Capitolo 41

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''Ho fatto uno strano sogno la scorsa notte'' dissi a Zayn, mentre guardavamo un film che di interessante non aveva proprio niente. Poco dopo, infatti, Zayn iniziò a fare zapping in TV.

''Davvero?'' chiese certezza.

''Si'' ammisi.

''Anche io ho fatto un incubo la scorsa notte'' ammise anche lui, continuando a guardare la televisione. ''Cosa hai sognato, Diana?''

''Che mi sparavi''

''Io che mi lasciavi'' sorrise. ''E non stavamo ancora insieme. Decidi tu chi sta peggio''

Le risate furono inevitabili.

Christine era seriamente diventata l'incubo di Zayn.

Forse aveva paura che diventassi lesbica anche io, forse credeva che Christine avesse un debole per me, o- più semplicemente- era geloso e basta. In più, c'erano stati una serie di equivoci sfortunati che l'avevano allarmato.

Io e Christine avevamo lo stesso cappotto baige, e lui l'aveva visto prima addosso all'una e poi all'altra. Nella sua mente erano stati girati settecento film diversi.

In più, una mattina Christine mi aveva rovesciato la tazza di thè sulla camicia bianca e si era avvicinata per aiutarmi a pulirla, quando Zayn era piombato in cucina ed era rimasto immobilizzato.

Alla fine, mentre io e Zayn stavamo discutendo proprio di questo, Christine mi aveva mandato un messaggio e mi aveva detto che stava tornando a casa con la sua ragazza, per presentarcela. Zayn era rinato ed era rimasto in ansia per un'ora- emozionato dall'idea di conoscere la ragazza della rossa.

Denise, si chiamava, e questo spiegava i messaggi che arrivavano a Christine firmati ''D.'' che Zayn aveva letto per sbaglio- sulla quale erano nati altri ottanta film.

E proprio ad una settimana dal trasferimento di Zayn a Leeds, senza che avessimo concluso né fatto nulla io e lui nonostante lo volessimo entrambi- per non affrettare le cose, era arrivata una chiamata a Zayn da parte di Carl.

I Tiger erano via dal Bronx ufficialmente. Potevamo ritornare.

CARL

Il motivo per cui avevo dovuto prendere obbligatoriamente la metropolitana mi era ancora sconosciuto. Avevo chiamato Zayn e gli avevo detto che i Tiger erano ufficialmente andati via, e lui mi aveva detto che avrebbe parlato con Diana e sarebbero ritornati. Ricordavo solamente che Peter era corso a prenderli e si era fregato la mia macchina, nonostante la sua fosse migliore. Forse era stato semplicemente preso dall'ansia e dalla voglia di rivedere i suoi due figli, per pensare ad altro. E io, che non sapevo dove Peter tenesse le chiavi della sua auto né della sua moto, ero stato costretto a prendere la metro per andare a Manhattan per parlare con un uomo di una certa importanza.

Non ci avevo messo molto, non era neanche una cosa urgente ma preferivo fare quel che potevo quando potevo. La metro l'avevo presa pochissime volte, avendo un'auto come la mia era inutile, e dovetti chiedere un bel po di indicazioni per arrivare alla meta. Fortunatamente all'andata non era stata troppo piena, proprio per niente. Al ritorno un pochino di meno, tanto che alcune persone furono costrette a restare alzate.

Non avevo certo intenzione di cedere il mio posto.

E mentre sfrecciavamo, scorrevano nella mia mente le immagini di Zayn e Diana. Era completamente sbagliato quello che stavano vivendo, ma era così bello e- al tempo stesso- rendeva Zayn così felice, che non me la sentivo di fare o dire qualcosa a riguardo. Quando era con Diana, sembrava quasi che Zayn avesse trovato una strada- in mezzo alle macerie- che l'avrebbe ricondotto a casa.

Non l'avevo mai visto innamorato, né così né con nessuna, e per me era una cosa completamente nuova. Avevo sempre pensato che l'amore fosse inutile, che rendesse soltanto le persone più fragili e deboli di quanto già non siano: Zayn però, per quanto potesse essersi indebolito, adesso sembrava forte abbastanza per sopravvivere. Forse è questo che fa l'amore: rende le personi tristi, ma quando poi sorridono lo fanno meglio. Il sorriso di chi resiste è più affascinante di quello che vive e basta.

Fu in quel momento, mentre ero di ritorno a casa, che la mia attenzione fu rivolta verso un punto preciso della metro: alla mia destra, pochi sedili più avanti, sedeva una ragazza bionda e minuta che sorrideva. Si alzò, continuando a sorridere verso una signora anziana, mentre le cedeva il posto.

''Prego'' disse, restando alzata.

Adesso era distante da me poco più che qualche metro, tanto che mi arrivò alle narici anche il suo profumo di caramello e vaniglia. Era così diversa dalle ragazze che avevo sempre conosciuto: aveva un semplice jeans con una canotta dello stesso azzurro ghiaccio dei suoi occhi, e dei sandali bianchi con delle rose ai piedi. Neanche un filo di trucco, neanche un filo di vanità nonostante fosse bella, neanche un filo di smalto.

Probabilmente sentì degli occhi addosso, perché si voltò nell'esatto momento in cui avevo deciso di guardare altrove.

Non ci riuscii più, nonostante la mia testa mi urlasse di smettere di consumarla con lo sguardo. I suoi occhi erano anche più chiari dei miei, se era possibile, ed erano così puliti e profondi che mi ipnotizzarono. Lei continuava a guardarmi e io continuavo a guardarla, fino a che la metropolitana non si fermò con un balzo. Lei perse per un attimo l'equilibrio, e io mi alzai quasi involontariamente. Non sarebbe caduta, la spinta era stata troppo debole, ma la afferrai lo stesso per un braccio magro. Sentii come se le mie dita bruciassero quasi, e la lasciai subito dopo. Ricordo che mi domandai cosa mi stesse succedendo.

''Grazie'' sussurrò lei, con una voce da bambina. Poi prese la borsa che aveva appeso su di un sedile, e la strinse forte. ''E' la mia fermata'' aggiunse in modo educato.

Mi scostai leggermente per farla passare, e lei- facendolo- fece sfiorare le nostre spalle. La vidi scendere con passo svelto, e vidi subito dopo le porte richiudersi.

Non la vidi più.

Mors omnia solvitDove le storie prendono vita. Scoprilo ora