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POV Taehyung

Ho le orecchie tappate e le gambe che protestano per essere rimaste flesse troppo a lungo. Sono circa dodici ore che mi trovo su quest'aereo, non ce la faccio più. Avessi avuto almeno il posto accanto al finestrino, avrei guardato fuori perdendomi tra la vastità dei luoghi, chiedendomi della vita delle persone che ci abitano, cosa fanno e se sono felici. Se abitano nel posto in cui vogliono vivere, se sono circondate dalle persone che le amano, se hanno dei problemi o se sono appena venute al mondo. Da quassù la loro esistenza neanche si noterebbe, troppo piccole per essere viste, troppo insignificanti gli edifici che hanno costruito in confronto al pianeta stesso. Ecco, se avessi avuto il posto accanto al finestrino avrei pensato a tutto questo, invece il posto è toccato ad una signora in sovrappeso che dorme beatamente svegliandosi di tanto in tanto bofonchiando qualcosa di incomprensibile per poi girare il capo dall'altra parte e riprendere a dormire.
Faccio un profondo respiro appoggiando la testa allo schienale e guardando il soffitto dell'aereo.
Mi sento piccolo.
Io, Kim Taehyung, strano ragazzo dai 21 anni coi capelli tinti di blu, nato e cresciuto a Seoul, che ha appena attraversato mezzo mondo per passare un po' di tempo in Italia.
Così, per volere dei miei; perché secondo loro avevo bisogno di cambiare aria, nella mia città stavo soffocando. Ed era vero, mi sentivo soffocare. Amavo e amo Seoul, le strade, la gente, i luoghi colorati e semplicemente magnifici, l'odore del cibo inebriante, le sue tradizioni. Assolutamente tutto. Ma gli avvenimenti degli ultimi tempi mi stavano portando alla deriva, secondo mia madre stavo entrando in depressione. Per questo avevo bisogno di cambiare aria. Il fatto è che io pensavo di dover passare un po' di tempo a casa di Jimin, il mio migliore amico dalle elementari, invece no, mi trovo su un fottuto aereo a migliaia di chilometri di distanza sia da Jimin che dai miei.
L'addio è stato straziante; da lui e dagli altri nostri amici. Mi sale un groppo enorme in gola solo a pensarci ma tutti loro erano convinti che l'Italia mi avrebbe fatto bene.
Che poi, perché proprio l'Italia? Perché non un Paese più vicino o uno in cui si parla principalmente l'inglese che conosco bene? Io neanche lo so, l'italiano.
La signora al mio fianco si agita sulla sedia, ci stiamo preparando per atterrare. Mi guarda un po' spaventata, forse teme che ci schianteremo tutti. Non mi dispiacerebbe molto, tutto pur di evitare situazioni ulteriormente stressanti e imbarazzanti in cui io non capisco l'italiano e gli italiani non capiscono il coreano.
Cerco di ricambiare lo sguardo mettendoci un po' di incoraggiamento, dopotutto è solo un atterraggio. Credo sia italiana, o comunque occidentale; poco m'importa, con ogni probabilità non la rivedrò più. Vorrei dirle che dovrebbe avere più a cuore il suo corpo, per evitare tutt'una serie di problemi correlati tipo quelli cardiovascolari, respiratori o di mobilizzazione ma poi mi dico che non m'importa neanche questo. Studio infermieristica, la salute degli altri è la mia priorità. O lo era, fino a quando non ho fallito nel mio tentativo di fare l'eroe della situazione. Da allora la mia mente si rifiuta di farsi carico dei problemi altrui, fisici o psicologici che siano.
Si sente un forte impatto attutito però dalle mie orecchie tappate per via dell'altitudine a cui sono stato sottoposto nelle ultime ore. Siamo atterrati.
Piano piano la gente si risveglia, il vociare aumenta, alcuni parlano in coreano altri no. Cerco di imprimermi nella mente il suono della mia lingua; difficilmente la sentirò di nuovo in questi otto mesi puramente italiani.

Quando metto piede per terra è sera e l'aria è h
fredda. Mi stringo addosso la giacca a vento tremando leggermente. Alzo lo sguardo sull'aeroporto illuminato a giorno .
-Benvenuto in Italia, Taehyung- mormoro tra me e me sospirando. Già mi manca casa mia.

The best of me Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora