Infinity ♾

225 27 17
                                    


Capitolo 1

Non avevo mai avuto una confusione così immensa dentro di me.

Fin da piccola coltivavo un'idea di lieto fine, come se la vita fosse un romanzo, una storia scorrevole e piena di cose entusiasmanti, piena di gioia dove la vita ti aiuta a rialzarti fino all'ultima pagina del libro.

Ma questa non è stata la mia storia............

La mia vita fin da piccola non fu semplice, non avevo molti amici forse perchè mi consideravano strana. Credevo che la realtà fosse un frangente triste solo per persone adulte.

Mi trovavo bene nel mio piccolo mondo fatto da fantasie, amici immaginari e cavalli alati.

Vedevo cose che una bambina di 4 anni normalmente non vedeva. Quando scendeva la sera mi catapultavo nel giardino di casa mia ed iniziavo a parlare con gli "elfi della penombra". Erano delle piccole creature blù, con grandi orecchie per poter ascoltare meglio le mie storie. Sulla loro testa fluttuava una piccola stellina luccicante e quando saltellavano per tutto il giardino, creavano una danza di luci come se fossero lucciole.

Gli raccontavo le mie lunghe giornate, parlavo dei miei pochi amici e interpretavo le mie storie immaginarie, dove io ero il pirata Barbagialla, con un occhio solo, che parlava al contrario ma era così potente che controllava i mari del Nord.

Avevo molte amiche fatine che mi rallegravano la giornata, giocavano con le bambole, mi davano consigli preziosi e mi suggerivano se facevo la cosa giusta. Ma la cosa più strana era... che si trovavano dentro il mio orecchio.

Di solito quando volevo fare qualcosa di rischioso la mia fatina madrina diceva:

- Attenta, stai facendo la cosa sbagliata ... -

Io mi arrabbiavo ed era solito svolgere il seguente rito: prima trattenevo il respiro diventando rossa come un peperone, sforzavo tutti i muscoli facciali dalla fronte fino al mento e poi rilassavo tutto con un urlo:

- VATTENE VIA!!!! -

La fatina spariva e mi godevo la libertà del rischio.

Quei giorni erano pura magia, mi sentivo libera come l'aria fresca o come la luce del sole che riscaldava il cuore dalle lunghe e fredde giornate d'inverno.

Ma... tutto si frantumò all'età di 5 anni con la sparizione dei miei genitori, Lilia e Patrick.

Mamma era sulla soglia della porta, con un grande cesto di vimini che le arrivava ai piedi, la sua espressione era pallida, come se stesse andando incontro alla morte. Indossava il suo vestito bianco a fiori rosa, il suo preferito. i capelli le scendevano lungo la schiena come un mantello triste. I suoi occhi erano lucidi e spenti carichi di dolore. Papà invece, le stava dietro accarezzandole la curva schiena, come uno scudo capace di proteggerla dagli infiniti dolori o come un bastone capace di sorreggerla anche nei giorni più bui. Mi venne incontro, staccando delicatamente la mano dalla schiena della mamma.

Mi prese tra le braccia e mi fece volteggiare in aria. Non risi, non volevo ridere. Mi scostò un ciuffetto biondo dalla mia fronte e mi baciò. Poi mi disse:

- Cara figliola, sei stupenda e sappiamo anche che sei forte. Io e tua madre, dobbiamo andare via ... Ma, tu ricorda che se ti sentirai triste o spaventata dalla vita che ti potrebbe colpire come un pugnale carico di sventure, sai a chi rivolgerti. Noi saremo nel tuo cuoricino -

Con il dito segnò un contorno nel mio petto, era un cuore

- Nel mio cuore? - chiesi incredula

- Si, SI, amore, lì. Ti vogliamo un bene dell'anima, non scordartelo!. Sei il nostro orgoglio e sei il nostro pensiero migliore, non scordartelo... MAI! –

Mi abbracciò forte versando qualche lacrima, mi baciò i capelli e mi guardò con i suoi occhi chiari carichi d'emozione. Sorrise e si diresse verso Ross, il mio fratellino che per tutto il tempo era rimasto in braccio alla zia.

Fu il momento della mamma. Corse verso di me, buttando la sua grande borsa a terra. Si buttò al mio collo, stavo quasi per cadere. Iniziò a piangere, le sue lacrime sembravano gocce di pioggia sottile che scendevano dalle vetrate, lente ma infinite.

Mi baciò sulla guancia parlandomi con voce rauca:

- Amore mio, ti voglio bene. Ricordati che noi ti amiamo e non andiamo via per colpa tua. Dobbiamo risolvere una cosa abbastanza complessa. Tu non capiresti. Noi, NOI vogliamo solo che tu stia bene. Non cercare spiegazioni e non chiedere alla Zia il motivo per cui ce ne andiamo. È solo per il vostro bene. Io ...-

Si buttò ai miei piedi, piangendo ancora più forte. Papà si accostò per aiutarla a rialzarsi. C'era qualcosa che avevo capito dall'espressione di mamma stanca, affaticata come se stesse andando incontro a qualcosa di più grande, qualcosa di pericoloso o persino mortale.

Questa situazione non prometteva nulla di buono.

Giunti fuori la porta, mamma baciò per l'ultima volta il piccolo Ross, mi guardò con i suoi occhi penetranti che come stilettate mi ferivano il cuore. Distaccai lo sguardo, era troppo per me. Le sue rughe erano fuori insieme alle vene del collo, stava soffrendo. Le sue mani tremavano all'impazzata, non riusciva a reggere la pesante borsa di vimini e le sue labbra erano striate di rosso, maltrattate dai piccoli morsi per alleviare il dolore. Un ultimo addio, ed uscirono da quella maledetta porta.

Non c'era ossigeno, avevano levato l'ossigeno. Stavo male, la stanza mi girava intorno e le mie gambe tremavano. Non riuscivo a vedere bene, la mia vista si annebbiò. Stavo diventando cieca? Cercai di appoggiarmi alla cassapanca ma scivolai lentamente e svenni.

InfinityDove le storie prendono vita. Scoprilo ora