La muta ed il carceriere

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E buio, come al solito si sentono le gocce di rugiada cadere dal soffito di pietra, o magari e la pioggia di qualche giorno fa che si é infiltrata fra le rocce e solo adesso ha trovato una via di uscita, sta di fatto che non riesco più a riaddormentarmi, allora mi alzo.

Da un lato le solite tre pareti ricoperte di muschio scivoloso, una di quest'ultime adornata con una pietosa finestrella, posizionata molto più in alto rispetto a me, da non lasciar passare mai abbastanza aria da farmi respirare correttamente.
Alla mia destra le solite, gelide e gride sbarre di ferro, credo che qualcuno abbia provato a romperle masticandole coi denti, visto che sono presenti alcuni segni simili a morsi.

Sono dentro questa cella da così tanto tempo da ricordare ogni centimetro. Se diventassi ceca non inciamperei mai, perché saprei sempre dove mi trovo.

Ho provato molte volte a comunicare con le guardie, per provare la mia innocenza, per dire che non ho ucciso quell'uomo ricco e potente per i suoi soldi, e che non so chi lo ha fatto, ma per loro sono colpevole, e non sono disposti a guardarmi scrivere qualcosa per dimostrarmi innocente, probabilmente perché non sanno leggere. Non sanno neanche come mi chiamo.

Dall'inizio del lungo corridoio, superate le urla e i mormorii delle altre prigioniere, scorgo delle voci.
<<Il nuovo carceriere, ci serviva qui uno ome te.>>
<<Ti ringrazio, cercherò di fare il mio lavoro al meglio delle mie capacità.>> Risponde una voce calda e rassicurante.
<<Bene, allora ti mostro l'area che sorveglierai.>>

Sento dei passi avvicinarsi, stanno venendo qua.
<<Lontane dalle sbarre, signore.>>
Dice la guardia che controlla di solito i giardini, quella grossa e che puzza come sterco di capra.
Accanto a lui, però, c'era un uomo altro e muscoloso, molto. Camminava in modo deciso, una guardia perfetta per il suo compito.

Io e le altre prigioniere ci separiamo dal contatto delle sbarre al passaggio dei due, o probabilmente si sarebbe rotto qualche dito se fossimo rimasti attaccate al ferro.

Entrambi i bruti voltano la testa a destra e a sinistra per guardarci tutte.
Appena poco più in là della mia cella gli uomini si fermarono per commiatarsi.
<<Beh, credo sia tutto, dalla prigione da cui vieni hanno detto che eri dei migliori, non deluderci.>>
Il "novellino" rimase in silenzio, facendo un piccolo cenno del capo la guardia puzzolente si girò e se ne andò.

Un trasferito, eh? Beh, si capiva che non era la sua prima volta in una prigione, forse anche in quella era nel settore femminile?
Comunque, non mi importa, sarà come tutte le altre guardie.

Dopo il mio pensiero pessimistico, sento la guardia nuova dirigersi verso una cella poco distante della mia, non riesco a vedere niente, ma sento le loro voci.
<<Nome>> disse la guardia.
<<Jackline Chester.>>
<<Motivo dell'incarceramento?>>
<<...adulterio.>>

L'uomo passo alla cella accanto, facendo le stesse due domande. La prigioniera rispose e lui passo alla successiva.
Andò avanti così, fino a che non si presentò di fronte ai miei occhi, coperto dall'armatura e dalle sbarre che ci dividevano.

<<Nome.>>
"Elly, signore", come vorrei dirvelo.
Lui si girò a fissarmi.
<<Nome, ho detto.>>
"Elly, signore"
<<Sei forse sorda, ragazza!? Avvicinati!>> Mi urla furioso.
La paura pervade il mio corpo. Le altre prigioniere lo sanno che sono muta, ma non apriranno mai bocca per aiutarmi, anche alcune guardie lo sanno, ma sono felici quando una di noi può essere picchiata, anche per un motivo così stupido.

Con le gambe tremanti mi dirigo verso l'uomo, non ho idea di cosa potrebbe farmi, il solo pensiero mi terrorizza.
Arrivo di fronte all'elmo in ferro leggermente ammaccato, il cuore si muove come un ballerino in una festa di paese. Aiuto.
<<Ti ho chiesto il tuo nome, rispondimi.>>
Mi dice minaccioso. Guardo in basso, ha un pastone in mano, lo userà.
Giro la testa di lato e chiudo gli occhi appena vedo un movimento del braccio muscoloso del carceriere, pronto a rompermi le ossa delle braccia. Ma il dolore non arriva, riapro gli occhi, domandandomi del perché.

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