagine non mi colpisse con tanto vigore per la sua tenerezza – termine che, sino a poco prima, avrei reputato inappropriato, se riferito al mio compagno.
Mi sedetti ai piedi del divano, sulla pelle d'orso che copriva il pavimento, e sfilai delicatamente il cappotto dalla sua presa, per rimboccarglielo meglio addosso.
Deglutii il pesante nodo che all'improvviso sembrava avermi serrato la gola.
Era a causa di tali sentimenti che avevo fatto all'affascinante signorina Morstan l'avventata proposta di sposarmi. Era troppo pericoloso continuare ad indugiare in quelle sensazioni, ma diventava impossibile non abbandonarsi ad esse quando sorprendevo il mio amico in un momento così intimo.
Ricordai la breve discussione che avevo avuto con lui quello stesso pomeriggio, poco prima del mio appuntamento con Mary.
Gli avevo fatto presente che, per far fronte alle spese dell'affitto, sarebbe stato il caso che cominciasse a cercare un nuovo coinquilino, dato che non avremo vissuto insieme ancora per molto.
Holmes, però, mi aveva confidato che non aveva intenzione di cercare nessuno.
«A volte è meglio essere soli» si era deciso ad aggiungere, vedendo la mia perplessità.
«Che cosa vuole dire?» lo avevo interrogato, allora.
«Nessuno può ferirti» era stata la sua concisa risposta, e solo in quel momento percepii il vero significato di quelle parole: la sua dichiarazione che, no grazie, non intendeva sostituirmi con nessuno, e la velata accusa che esse celavano.
Non potei esimermi dal cercare una delle sue mani, che spuntavano dalle falde del mio cappotto, e posarvi un bacio sul palmo.
«Perdonami, se puoi» mormorai su di essa, e rimasi lì ad osservarlo per un tempo che non saprei quantificare, pago di quel semplice piacere.
La mattina seguente, mi risvegliai indolenzito, ancora ai piedi del divano, e la mia spalla malandata espresse chiaramente la propria contrarietà per quella mia inavvertenza.
Mentre la massaggiavo per acquietarla, mi accorsi di essere coperto dal mio soprabito, e solo allora ricordai la notte precedente e mi voltai per cercare la presenza di Holmes.
Al suo posto trovai soltanto un biglietto ripiegato in quattro, e lo schiusi leggendo il seguente messaggio:

La ringrazio per avermi vegliato tutta la notte, è stato un gesto molto premuroso da parte sua.
Lo stesso non si può dire della sua avventatezza nell'addormentarsi sul pavimento in una notte così fredda, dottore.
Ho delle indagini da svolgere e tornerò solo nel pomeriggio.
Buona giornata, mio caro Watson.

S.H.

Sorrisi. In quelle poche parole potevo percepire tutto la preoccupazione ed il sarcasmo del mio amico, e non solo. Non so cosa avrei dato per aver potuto scorgere il suo volto al risveglio, trovandomi accanto a sé.
Mi strinsi il cappotto addosso, percependo nelle pieghe della stoffa il suo profumo – tabacco, brillantina ed una lieve ombra di colonia – e vi affondai il viso ispirandolo avidamente, immaginando Holmes compiere il medesimo gesto quando se n'era appropriato la sera prima.
Fui felice che fosse una mattina ancora più fredda della sera prima, avrei potuto indossare il cappotto tutto il giorno.

Immagina JohnlockDove le storie prendono vita. Scoprilo ora